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Brexit, Assonime: “Evitare che Uk diventi un grande paradiso fiscale”

Il rischio che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea scateni una gigantesca guerra fiscale va scongiurato con una saggia condotta delle trattative con Londra: è quanto mette in luce un paper di Assonime su “Spunti per una posizione italiana nel futuro negoziato su Brexit” – Per l’Italia l’aggravio aggiuntivo di Brexit sarà di 800 milioni l’anno – IL TESTO DEL PAPER

Brexit, Assonime: “Evitare che Uk diventi un grande paradiso fiscale”

V’è il rischio che il Regno Unito si trasformi in una sorta di grande paradiso fiscale in Europa con una capacità di attrazione gigantesca, data la sua storia e la consistenza della sua piazza finanziaria”. Lo sottolinea Assonime, l’Associazione fra le società italiane per azioni, in un paper pubblicato nella collana “Note e Studi” nel quale sono suggeriti alcuni “Spunti per una posizione italiana nel futuro negoziato su Brexit”.

L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea – fa presente il documento genererà un processo di competizione fiscale tanto più che Londra non sarà più tenuta a rispettare le norme europee in tema di fiscalità, né quelle riguardanti gli aiuti di Stato alle imprese e neppure quelle concernenti il livello di indebitamento pubblico.

In questo contesto la creazione di un “paradiso fiscale” potrebbe essere “una reazione da parte del Governo britannico alla perdita del passaporto europeo per i servizi finanziari”. Una simile eventualità “genererebbe forti squilibri e tensioni con i paesi dell’Unione danneggiando tutte le altre piazze finanziarie dei paesi europei” con il rischio di avviare una vera e propria guerra tra paesi e sistemi finanziari.

È pertanto necessario che il futuro negoziato sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea “affronti anche le questioni dei comportamenti fiscali con un occhio sulle possibili conseguenze che potrebbero derivare da comportamenti eccessivamente aggressivi di competizione fiscale”.

Le trattative sulla Brexit si apriranno in seguito alla notifica della decisione inglese di uscire dall’Unione che, nelle intenzioni del primo ministro britannico – ricorda Assonime – avverrà entro il marzo del prossimo anno. Al momento, tuttavia, molti aspetti sono ancora incerti e si può soltanto formulare qualche ipotesi sui possibili contenuti della posizione della Gran Bretagna e discutere, in questo contesto, quali sono gli interessi italiani.

Guardando alle statistiche commerciali l’impatto “statico” della Brexit non è valutato molto rilevante. Nei confronti dell’Unione, il Regno Unito è un importatore netto di beni (con cui ha un ampio disavanzo, quasi il 5% di GDP) ed un esportatore netto di servizi (con un avanzo di circa l’1% del GDP). A lungo termine gli effetti potrebbero essere più sostanziali qualora l’uscita comportasse importanti fenomeni di diversione dei flussi di scambio e di investimento. Se, ad esempio, i produttori giapponesi di automobili spostassero i loro impianti in altre nazioni dell’Unione o se gli operatori finanziari che operano a Londra per le transazioni in euro con paesi continentali – in primis il clearing delle transazioni sui titoli in euro – abbandonassero la City.

Il negoziato per l’uscita vera e propria della Gran Bretagna “non pone difficili questioni di principio”. Si tratta di regolare l’interruzione dei flussi di pagamento tra il bilancio UE ed il Regno Unito, la divisione delle proprietà comuni ed il ricollocamento delle due istituzioni europee con sede a Londra (l’EBA e l’EMA).

Un problema specifico riguarda gli effetti sul bilancio dell’Unione visto che attualmente la Gran Bretagna mantiene una posizione netta creditoria per circa 7 miliardi l’anno. La sua uscita, assumendo un mantenimento delle spese al livello attuale, dovrebbe pertanto essere compensata da ulteriori contributi degli altri paesi creditori. “Il carico aggiuntivo – sottolinea Assonime – non sarebbe enorme ma neppure trascurabile, soprattutto per Francia e Germania”. Per l’Italia è stato stimato in circa 800 milioni di euro l’anno. 

I maggiori problemi comunque – fa presente il documento – riguarderanno le discussioni per definire le nuove relazioni commerciali e d’investimento tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea. Due “aspetti critici” saranno al centro del negoziato: il libero movimento delle persone e l’applicazione della regolamentazione europea nel Regno Unito. Quest’ultimo “potrà cercare di negoziare il pieno accesso per alcuni settori (per esempio, quello dei servizi finanziari)” ma “il mantenimento del passaporto europeo per i servizi finanziari non è separabile dalla libera circolazione di merci, capitali, servizi e persone” che rappresenta uno dei capisaldi su cui è stata costruita l’Unione Europea.

Nel futuro negoziato l’Italia potrebbe svolgere un ruolo utile ma ci saranno “limiti stringenti alla sua flessibilità”. La preoccupazione principale sarà che la Brexit non abbia impatto sulle questioni intra-UE ed intra-Eurozona. In altri termini la priorità sarà quella di “preservare l’integrità dei principi base che governano l’UE (incluso il bilancio) e la possibilità di completare la costruzione dell’Eurozona”.


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