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Catalogna, le elezioni del 21 dicembre non saranno risolutive

REPORT DI INTESA SANPAOLO – I sondaggi recenti indicano che gli indipendentisti oscillano tra il 47% e il 50% dei consensi, che dovrebbe corrispondere ad un numero di seggi tra 66 e 69, ovvero ad una maggioranza debole.

Il 21 dicembre si terranno le elezioni anticipate del Parlamento della Catalogna, a seguito dello scioglimento anticipato delle camere dichiarato il 27 ottobre 2017, tramite l’applicazione dell’art. 155 della Costituzione Spagnola, attivato a seguito della dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte del presidente Puidgemont. Il Parlamento catalano è formato da 135 membri eletti in base ad un sistema proporzionale con una soglia di sbarramento del 3%.

I membri sono eletti in liste corrispondenti alle città di Barcellona, Girona, Taragona e Lleida. Alle elezioni del 2015, la lista indipendentista Junts pel Sí (JxSí) (che comprendeva i due principali partiti catalani di centro-sinistra, Convergencia Demòcrata Català (CDC) e sinistra all’epoca Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), insieme a diversi partiti minori) ottenne 51 seggi. L’allora presidente Artur Mas della lista JxSí riuscì a formare un governo di coalizione con l’appoggio di Candidatura d’Unitat Popular (CUP) accettando di essere sostituito come presidente da Carles Puigdemont. CUP, difatti, rifiutò di sostenere Mas, che considerava personalmente macchiato da diversi scandali di corruzione in cui era coinvolto il partito CDC.

I partiti indipendentisti sono stati in dubbio se contestare le elezioni, viste come una forzatura del Governo di Madrid e difatti come negazione della dichiarazione di indipendenza del 27 ottobre. A inizio novembre, Puigdemont, rifugiato a Bruxelles da fine ottobre, si è detto interessato a guidare PDeCAT (Partit Demòcrata Europeu Català, in precedenza CD) da Bruxelles alle elezioni del 21 dicembre. I leader dei partiti indipendentisti arrestati dopo la dichiarazione di indipendenza possono partecipare alle elezioni se non ancora condannati. Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), partito indipendentista di sinistra, ha rifiutato di rinnovare l’alleanza di Junts pel Sí e ha condizionato la sua partecipazione a qualsiasi coalizione elettorale, inclusa (CUP), alla partecipazione di membri della Catalunya Sí que es Pot, sezione regionale di Podemos.

Dopo che CUP ha escluso di presentarsi in una coalizione, anche ERC ha deciso presentarsi individualmente. Dopo che CUP ha escluso di presentarsi in una coalizione, anche ERC ha deciso di presentarsi individualmente. Tra i partiti su posizioni contrarie all’indipendenza della regione, oltre i partiti tradizionali ricordiamo anche CatComú–Podem e Ciudadanos Cs. I sondaggi segnalano una partecipazione record all’evento elettorale, superiore all’80%. In generale, i sondaggi mostrano un consenso crescente per Ciudadanos e vicino al 25% e un lieve calo per i partiti pro indipendenza che hanno incentrato la campagna elettorale sulla delegittimazione delle elezioni volute da Madrid.

I sondaggi recenti indicano che gli indipendentisti Junts x Cat, ERC e CUP oscillano tra il 47% e il 50% dei consensi che dovrebbe corrispondere ad un numero di seggi tra 66 e 69, ovvero ad una maggioranza debole. Il panorama post elettorale si prospetta, quindi, molto complicato e la formazione di un governo richiederà settimane. È probabile ma non è scontato che nel dopo voto i partiti indipendentisti si accordino per formare una coalizione di governo. Ma ciò che più conta, è che continuerebbe a mancare un forte mandato a favore dell’istanza indipendentista, dal momento che anche in coalizione gli indipendentisti rischiano di avere una maggioranza piuttosto risicata.

Razionalmente, ciò dovrebbe consigliare un netto cambio di strategia, puntando sulle aperture negoziali emerse a livello nazionale su sollecitazione dei socialisti, invece che cercare un nuovo velleitario scontro frontale. Segnali in tal senso sono arrivati dal numero due di ERC, Marta Rovira. Se saranno confermati, la questione catalana sarebbe ricondotta su binari di normale dialettica politica. La via del dialogo ha sicuramente pagato per altre regioni con spinte indipendentiste. Forse è passato in secondo piano, dati i riflettori puntati sulla Catalogna, ma i Paesi Baschi hanno ottenuto il rinnovo di un accordo di budget assai vantaggioso. In ogni caso, dopo le tensioni di inizio autunno il dialogo per arrivare ad un nuovo equilibrio non sarà né breve né facile.

La vicenda catalana si svolge su uno sfondo macroeconomico decisamente solido. L’economia spagnola continua a crescere ben oltre le attese: il 2017 chiuderà al +3,1%, mezzo punto al di sopra delle stime di Consensus Economics di un anno fa, dopo tre anni e oltre di crescita al di sopra del 3% e oltre due punti più forte del potenziale (stimato dalla Commissione UE all’1,1%). Per il momento, la crisi catalana ha avuto un impatto risibile sulla fiducia di famiglie e imprese e anche all’apice delle tensioni si è vista una reazione di mercato molto contenuta, con una restrizione marginale delle condizioni finanziarie. Tuttavia, nel caso in cui la crisi dovesse nuovamente acuirsi, potrebbero vedersi ripercussioni più significative.

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