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Burro, arance, olio e tazzina di caffè: l’inflazione passa anche dalla tavola. 

I prezzi delle materie prime agricole sono ancora al top, dopo un 2021 record. I gusti dei cinesi portano il burro alle stelle. E gli hedge fund sono pronti a incassare

Burro, arance, olio e tazzina di caffè: l’inflazione passa anche dalla tavola. 

Dopo il boom dei prezzi nel 2021 le materie prime agricole viaggiano ancora sui massimi. I disagi del clima si sommano ai problemi della logistica ed alle puntate della speculazione  

Il colpo gobbo, in un momento difficile per le Borse, l’ha fatto chi, sulle orme di “Una poltrona per due” (l’indimenticabile film di John Landis) ha scommesso sulla gelata delle arance in Florida: poche ore dopo l’annuncio del calo della produzione, causa una malattia delle piante, da parte del ministero dell’Agricoltura, i futures sul succo d’arancia concentrato sono schizzati all’insù. Una spremuta al bar a Manhattan quest’anno costerà il 50 per cento in più.  

A far decollare il prezzo dell’olio di palma, invece, è stata la pandemia che ha obbligato il governo indonesiano ad alzate le barriere all’export per proteggere i consumi interni, mentre la carenza di lavoratori migranti ha in pratica dimezzato il raccolto in Malaysia.

Ben più fragoroso il grido d’allarme dei pasticcieri francesi. L’associazione dei produttori francesi lattiero-caseari ha stimato in 5.500 euro alla tonnellata il prezzo medio del burro industriale, ovvero il 69% in più rispetto ad un anno fa. E non meglio per il latte scremato in polvere. Qui la ragione sta nei nuovi gusti dei cinesi. Gli acquisti di burro di consumatori del Drago crescono senza soste: le importazioni sono cresciute di sei volte dal 2010, il 20 % in più l’anno scorso, anche per l’invito del governo a “fare scorte” per fronteggiare eventuali lockdown anti Covid.  

Le cause sono diverse, l’allarme è comune: i prezzi dei generi alimentari stanno crescendo un po’ ovunque nel pianeta, per effetto delle conseguenze della pandemia, nonché per i problemi della logistica. O, ancoir più grave, l’impennata dei costi del trasporto, dato l’aumento dell’energia. Il risultato è che  l’indice elaborato dalla Fao ha registrato l’anno scorso un aumento dei prezzi del paniere dei beni essenziali nell’ordine del 21%. Problemi di produzione ma a peggiorare la situazione, ha spiegato il capo economista Arif Husain, contribuisce la logistica: il costo del trasporto è cresciuto di quattro volte. 

Anche le soft commodities contribuiscono così alla fiammata dell’inflazione. All’origine ci sono vari fattori. Il clima, innanzitutto. E’ il caso dello zucchero, in forte ascesa lo scorso anno per le gelate in Brasile, oggi, però in calo ai livelli più bassi da sei mesi, per le piogge e le buone prospettive del raccolto in Thailandia. Ma non facciamoci illusioni: le difficoltà a reperire container e l’aumento del real brasiliano stanno frenando la discesa. 

Più o meno quello che sta capitando ai cereali. Dopo un 2021 difficile tra alluvioni nel Midwest e siccità in Canada il prezzo dei cereali si mantiene al top in un contesto di scarsa disponibilità globale di grano di qualità superiore. Sale anche il mais, così come il sorgo. O il riso, i cui prezzi sono saliti del 3% solo a gennaio.  Ma c’è un’incognita: un terzo della produzione mondiale passa dall’asse Russia/Ucraina, oggi a rischio. E un calo di quell’offerta potrebbe portare a forti aumenti, specie nel Medio Oriente, come accadde nel 2011 in occasione della primavera araba. 

Anche per l’Europa, la previsione è per un aumento rilevante per pasta e pane sullo scaffale. 

Sotto pressione, infine, i prezzi della carne (+17,3% rispetto ad un anno fa). Rallenta l’aumento della domanda cinese, il formidabile driver dell’amento dei consumi nell’ultimo decennio, ma il Brasile (pur con i costi ambientali inflitti all’Amazzonia) e l’Australia stentano ad aumentare l’offerta.

Insomma, l’alimentazione, protagonista di un balzo superiore al 40% in un anno, ha contribuito in maniera rilevante alla crescita della diseguaglianza tra ricchi e poveri, sia in chiave internazionale che nei singoli Paesi. Nel 2022 potrebbe andare meglio, a giudicare dall’andamento dei raccolti nel Sud del mondo.  Ma con un’eccezione: il caffè. Il vero “oro nero”, dopo aver toccato un aumento del 76 per cento nel 2021, ha aperto l’anno con un rialzo del 25 % della qualità arabica. Ma anche il robusta prodotto in Vietnam viaggia sui massimi. 

 Intanto fior di meteorologi scrutano le immagini dei satelliti per individuare eventuali gelate nell’entroterra brasiliano. Intanto, scrive il Wall Street Journal, i depositi controllati dagli hedge fund sono pieni zeppi in attesa di scaricare la merce sul mercato in caso di problemi al raccolto. Tra arance e tazzine di caffè, la grande speculazione di stagione passa per la colazione. 

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