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Contratti, i tre punti deboli della nuova piattaforma Cgil, Cisl e Uil e la svolta che non c’è

La nuova piattaforma sindacale sui contratti rischia di diventare l’ennesima occasione perduta e rivela tre gravi contraddizioni sull’enfatizzazione del contratto nazionale, sul tentativo di insabbiare per via contrattuale le novità del Jobs Act e sulla mancata regolamentazione del diritto di sciopero secondo l’art.40 della Costituzione.

Contratti, i tre punti deboli della nuova piattaforma Cgil, Cisl e Uil e la svolta che non c’è

Ben difficilmente il documento di Cgil, Cisl e Uil per “un moderno sistema di relazioni industriali”  potrà fare molta strada. A onor del vero bisogna sottolineare che nei momenti più difficili ( ma anche più importanti) della storia sindacale, quando i rapporti di forza non erano oggettivamente pro-labor, gli obiettivi dichiarati si sono poi gradualmente adattati alla realtà, facendo di necessità virtù pur creando divisioni profonde tra le componenti riformiste e l’ala massimalista del “movimento”. 

Così avvenne nella lunga e sofferta vicenda della scala mobile. Gli incontri sindacali iniziarono nell’aprile 1981, quando venne per la prima volta presentata da Pierre Carniti la “proposta Tarantelli” per la predeterminazione dei punti di scala mobile ma la trattativa si trascinò fino al fatidico 14 febbraio 1984 con tutte le conseguenze che ne derivarono. La realtà prende sempre il sopravvento e , sia pur con fatica, alla lunga tutti ne prendono atto. Chi nella Confederazione diretta da Susanna Camusso sosterrebbe oggi che la scelta di firmare l’accordo di San Valentino fu un tradimento o, più semplicemente un errore, da parte di Cisl, Uil, e socialisti Cgil ?

Non è passato molto tempo dall’uscita dell’allora Fiat dalla Confindustria accompagnato dalla firma di un contratto nazional-aziendale (da cui la Fiom-Cgil si autoescluse) che mandò in frantumi il mito dell’intangibilità della supremazia del contratto collettivo nazionale, aprendo la via al modello di relazioni industriali applicato in Germania.

Ancor più recente la vicenda dell’articolo 18: il sindacato ha assunto una posizione unitaria e compatta “contro ogni manomissione” , ma è stato costretto poi a prendere atto di essere isolato nel paese e a limitarsi a proteste più formali che sostanziali.

Il documento sindacale contiene riflessioni e proposte che debbono essere prese in seria considerazione ma tre aspetti ( a cui si aggiunge una macroscopica sottovalutazione) sono vistosamente contraddittori e inadeguati se si vuole essere protagonisti di una svolta effettiva.

Il primo è quello che vorrebbe attribuire al contratto nazionale non solo il compito di difendere il potere d’acquisto delle retribuzioni ma anche quello di distribuire parte del salario di produttività. Se la crescita della produttività è una delle chiavi di volta della ripresa dell’economia italiana non è questa la via più efficace, anche se bisogna fornire una soluzione credibile alla complessa questione del livello decentrato territoriale di contrattazione. 

La proposta confederale arriva pochi giorni prima della ripresa delle trattative tra Federmeccanica e sindacati metalmeccanici per il rinnovo del contratto nazionale. Il fronte sindacale si presenta oggi unito. Ma potrebbe reggere ad una lunga guerra di posizione con un padronato non certo insensibile al “modello Marchionne” con un governo che si dichiara disponibile solo a far propria l’intesa quando verrà sottoscritta?

Il secondo aspetto riguarda il tentativo di ripristinare per via contrattuale alcune norme recentemente modificate dal Job’s Act. Senza entrare nel merito della richiesta, il fatto è che questo approccio “riabilita” il vituperato “articolo 8” del Ministro Sacconi che attribuiva agli accordi sindacali il potere di modificare quasi tutte le leggi in materia di lavoro. Se si dovessero considerare attuali i giudizi sindacali del passato questa potrebbe rivelarsi una mossa rischiosa e un’arma a doppio taglio che potrebbe portare a risultati opposti a quelli desiderati. 

Il terzo è rappresentato dalla (positiva) riscoperta della “dimensione costituzionale” del ruolo del sindacato che curiosamente (ma non troppo) viene fatta richiamando gli articoli 39 (rappresentanza ed efficacia generale dei contratti )e 46 della Carta ( partecipazione) ma dimenticando l’articolo 40 (diritto di sciopero e sua regolamentazione). In questo modo non si accetta il principio che potere e responsabilità sono due facce della stessa medaglia. 

Non si possono esercitare funzioni di governo o di controllo senza assumersi le relative responsabilità. Lo sciopero, che è un caposaldo della democrazia è un diritto individuale esercitato collettivamente, attraverso le regole concordate, dai lavoratori che ne sono titolari. Non sono realizzabili gli articoli 39 e 46 della Carte se non contestualmente all’articolo 40. Una volta si sarebbe detto “simul stabunt, simul cadent”.

Infine vi da segnalare una grave sottovalutazione del fenomeno degli infortuni mortali, laddove il documento si limita alla denuncia in termini burocratici di una inversione di tendenza. Il punto è che siamo di fronte ad una crescita di ben più di cento morti sul lavoro tra il 2014 e il 2015, cosa che meriterebbe non solo una forte denuncia ma anche iniziative concrete in tempi rapidi.Una cosa è certa: senza sciogliere nodi e contraddizioni si corre il rischio di ripetere il copione di un sindacato che, pur mantenendo una rappresentanza importante del mondo del lavoro, non riesce a cogliere risultati adeguati.

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