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Commercio, la chiusura domenicale costa cara al Pil

L’Istituto Cattaneo di Bologna ha calcolato l’effetto sull’economia e sui posti di lavoro della chiusura dei negozi la domenica, secondo i provvedimenti in discussione in Parlamento e voluti soprattutto dai Cinque Stelle – Gli effetti sono molto pesanti

Commercio, la chiusura domenicale costa cara al Pil

Chiusura dei negozi e dei centri commerciali la domenica e nei giorni festivi: tante proposte, molte polemiche, ma le stime parlano chiaro e indicano nella maggior parte dei casi un effetto negativo sull’occupazione e sul Pil. Se infatti la proposta, partita dal Movimento 5 Stelle e seguita successivamente dalla Lega e anche da una controproposta (molto più morbida) del Partito Democratico, ha sulla carta il nobile intento di ripristinare la domenica come “giorno di riposo” e di aiutare i piccoli esercenti a non essere fagocitati dalla grande distribuzione, molte stime dicono che i risultati non sarebbero quelli sperati e che anzi la misura potrebbe rivelarsi parecchio controproducente. A sostenere questa tesi è anche l’Istituto Carlo Cattaneo, autorevole centro di studi e ricerche fondato nel 1965, che stima le conseguenze sull’economia delle singole proposte di 5 Stelle, Lega e Pd, e anche di un ipotetico testo unificato che medi fra i tre disegni di legge.

Il verdetto sul progetto grillino, che consente un massimo di 16 aperture l’anno nelle 52 domeniche e nei 12 giorni festivi (totale potenziale di 64 giorni) è impietoso: costerebbe 9,4 miliardi di Pil (di cui circa solo la metà recuperabili ma più attraverso l’e-commerce che con un ritorno significativo per i piccoli esercizi) e porterebbe ad una riduzione potenziale di 148.000 posti di lavoro. La perdita sul Pil tiene conta solo i mancati consumi, ai quali va aggiunta una diminuzione di gettito fiscale e contributivo che può oscillare – secondo l’Istituto Cattaneo – tra 1,5 e 2 miliardi di euro annui. Senza contare quello che il centro di ricerche definisce l’impatto in termini di psicologia economica globale della chiusura domenicale e festiva dei centri commerciali. Un esempio citato è lo stop alla vendita dei ristoranti Cigierre (Old Wild West e altri), da parte di BC Partners, comunicata il 14 novembre 2018: secondo alcune fonti interpellate – scrisse il Sole 24 Ore -, la vendita sarebbe stata messa in pausa per il momento proprio perché l’attuale situazione macroeconomica in Italia è considerata eccessivamente incerta.

Gli aspetti positivi, come il minor stress da lavoro per gli occupati (sono 4,7 milioni gli italiani che lavorano di domenica, il 19,5% del totale, come in Francia ma molto meno che in Paesi come Danimarca e Olanda, col 33%, e sotto la media Ue col 23,2%) e la possibile miglior salute sociale collettiva, sono considerati dall’Istituto Cattaneo poco rivelanti, così come gli eventuali benefici per i piccoli commercianti: “Riteniamo plausibile – scrive la ricerca analizzando la proposta dei Cinque Stelle – un recupero di 5,4 miliardi di euro, concentrato per circa 1,4 miliardi sull’e-commerce e per 4 miliardi in termini di spesa nelle altre giornate della settimana. In quest’ultimo caso però la quota ad appannaggio dei piccoli esercenti sarebbe marginale, stimabile tra il 10 ed il 15%”.

Per quanto riguarda le altre proposte di riforma, avrebbero effetti meno traumatici. La proposta della Lega, che consiste nella chiusura in 12 giornate festive definite, indipendentemente dal loro accadimento, per lo status di festività particolari, avrebbe un impatto occupazionale stimato in meno 33.000 posti di lavoro, con una perdita relativa di PIL pari allo 0,14% (-2,1 miliardi di euro). “Di questi – scrive Cattaneo – riteniamo plausibile un recupero di 1,4 miliardi, concentrato per circa 900 milioni sull’e-commerce e 500 milioni in termini di spesa nelle altre giornate della settimana”. Ancora più blando l’impatto della proposta del Pd, che rispetto alle 12 chiusure volute dalla Lega, propone all’esercente la possibilità di derogare 6 volte (quindi di fatto solo 6 chiusure obbligatorie all’anno): si perderebbero comunque 15.000 posti di lavoro complessivi (filiere incluse), con il PIL che verrebbe penalizzato dello 0,064%, pari a meno di 1 miliardo di euro, di cui una buona parte recuperabile tramite il rimbalzo dei consumi negli altri giorni della settimana e l’e-commerce.

Il testo “di compromesso” sarebbe invece così articolato: chiusura per 12 giornate festive definite (con possibilità di deroga per un massimo di 4 volte), chiusura domenicale (con possibilità di deroga da un minimo di 8 ad un massimo di 26 volte su 52 domeniche complessive). Porterebbe, secondo le proiezioni dell’Istituto Cattaneo, una riduzione stimata di 94.000 posti di lavoro ed un impatto negativo sul Pil di 6 miliardi di euro. A questi numeri vanno infine aggiunti due fattori: il crollo, del 50%, della spesa dei turisti esteri, che sono quelli che più alimentano i consumi nel fine settimana, soprattutto nel settore moda e abbigliamento; e la “cautela” delle stime dell’Istituto Cattaneo.

Per quanto riguarda i turisti, prendendo in esame i circa 1,5 milioni di viaggiatori che visitano ogni anno Firenze, Milano, Roma e Venezia con motivazione principale lo shopping, i dati dicono che spendono mediamente a testa 112 euro al giorno, una cifra dunque ben più alta di quella attribuibile alla media di tutti i turisti: la maggior parte dei soldi viene spesa in gioielli (18%), abbigliamento (16%) e accessori e oggetti di design/arredamento/antiquariato/quadri (entrambe al 13%). Nella classifica della spesa pro-capite giornaliera degli shopping tourist, Venezia è in testa con 238 euro, seguita da Firenze (120 euro), Milano (113 euro) e Roma (94 euro). Ma anche tra gli italiani la tendenza è confermata da uno studio di Federdistribuzione presentato alla Camera nel 2018: 19,5 milioni di famiglie italiane comprano la domenica, per il 58% delle famiglie l’acquisto domenicale è prassi consolidata, la domenica è il secondo giorno della settimana per fatturato tra gli aderenti Federdistribuzione, i giovani acquistano maggiormente la domenica, avendo come alternativa l’e-commerce.

Per quanto riguarda la modalità di analisi dell’Istituto Cattaneo, la stima per la perdita di Pil in una domenica con i negozi chiusi è persino molto conservativa: “Le nostre stime sono cautelative: Cermes/Bocconi nel 2006 aveva stimato il valore di Pil di una domenica in quasi 300 milioni di euro. Il nostro ambito di riferimento (incrementale per scarto effettivo) ha un pivoting value prossimo invece ai 200 milioni euro/domenica“, spiegano gli autori della ricerca.

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