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Caturro: la polenta siciliana salvata dal medico e scultore Mormina

Un piatto della tradizione siciliana, ma anche un pezzo di storia: il caturro è un piatto povero ma ricco di sapore. Un modo per non pagare la tassa sul macinato imposta dal Regno d’Italia nell’800. In pochi lo conosceranno, ma la sua storia è affascinante. Ecco la ricetta del caturro siciliano

Caturro: la polenta siciliana salvata dal medico e scultore Mormina

Il caturro, o cuturro, è legato alla storia dei “cavernicoli” di Scicli e dintorni, nell’area archeologica di Chiafura, in provincia di Ragusa. L’ingrediente principale è il grano macinato in casa, tra due pietre di origine lavica, e cotto esattamente come una polenta. Nato come preparazione povera, di vera sopravvivenza, con il tempo e le migliori condizioni di vita al frugale piatto antico si aggiunsero anche altri ingredienti: olio d’oliva, legumi, salsa di pomodoro, verdure o ricotta. Questo piatto in realtà è sconosciuto anche nei luoghi in cui è nato, solo da poco tempo qualche ristorante e agriturismo in zona lo servono ai propri clienti come una rarità.

Nei tempi passati macinare il frumento in casa per il caturro era illegale, in quanto si sfuggiva all’obbligo del pagamento della tassa sul macinato imposta nel Regno d’Italia a fine 800.

La tassa sul macinato era un’imposta indiretta e la metodologia di calcolo si basava sulla quantità di cereale realmente macinato. All’interno di ogni mulino veniva applicato un contatore meccanico che conteggiava i giri effettuati dalla ruota macinatrice. La tassa era dunque dovuta in proporzione al numero di questi giri, che, secondo i legislatori, dovevano corrispondere alla quantità di cereale macinata. Successivamente, l’importo fu progressivamente ridotto finché la tassa non venne definitamente abolita nel 1884. Al momento della sua abrogazione la tassa sul macinato garantiva un gettito all’erario di 80 milioni di lire l’anno, una cifra considerevole. Tanto che il bilancio dello Stato subì un duro contraccolpo a seguito della soppressione del tributo.

Il termine cuturro in dialetto indica una persona trasandata e grossolana. Questo perché questa pietanza si presenta appunto come una polenta poco raffinata in cui i pezzetti di grano non si sono sminuzzati alla perfezione. Ma il caturro era molto più di una semplice forma di sostentamento.

A salvare la memoria del caturro il medico e scultore Gaetano Mormina, che per decenni è stato il custode di questa ricetta. Originario di Scicli, era molto conosciuto in città non solo per la sua attività di medico ma soprattutto per il suo amore per la pietra, che lo ha portato a costruire nel 2010 il Museo della Pietra, in contrada Trippatore a Sampieri, meta di visite scolastiche e numerosi eventi. Un progetto che ha dato nuova vita alle grotte di Chiafura.

Il museo presenta un’aia per la trebbiatura, un forno in pietra di fattura albanese, una grotta in cui dedicarsi al lavoro del pane, recuperata dalla roccia, una macina per la raffinazione del frumento e un’altra per la preparazione del caturro. Mormina ha continuato a macinare grano con le pietre da lui scolpite trasmettendo questa tradizione alla propria famiglia.

Il grano duro, prima frantumato e macinato, si versava lentamente in acqua bollente e salata. Per almeno un’ora veniva mescolato lentamente con un cucchiaio di legno, così da evitare la formazione di grumi. A cottura ultimata, si versava nei piatti e condito a piacimento con diversi ingredienti. Si poteva consumare freddo o fritto in padella. Ecco la ricetta.

La ricetta del Caturro fatto in casa

Ingredienti

3 Kg di grano duro
5 lt di acqua bollente
Sale q.b.

Procedimento

Si inizia sminuzzando grossolanamente il grano. Per l’operazione ci si può avvalere di un macinino da caffè elettrico. Una volta pronto, versatelo poco per volta nell’acqua bollente (come si usa fare anche per la polenta) mescolando lentamente con un cucchiaio di legno.Continuare fino a cottura, quando il grano avrà assorbito tutta l’acqua assumendo la consistenza e l’aspetto di un risotto. A questo punto il cuturro è pronto e può essere condito a piacimento. Di solito si usa la salsa di pomodoro e varie verdure cotte, come bieta, indivia, lattuga e patate. ancora Il condimento più diffuso, però, è quello a base di finocchietto selvatico e olio d’oliva crudo. Altrimenti si può usare una salsa a base di capperi ed acciughe, oppure olio crudo, formaggio grattugiato e peperoncino o pepe nero

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