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Cinema: i Moschettieri del Re, la parodia (mal riuscita) di Veronesi

Nel ruolo dei tre moschettieri e di D’Artagnan ci sono Sergio Rubini, Pierfrancesco Favino, Rocco Papaleo, Valerio Mastandrea, ma la commedia di Veronesi non convince: non è comica, non è avventurosa, non è storica e non è moderna – IL TRAILER.

Cinema: i Moschettieri del Re, la parodia (mal riuscita) di Veronesi

Giudizio dell’autore: 

Il genere del “cappa e spada” ha dato alla storia del cinema pagine interessanti, divertenti, sufficientemente significative della sua epoca storica. Ricordiamo solo alcuni titoli: Robin Hood, Il capitano Jack Sparrow, la leggenda di Zorro. Una saga particolare ha riguardato i titoli degli spadaccini alla corte del re di Francia. Il film di questa settimana è l’ultimo di questa serie: Moschettieri del Re del regista Giovanni Veronesi. La storia è semplice: si ricompone il gruppo degli storici quatto Athos, Portos, Aramis e il loro capo D’Artagnan che, su incarico della regina, deve compiere una missione segreta durante la guerra contro gli Ugonotti.  

L’attesa era per vedere un film comico, una specie di cinepanettone natalizio leggero, alternativo ai soliti Natale a vattelappesca. Insomma eravamo alla ricerca di un modo rilassato e divertente di passare un paio d’ore al cinema. Il risultato è ai limiti del disastroso: dialoghi surreali, sgrammaticati, inconsistenti. Sceneggiatura senza capo o coda, non si capisce in alcun modo se vuole essere un film, appunto, di “genere” o una parodia dello stesso. Non è comico, non è avventuroso, non è storico e non è moderno (assolutamente incomprensibile il finale). Per non dire di quando, ad un certo punto, parte una base musicale di un celebre brano rock. Sembra solo di capire che gli attori (Sergio Rubini, Pierfrancesco Favino, Rocco Papaleo, Valerio Mastandrea e Margherita Buy) si divertono ad interpretare ruoli per loro inconsueti ma nulla di più.  

È sempre acceso il dibattito sul tema del cinema italiano e la sua crisi. Chi ci scrive, solitamente, è molto critico e non ha mancato di sottolineare le difficoltà a far emergere testi, soggetti e regie meritevoli di attenzione, in grado di andare oltre i soliti timbri narrativi tutti incentrati sul proprio ombelico. Quando poi questo avviene, come il caso di questo film, sembra emergere con tutta evidenza il perché e il per come il cinema italiano fatica a ritrovare una sua identità e una sua forza produttiva. Troppo poco, troppo scarso, troppo leggero tutto l’impianto. Sorge forte il sospetto che, dietro pellicole di questo genere ci sia una eccessiva facilità di accedere a contributi e sostegni alla produzione che, altrimenti, difficilmente vedrebbero la luce. Dispiace per due motivi: anzitutto perché il genere “cappa e spada” merita maggiore rispetto e attenzione, poi perché è andata persa una buona occasione per proporre, in questo periodo, un titolo che il pubblico solitamente si attende: semplicemente divertente.  Sembra che il regista ha impiegato molti anni per mettere in piedi questo lavoro. Peccato.

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