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Cento anni fa nasceva l’Avvocato Agnelli

Il 12 marzo del 1921 nasceva a Torino Giovanni Agnelli, detto Gianni per distinguerlo dal capostipite della dinastia e generalmente conosciuto come l’Avvocato: guidò la Fiat dalla metà degli anni ’60 e fu un punto di riferimento nel Paese – Testimonianze e ricordi

Cento anni fa nasceva l’Avvocato Agnelli

Il 12 marzo di cento anni fa nasceva a Torino Giovanni Agnelli, detto Gianni per distinguerlo da subito dal capostipite della famiglia, il senatore del Regno e fondatore, unitamente ad altri otto soci, della Fiat Giovanni Agnelli.

Nella migliore tradizione sabauda della società torinese frequentò la scuola pubblica al liceo D’Azeglio e poi l’ Università dove si laureò in Giurisprudenza, diventando per tutti nel corso degli anni “l’Avvocato”

Fu di educazione liberale, in un periodo in cui diversa era la ideologia imperante tra i giovani, grazie al nonno (autore, con Attilio Cabiati, nel 1918 del manifesto europeista “Federazione Europea o Lega delle Nazioni?”) che gli affiancò come “precettore privato” Franco Antonicelli, un intellettuale antifascista già condannato dal regime al carcere e al confino per tre anni e futuro senatore, negli anni sessanta, della Repubblica Italiana eletto come indipendente nelle fila del PCI. 

Dal 1946 e per i successivi vent’anni sarà Vice-Presidente della Fiat sotto la Presidenza di Vittorio Valletta.

Un aneddoto vuole che a quel tempo Valletta chiese al giovane rappresentante della famiglia Agnelli, l’allora venticinquenne Gianni: “I casi sono due: il Presidente o lo fa Lei o lo faccio io”, ed Agnelli rispose: “Professore, lo faccia Lei”.

Prese in mano la direzione dell’Azienda a metà degli anni sessanta quando era ormai finito il “miracolo economico” del dopo guerra e si avviava un periodo di crisi economica che eufemisticamente veniva definito “la congiuntura” e che sarebbe sfociato successivamente negli anni nelle lotte sindacali, nella crisi petrolifera, nella marcia dei quarantamila, ma anche nella ristrutturazione, consolidamento e rilancio della Fiat negli anni ottanta e novanta.

Ebbe stretti legami con l’America, in particolari con i Kennedy, con Nelson Rockefeller, Governatore prima dello Stato di New York e poi Vice-Presidente degli Stati Uniti, e con il Segretario di Stato americano Henry Kissinger, conquistando la ribalta internazionale in piena guerra fredda per il rapporto instaurato con Aleksej Kossighin, primo ministro dell’Unione Sovietica, alla fine degli anni sessanta, a seguito dell’avvio della fabbrica Fiat in Russia o, come nel 1976, con l’entrata nel capitale Fiat della Lafico (Lybian Arab Foreign Investement Company), vale a dire la Banca di Gheddafi, e la conseguente nomina di due rappresentanti libici nel consiglio di amministrazione Fiat.

L’operazione con la Libia consacrò definitivamente le qualità, già ampiamente dimostrate, di fine diplomatico dell’Avvocato, tanto è vero che più di una volta, durante le frequenti crisi dei governi italiani, nei palazzi romani venne fatto il suo nome per la Farnesina (fu poi la sorella Susanna a essere nominata Ministro degli Esteri nel Governo Dini del 1995).

A metà anni settanta l’ Avvocato era dunque già un mito non solo in Italia ma anche a livello internazionale. Time gli dedicò la copertina e Newsweek lo elesse “primo industriale d’Europa”. Per i francesi è “le roi Gianni” e anche da noi spesso veniva definito come “l’ultimo re d’Italia”.

Nel 1991 venne nominato senatore a vita da Francesco Cossiga.

Incontrai di persona per la prima volta il Presidente della Fiat, avv. Gianni Agnelli, a Foggia in una sua visita nel 1978 allo stabilimento della Sofim, di cui all’ epoca ero Direttore del Personale. La Sofim (Società franco-italiana motori) era nata da una partecipazione paritetica tra Iveco-Fiat, Saviem-Renault e Alfa Romeo-Finmeccanica per la costruzione nello stabilimento di Foggia di motori diesel leggeri per veicoli commerciali e autovetture.

Lo stabilimento, il primo in Europa ad alta automazione per le lavorazioni meccaniche, era entrato in funzione da circa un anno per la produzione giornaliera di mille motori ed un organico di duemila operai. 

La delegazione Fiat in visita era rappresentata ai massimi livelli con l’Avvocato accompagnato da suo fratello Umberto, dall’ amministratore delegato Cesare Romiti e dal direttore finanziario Francesco Paolo Mattioli.

Dopo l’incontro di prammatica con la Direzione aziendale, agli ospiti fu proposta la visita dei reparti di lavorazione su un pulmino ovviamente Fiat. 

Mentre il pulmino si muoveva lentamente tra le linee di montaggio l’Avvocato incominciò ad incalzarmi di domande sugli operai: età media, uomini e donne, titolo di studio, formazione professionale, pendolarità, modalità di selezione del personale, eventuali pressioni di boss politici locali, e così via.

Ad un certo punto, giocando d’azzardo, proposi di scendere dal pulmino ed incamminarci a piedi per conoscere qualche operaio.

Fu un successo: appena venne riconosciuto, fu avvicinato dagli operai che lo salutarono e lo ringraziarono per il lavoro portato al Sud. 

Improvvisamente, diffusasi in fabbrica la voce che c’era Agnelli, scoppiò un fragoroso applauso.

L’ Avvocato mi guardò e con un sorriso triste mormorò: “oggi se fossimo alla  Mirafiori volerebbero le biglie di acciaio”.

Nel 1978 a Torino le BR sparavano in fabbrica.  

Da sempre l’incontro di fine anno della Presidenza con i dirigenti era stato tenuto prima al Centro Storico Fiat di via Chiabrera e poi al Lingotto, ma nel dicembre 2001 fu tenuto per la prima ed unica volta alla Mirafiori, e solo dopo tutti noi lo capimmo.

Terminata l’illustrazione della situazione aziendale e delle sue prospettive da parte dell’allora Presidente in carica, l’ avv. Paolo Fresco (il tema centrale erano le eventuali alleanze a partire dalla joint-venture in atto con la GM), prese la parola l’ Avvocato.

Ormai visibilmente provato, fece un discorso breve riconfermando la piena fiducia nella dirigenza che aveva di fronte, sicuro che i dirigenti Fiat avrebbero superato, come tante volte avevano fatto in passato, le difficoltà delle nuove sfide internazionali.

Nell’ augurare buone feste a noi e alle nostre famiglie ci salutò con “ora lascio la Mirafiori e torno in città”.

Quasi fosse un presagio di addio, scattammo tutti in piedi con un interminabile applauso che cessò solo quando prevalse la commozione.  

Fu l’ultima volta che lo vidi: mancò un anno dopo, il 24 gennaio 2003.

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