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Crack Lehman 10 anni dopo: banche e finanza sono più sicure?

Dieci anni dopo il fallimento di Lehman Brothers ci si interroga se la decisione fatale del 15 settembre non potesse essere evitata ma la lezione non è stata imparata del tutto – L’eccessiva esposizione delle banche verso la finanza non è finita e il bail-in non attenua il rischio sistemico delle grandi banche.

Crack Lehman 10 anni dopo: banche e finanza sono più sicure?

Ai cinesi piace fare le cose in grande e i loro segni zodiacali – 12 animali: topo, bue, tigre, coniglio, drago, serpente, cavallo, capra, scimmia, gallo, cane e maiale – durano un anno intero anziché un solo mese come i nostri. Però anche in occidente c’è stato un segno zodiacale lungo che dura da ben dieci anni: il segno della Crisi. 

Quello che accadde a settembre 2008 e la grave instabilità dei mesi successivi hanno marchiato a fondo le percezioni del mondo intero. Dopo più di un anno di tensioni crescenti, il 15 settembre del 2008 crollò nella polvere una delle principali stelle di Wall Street, Lehman Brothers, la seconda più grande banca di investimento. Fiumane di articoli, libri, racconti, film hanno sviscerato le grandi contraddizioni che portarono all’infausto evento. Molti ritengono che il fallimento di Lehman poteva e doveva essere evitato. Sia come sia, la ferita fu profonda. E le cicatrici non si sono ancora rimarginate del tutto in gran parte del globo. Anzi, secondo alcuni osservatori, la Crisi del 2008 ha attivato un meccanismo distruttivo che mette a repentaglio la stabilità sociale e persino le basi della democrazia. Indubbiamente, il malessere sociale è cresciuto quando la crisi, dalla fase iniziale finanziaria, è diventata reale portando tante imprese a chiudere e tanta gente a perdere il lavoro.

L’impossibilità o, comunque, la mancanza di interventi pubblici adeguati, una ripresa economica insufficiente a generare posti di lavoro di qualità, l’acuirsi delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza hanno lasciato che il disagio sociale generasse grandi sacche di malcontento. I giudizi sulla globalizzazione e l’innovazione tecnologica – e, nei Paesi euro-periferici, sull’Unione Europea – da favorevoli sono divenuti contrari. Nuove classi politiche si proclamano paladine degli svantaggiati, spesso proponendo soluzioni di dimensione nazionale. Le incertezze nella leadership americana, elevate da Trump a mettere in discussione il libero commercio internazionale che gli USA avevano sempre promosso dal dopoguerra, l’espansionismo silenzioso della Cina e l’interventismo russo completano un quadro internazionale a tinte fosche. 

Ma cosa è accaduto alle banche e alla finanza, il settore da cui venne la Crisi? Dopo un decennio, possiamo dire che le banche e i mercati finanziari sono più sicuri di allora? Vorrei rispondere di sì ma ho forti dubbi. Prima di tutto, vale la pena di ricordare che, quasi all’unanimità, si è riconosciuto che all’origine della crisi vi era la mutazione nel modello di business bancario. In prevalenza, le banche avevano ridotto l’intermediazione tradizionale – raccolta di depositi per fare prestiti – accentuando invece il proprio coinvolgimento nella finanza – generando attività emesse sui mercati finanziari e anche investendovi. Però, una parte di quelle attività finanziarie (si pensi alle cartolarizzazioni dei mutui subprime, ma non solo) erano cariche di rischi sottostimati, proprio perché i debitori sottostanti non erano più soggetti ad accurate azioni di selezione e monitoraggio, in quanto le banche stavano abbandonando l’intermediazione tradizionale. Questo aveva fatto crescere il rischio sistemico, poi esploso nel 2008. Di fronte a ciò, ci si doveva aspettare che le riforme regolamentari spingessero le banche a tornare verso l’intermediazione tradizionale, diminuendone il coinvolgimento nella finanza. Invece, è successo il contrario. Basilea 3 e le varie altre nuove regole hanno appesantito di oneri l’intermediazione tradizionale e non gli investimenti finanziari delle banche.

Così, oggi le banche fanno ancor meno prestiti e ancor più finanza di quanto facessero nel 2008. Qualcuno potrebbe dire che oggi in molte giurisdizioni, inclusa l’Europa, il rischio sistemico è messo sotto controllo dall’approccio del bail-in, che dovrebbe lasciar fallire le banche in crisi facendo pagare non più lo Stato (secondo la vecchia logica del bail-out) bensì i creditori delle banche fallite. Si pensa, infatti, che i risparmiatori che detengono obbligazioni bancarie o depositi non coperti da garanzia eserciteranno un controllo sulla rischiosità delle banche in cui investono. Tuttavia, ci sono due cose che non quadrano. Primo, se molti banchieri, come hanno mostrato le svariate crisi, sono stati capaci di ingannare gli esperti e occhiuti funzionari della Vigilanza, che cosa ci può far pensare che gli inermi risparmiatori saranno in grado di fare meglio? Secondo, il bail-out non è morto. Anche in America, dopo l’improvvido fallimento di Lehman si sono avute ondate di salvataggi dei grandi istituti bancari, finanziari e assicurativi. E pensare che in Europa qualche colosso bancario (es. Deutsche Bank) sarebbe lasciato fallire se dissestato è una pia illusione. Così la distorsione nota come “troppo grande per fallire” è ancora attuale in barba agli enunciati del bail-in. E questo fa sì che le fonti dell’instabilità finanziaria sono ancora molto attive: lasciar fallire le banche medie e piccole non risolve niente perché il rischio sistemico si genera quasi per intero in quelle grandi. 

Quanto sopra getta qualche dubbio che le banche siano più sane oggi di un decennio fa, ma forse i mercati finanziari sono diventati più stabili? Difficile pensarlo. Ciò essenzialmente dipende dal modo in cui è stato fatto ripartire il motore dell’economia dopo lo shock del 2008. In tutti i Paesi sviluppati le banche centrali si sono impegnate a fondo in politiche monetarie non ortodosse: il Quantitative Easing (QE), che ha strutturalmente abbassato i tassi di interesse sulle obbligazioni. In tale contesto, da che mondo è mondo, gli investitori si spingono alla ricerca di rendimenti più allettanti andando a comprare titoli emessi da debitori nazionali più rischiosi o da sovrani meno virtuosi. E ciò è accaduto anche stavolta determinando a lungo una significativa riduzione dei rendimenti pagati da imprese e sovrani con basso rating. In un certo senso, si è creata una specie di bolla finanziaria indotta dalla sottostima dei rischi. Però, con il venir meno del QE i tassi di interesse stanno risalendo, es. negli USA, e sta finendo la ‘Bonanza’ dei tassi bassi per gli emittenti più rischiosi. Così si avvertono già forti scricchiolii nei Paesi emergenti più deboli – es. Argentina e Turchia – che prenotano pacchetti di assistenza dell’FMI e da mesi sta risalendo lo spread tra junk bonds e titoli di stato americani determinando crescenti tensioni per le imprese che emettono quei titoli. Insomma, le distorsioni introdotte dal QE svaniranno con la scomparsa del QE stesso e l’atterraggio per l’economia internazionale potrebbe essere burrascoso. 

In conclusione, aver avuto per dieci anni sulle nostre teste il segno zodiacale della Crisi è stato difficile e faticoso. E, scrutando il cielo della banca e della finanza, non si vedono in arrivo configurazioni astrali più favorevoli. 

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