Condividi

Coronavirus, salvare la vita o l’economia? Per Ft è un falso dilemma

Pubblichiamo in versione italiana l’intervento dell’autorevole editorialista del Financial Times, Martin Wolf, sulla questione cruciale del momento: la borsa o la vita?

Coronavirus, salvare la vita o l’economia? Per Ft è un falso dilemma

Martin Wolf, l’autorevole capo commentatore economico del Financial Times, ha pubblicato qualche giorno fa sul quotidiano della City di Londra un breve intervento sulla questione del momento. Cioè quella della riapertura delle attività economiche. Una questione che ne sottende un’altra ancor forse più drammatica relativa alla scelta tra vite umane ed economia. Abbiamo pensato di offrire ai nostri lettori, in traduzione italiana, questa interessante riflessione svolta da una delle voci più accreditate ed equilibrate del panorama economico internazionale.

Riapertura sì, riapertura no 

“Non possiamo permettere che il rimedio sia peggiore del male”. Così Donald Trump ha inquadrato una preoccupazione ampiamente condivisa. Un siffatto compromesso tra l’economia e le persone ha fatto la sua apparizione anche nel dibattito all’interno dei vari governi su quando e come liberare l’economia dal blocco. In Gran Bretagna il ministro Michael Gove si è schierato per la riapertura anticipata. Matt Hancock, ministro della sanità, si è invece opposto a questa idea. 

Hancock ha ragione: la soppressione del virus è la migliore politica sia per la salute che per l’economia. 

I politici, comprensibilmente, cominciano a interrogarsi se ci sarà ancora molta economia da riaprire. In una recente previsione, l’Office for Budget Responsibility, un istituto pubblico indipendente finanziato dal ministero del tesoro inglese, ha ipotizzato un calo del 35% del prodotto interno lordo del Regno Unito nel secondo trimestre. Una previsione peggiore delle già spaventose stime dell’OCSE. 

Ipotesi irricevibili 

Tuttavia, una politica spinta dal terrore non può essere foriera di buone scelte. Non tutto andrebbe bene, dal punto di vista economico, se la chiusura delle attività venisse subito revocata. L’ipotesi di fondo è che l’economia possa riprendere dal punto in cui si trovava prima del coronavirus. Ma questo è impossibile. 

La vera domanda è: che cosa accadrebbe all’economia se non ci fosse più il blocco? La risposta è: se il virus dovesse dilagare ancora una volta, gran parte dell’attività economica al pubblico cesserebbe di esistere. 

È vero, se la serrata finisse e cessasse anche il sostegno a chi non ha più un’occupazione, potrebbero essere in molti a essere costretti a tornare al lavoro. Con ciò la produzione economica potrebbe aumentare. Ma questa ipotesi rafforzerebbe ancora di più la disparità già esistente tra chi può sopravvivere a casa e chi, invece, non può. 

Il ciclo malattia-blocchi 

È anche molto improbabile che la riapertura possa riportare in vita un’economia ruggente, con la malattia ancora in giro. Peggio ancora, una riapertura seguita da un’ondata in aumento di infezioni e da un conseguente nuovo blocco, o addirittura da un ciclo di riaperture e blocchi, devasterebbe l’economia, come pure la credibilità della classe politica. 

Il punto è che il costo economico della distanziazione sociale è legato alla diffusione della malattia e non ad altro. Ma, come dimostra un nuovo importante studio dell’Università della California, Berkeley, c’è molto più di questo in gioco nelle decisioni politiche su questo tema. 

Il documento analizza due strategie: il “controllo a breve termine”, volto mantenere il tasso di infezione entro limiti accettabili; e il “controllo a lungo termine”, teso a limitare il numero totale di contagi e a portare, infine, il flusso dei contagiati a livelli molto bassi. 

Queste strategie sono legate alla “mitigazione” e alla “soppressione” del virus, come discusso in un paper dell’Imperial College di Londra. Nel dibattito politico, queste due strategie corrispondono alla riapertura quando il tasso di riproduzione della malattia è vicino a uno (un tasso di infezione costante, al suo massimo) o quando il tasso è vicino a zero (il che implica una sua quasi eliminazione). 

L’opzione meno costosa 

Il paper dell’Imperial College prende anche in considerazione quattro tipi di costi: i costi della perdita di vite umane, i giorni di lavoro persi in malattia, i costi medici associati alla maggiore incidenza della malattia e i costi (principalmente economici) della distanziazione sociale, sia imposta per legge che spontanea. 

La conclusione generale è chiara. L’opzione meno costosa è una forte soppressione dei contagi. 

Questa opzione salva vite umane, riduce massicciamente i costi medici e abbassa persino i costi economici della distanziazione sociale nel corso dell’epidemia. 

Tale costo economico complessivo più basso deriva dal fatto che la presenza della malattia tra la popolazione è più ridotta e quindi diviene più gestibile. A condizione, però, che esistano sistemi consolidati per testare, rintracciare e mettere in quarantena il numero relativamente piccolo di nuovi casi. In questo modo le persone potranno uscire liberamente e non ci sarà il rischio di ulteriori blocchi delle attività. 

Questo, invece, non potrebbe accadere se la malattia fosse ancora diffusa e quindi destinata a riproporre periodicamente i problemi di quarantena generalizzata. 

Un investimento e non solo un costo 

Questa analisi dettagliata dell’intero corso dell’epidemia fornisce un sostegno convincente alla parte del dibattito che avversa la riapertura anticipata. Sì, persistere con il blocco, fino a quando la malattia non sarà a livelli davvero bassi, impone costi economici enormi. 

Ma questa opzione deve anche essere vista come un investimento, i cui frutti renderanno il futuro più tollerabile. 

Inoltre il tempo supplementare che sarà guadagnato può essere utilizzato anche per mettere in atto i necessari meccanismi per sopprimere interamente la malattia. 

Questa strategia è l’unica giusta dal punto di vista economico. Deve essere anche quella giusta dal punto di vista politico. La gente si risentirà delle settimane di isolamento. Ma tale risentimento non è paragonabile alla furia se l’apertura prematura portasse a una recrudescenza della malattia e a nuove chiusure. 

A lungo termine, la cosa giusta da fare sarà, per una volta, anche la meno impopolare dal punto di vista politico. Schiacciare Covid-19 e tenerlo schiacciato, questa è la priorità. I governi hanno fatto abbastanza errori. Non possono farne un altro enorme. 

Commenta