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Coronavirus e imprese: la guida per i datori di lavoro

Gli esperti legali di LabLaw hanno stilato un vademecum che indica ai datori di lavoro i comportamenti da adottare per prevenire la diffusione del coronavirus all’interno delle imprese ed evitare controversie con i dipendenti

Coronavirus e imprese: la guida per i datori di lavoro

I casi di contagio da coronavirus aumentano e con essi anche la preoccupazione dei cittadini che, pur continuando a fare una vita normale, si chiedono quale siano i metodi di prevenzione più efficaci da adottare per evitare di essere contagiati dall’ormai celebre Covid-19. In questo contesto gli esperti di LabLaw, studio legale italiano specializzato in diritto del lavoro e diritto sindacale, hanno stilato una guida un po’ più specifica rispetto a quelle in circolazione. Il vademecum si rivolge infatti ai datori di lavoro che ogni giorno all’interno delle loro imprese hanno il compito di prendersi cura della salute dei loro dipendenti. Sia che si tratti di grandi imprese o di realtà medio-piccole, occorre prendere delle precauzioni che si applicano ai luoghi di lavoro, alla gestione dei casi sospetti o alle situazioni in cui è necessario sospendere l’attività lavorativa e ricorrere alla cassa integrazione.

“Sulla base delle informazioni nazionali ed internazionali al momento disponibili, si ritiene quindi di fornire le seguenti indicazioni operative circa i comportamenti da adottare dal datore di lavoro al fine di prevenire la diffusione del contagio da COVID-19 all’interno delle aziende”, spiega LabLaw, specificando però che le indicazioni fornite potranno essere oggetto di aggiornamento in base agli sviluppi dei prossimi giorni e alle possibili nuove decisioni delle istituzioni.

Per chi volesse approfondire la questione, Adapt ( associazione per gli studi internazionali e comparativi in ​​materia di lavoro e relazioni industriali) ha organizzato un webinar gratuito in programma per mercoledì 26 febbraio.

CORONAVIRUS: GLI OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO

Il datore di lavoro, in base alla legge, ha il dovere di adottare tutte le misure di sicurezza necessarie per garantire l’integrità fisica e morale dei suoi dipendenti. Il decreto legge n.81 del 2008 – che può essere applicato in situazioni come quella attuale – stabilisce inoltre che il datore di lavoro “ha la responsabilità di tutelare i lavoratori dall’esposizione a “rischio biologico”. In virtù di quanto appena detto, LabLaw consiglia di aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), mettendo parallelamente a disposizione del proprio personale tutti gli strumenti indicati dagli esperti in grado di migliorare la salubrità dell’ambiente di lavoro. Occorre dunque provvedere all’installazione di erogatori di gel antibatterici, alla dotazione di guanti o mascherine protettive. Inoltre, “in conformità con le indicazioni dettate dalla circolare del Ministero della Salute il 3 febbraio 2020, il datore di lavoro deve invitare i propri dipendenti a ricorrere alle comuni misure preventive della diffusione delle malattie trasmesse per via respiratoria”. In questo caso ci troviamo di fronte ai sistemi di prevenzione più comuni: lavarsi frequentemente e accuratamente le mani, fare attenzione all’igiene delle superfici, evitare contatti stretti con persone che presentano sintomi.

COME COMPORTARSI CON I CASI SOSPETTI

Se il datore di lavoro si accorge della presenza di un soggetto che “risponde alla definizione di caso sospetto”, spiega ancora LabLaw, ha il dovere di contattare immediatamente i servizi sanitari. Nell’attesa del loro arrivo occorre evitare contatti ravvicinati con la persona che potrebbe aver contratto il virus, fornirle una maschera chirurgica e prestare attenzione alle superfici con cui è venuto a contatto. Bisogna inoltre far eliminare direttamente dal soggetto interessato i fazzoletti di carta utilizzati, gettandoli in un sacchetto impermeabile che sarà smaltito con i materiali prodotti durante le attività sanitarie del personale di soccorso.

QUANDO SOSPENDERE L’ATTIVITÀ LAVORATIVA

In presenza di casi sospetti, il datore di lavoro ha l’obbligo di sospendere l’attività lavorativa:

– per i lavoratori che abbiano avuto contatti stretti e continuativi con casi confermati di malattia infettiva diffusiva COVID-19,

– per i lavoratori che, negli ultimi 14 giorni, abbiano fatto ingresso in Italia dopo aver soggiornato in Cina, nelle aree interessate dall’epidemia.

SMART WORKING E TELELAVORO

Nei casi sopra riportati e a scopo precauzionale il datore di lavoro può chiedere ai suoi dipendenti di lavorare da remoto, ricorrendo allo smart working e al telelavoro. A prevederlo è anche il decreto del Governo del 23 febbraio.

“Il datore di lavoro è inoltre tenuto a valutare i dipendenti con particolari condizioni di salute (come le lavoratrici in gravidanza) e potrebbe adottare, anche in tal caso, misure specifiche idonee a tutelare la salute sul lavoro, come lo svolgimento della prestazione lavorativa da remoto”, puntualizza LabLaw.

Infine, nei casi in cui non sia possibile riprendere l’attività lavorativa a causa del coronavirus il datore di lavoro può ricorrere alla Cassa Integrazione Ordinaria, che viene concessa dall’INPS in presenza di “situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali”.

LE TRASFERTE

In virtù della diffusione del coronavirus il datore di lavoro deve annullare qualsiasi trasferta o transito nelle zone a rischio, comprese ovviamente le aree dichiarate off limits dalle autorità.

6 thoughts on “Coronavirus e imprese: la guida per i datori di lavoro

  1. SALVE VORREI SAPERE , QUALI SONO I DIRITTI E I DOVERI DEI LAVORATORI IN CASSA INTEGRAZIONE IN DEROGA.
    IL LAVORATORE DEVE ESSERE A DISPOSIZIONE DEL DATORE DI LAVORO DURANTE LA CASSA INTEGRAZIONE , DEVE CIOE’ ESSERE DISPONIBILE A SVOLGERE REGOLARE ATTIVITA’ LAVORATIVA QUALORA IL DATORE LO RICHIEDA( SENZA SOSPENSIONE DELLA CASSA INTEGRAZIONE) ?

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  2. Salve , vorrei sapere se tra il personale dipendente presente nei locali e non presenti , in caso di contagio il datore di lavoro e obbligato ad informare tutti i dipendenti , che ci sono stati due o più casi?? oppure devono mantenere il segreto sulla privacy?

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  3. Marco De Antoni Ratti · Edit

    grazie per l’interessante articolo. Chi scrive lavoro in un gruppo industriale particolarmente numeroso quale è Finmeccanica, che speso ha fatto scuola in tema di relazioni sindacali. Il mio caso può potenzialmente interessare molteplici persone.

    Poco tempo dopo la creazione della One Company Leonardo, i sindacali confederali e la capogruppo firmarono a Roma un’intesa sullo smart working che recepiva il decreto dell’allora governo Renzi.
    All’Oto Melara di La Spezia da cui scrivo non fu mai implementato e nel resto del gruppo era comunque previsto in pochi progetti pilota.

    L’adesione era su base volontaria del singolo lavoratore interessato. Dopo l’emergenza del coronavirus, è stato comunicato tramite e-mail che sarebbe stata estesa a rotazione al 50% del personale tenuto a collegarsi da casa.
    Diversamente dal consueto, non è stato affissa nessuna stampa cartacea nella bacheca sindacale.

    Ho sollecitato, come sempre senza riucontro alcuno, la pubblicazione di un calendario dei turni di operai e impiegati indicante nome,cognome, data di inizio e di fine del periodo durante il quale il dipendente è tenuto a presentarsi nella sed edi lavoro.

    Abbiamo invece delle e-mail individuali, nelle quali i colleghi non sono inseriti in conoscenza. E’ una modalità insolita per quest’azienda, che, in caso di controlli da parte della polizia, impedisce al dipendente di provare che si stia effettivamente recando al lavoro. L’e-mail individuale, peraltro nemmeno in cc a terze persone, ha valore probatorio scarso per non dire nullo.

    Dal documento inviato, sembrerebbe che ai dipendenti sia possibile connettersi dal proprio domicilio soltanto tramite il notebook fornito dall’azienda e da essa predisposto con specifico client e token di autenticazione, per ovvie ragioni di sicurezza informatica. I notebook NON sono stati distribuiti a tutti i lavoratori, bensì soltanto a quanti già prima della crisi avevano occasione di effettuare trasferte fuori provincia, ovvero di lavorare in mobilità.
    .
    Gli altri colleghi come me cosa dovrebbero fare? ho dato la mia disponibilità a consumare ferie e permessi del 2020. Ho anche aggiunto che, finito tale periodo, ero disposto ad accettare una variante contrattuale temporanea con l’introduzione di un orario part-time verticale (e conseguente riduzione di stipendio).

    Non vi sono evidenze di un accordo che preveda il diritto di chiedere un part-time verticale su base volontaria n abbiamo notizia della richiesta e/o concessione di ammortizzatori sociali a copertura dei periodi non coperti dal monte ore di ferie o permessi.

    Reply
  4. Marco De Antoni Ratti · Edit

    grazie per l’interessante articolo. Chi scrive lavoro in un gruppo industriale particolarmente numeroso quale è Finmeccanica, che speso ha fatto scuola in tema di relazioni sindacali. Il mio caso può potenzilamente interessare molteplici persone.

    Poco tempo dopo la creazione della One Company Leonardo, i sindacali confederali e la capogruppo firmarono a Roma un’intesa sullo smart working che recepiva il decreto dell’allora governo Renzi.
    All’Oto Melara di La Spezia da cui scrivo non fu mai implementato e nel resto del gruppo era comunque previsto in pochi progetti pilota.

    L’adesione era su base volontaria del singolo lavoratore interessato. Dopo l’emergenza del coronavirus, è statocomunicato tramite e-mail che sarebbe stata estesa a rotazione al 50% del personale tenuto a collegarsi da casa.
    Diversamente dal consueto, non è stato affissa nessuna stampa cartacea nella bacheca sindacale.

    Ho sollecitato, come semore senza riuscontro alcuno, la pubblicazione di un calendario dei turni di operai e impiegati indicante nome,cognome, data di inizio e di fine del periodo durante il quale il dipendente è tenuto a presentarsi nella sed edi lavoro.

    Abbiamo invece dele e-mail individuali, nelle quali i colelghi non sono inseriti in conoscenza. E’ una modlaità insoltia per quest’azienda, che, in caso di controlli da parte della polizia, impedisce al dipendente di provare che si stia effetivamente recando sl lavoro. L’e-mail individuale, peraltro nemmeno in cc a terz epersone, ha valore probatorio scarso per non dire nullo.

    Dal documento inviato, smebrerebbe che ai dipendenti sia possibile connettersi dal propri odomiclio soltanto tramite il notebook fornito dall’azienda e da essa predispsoto con specifico client e token di autenticazione, per ovvie ragioni di sicurezza informatica. I notebook NON sono stati distribuiti a tutti i lavoratori, bensì soltanto a quanti già prima della crisi avevano occasione di effetura trasferte fuori provincia, ovvero di lavorare in moblità.
    .
    Gli altri colleghi come me cosa dovrebbero fare? ho dato la mia disponibilità a consumare ferie e permessi del 2020. Ho anche agiunto che, finito tale periodo, ero dispsoto ad accettare una variante contrattuale temproanea con l’introduzione di un orario part-time verticale (e conseguente riduzione di stipendio).

    Non vi sono evidenze di un accordo che preveda il diritto di chiedere un part-time verticale su base volontaria n abbiamo notizia della richiesta e/o concessione di ammortizzatori sociali a copertura dei periodi non coperti dal monte ore di ferie o permessi.

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