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Brasile e Argentina pensano a una moneta comune per i loro scambi: il Sur. Ma si rischia il boomerang

Ad avvantaggiarsene sarebbe soprattutto l’Argentina che dribblerebbe il dollaro ma tra gli economisti crescono le perplessità – Il Made in Italy spera invece in un’intesa commerciale tra Brasile e Ue

Brasile e Argentina pensano a una moneta comune per i loro scambi: il Sur. Ma si rischia il  boomerang

La moneta comune tra Brasile e Argentina ha davvero senso?
E’ questa la domanda che si stanno ponendo economisti di tutto il mondo, dopo l’idea lanciata dai ministri dell’Economia dei due Paesi e ripresa dal Financial Times, che ha persino voluto vederci la suggestione di un “euro del Sudamerica”.

In realtà il “Sur” (questo il possibile nome della moneta virtuale) non sarà niente di questo, come si sono già affrettati a chiarire gli interessati: permarrebbero in vigore il peso e il real che non verrebbero superati dalla moneta comune, la quale servirebbe dunque solo a regolare l’interscambio commerciale tra i due Paesi (cresciuto nel 2022 a 26,4 miliardi di dollari, dato aggiornato a novembre), bypassando così il cambio col dollaro, che è tuttora la valuta di riferimento in Sudamerica e che penalizza soprattutto Buenos Aires.

Sur: Argentina più interesse del Brasile nella moneta unica

Ed è proprio per questo che tra gli esperti prevale lo scetticismo: la mossa non gioverebbe più di tanto al Brasile, che ha un’economia stabile e un cambio col dollaro a 5,2 circa, mentre servono 184 pesos argentini per compare un dollaro al cambio ufficiale, che diventano quasi 400, oltre il doppio, al cambio parallelo.
E’ dunque l’Argentina ad avere più interesse nell’operazione, che da parte del Brasile sembra più una mossa politica di Lula per dare un assist all’amico e omologo Alberto Fernandez in vista delle elezioni del prossimo autunno. Il “Sur” darebbe all’opinione pubblica la speranza di una parziale ripresa economica e del contenimento dell’inflazione, che nel 2022 ha chiuso al 95%, il peggior dato dal 1991.
Il Brasile da parte sua rivendica il progetto (che peraltro nemmeno è nuovo, se ne parla dagli anni Ottanta e ancora di recente sotto Bolsonaro) puntando sulla narrazione di una maggiore integrazione economica dell’America Latina, anche come scudo contro le tensioni geopolitiche: “In tempi di guerra i Paesi emergenti sono più esposti a causa della fragilità delle loro valute”, ha scritto il ministro dell’Economia brasiliano, Fernando Haddad, intervenendo sulla Folha de Sao Paulo.

Sur: rischio boomerang

Qualche economista però, come Samuel Pessoa della Fundaçao Getulio Vargas, una delle maggiori istituzioni accademiche del Brasile, ci vede il rischio boomerang: “In questo modo l’economia argentina dipenderà sempre di più da quella brasiliana, così come finora Buenos Aires è stata nelle mani del Fondo Monetario Internazionale. Agli occhi dell’opinione pubblica il Brasile potrebbe diventare il nuovo Fmi e i rapporti tra i due Paesi paradossalmente peggiorare”.
Non è ovviamente questa l’intenzione di due Paesi che oltre a saldi rapporti commerciali (l’Argentina è il terzo partner commerciale del Brasile dopo Cina e Usa), condividono adesso anche lo stesso colore politico al governo, in una fase in cui quasi l’intera America Latina è tornata sotto la bandiera del progressismo, seppur con sfumature e risultati contrastanti.
Se infatti il ritorno di Lula promette distensione nei rapporti internazionali anche fuori dall’area (incontrerà a breve Joe Biden e ha da poco ricevuto il presidente tedesco Olaf Scholz, ricevendo la promessa di un prestito da 200 milioni di euro per l’Amazzonia), non lo stesso si può dire del Perù dove Pedro Castillo è stato destituito in un clima da golpe militare. O dello stesso Cile, dove il giovane socialista Gabriel Boric si è visto rigettare via referendum la nuova Costituzione, o del Messico di Lopez Obrador che ha già fatto sapere che di una eventuale moneta comune del Sudamerica non ne vuole proprio sapere, non avendo nessun interesse il suo Paese a smarcarsi dal dollaro e dai rapporti con gli Usa.

Sur: come funzionerebbe la nuova moneta virtuale?

Il “Sur” sarebbe emesso dal Banco Central Sul-Americano, con una capitalizzazione iniziale garantita dalle riserve internazionali dei Paesi aderenti e/o da una tassa sulle esportazioni fuori dall’area.
Secondo gli economisti però questa operazione, oltre che sbilanciata, è anche tecnicamente difficile, per gli stessi motivi per cui è stata complessa in Europa l’istituzione dell’euro: “Servirebbe una maggiore armonizzazione delle due economie – ha detto Ottaviano Canuto, ex Fmi e Banca Mondiale – che invece vivono realtà molto discrepanti. Ad esempio il debito pubblico argentino rispetto al Pil è molto superiore a quello brasiliano, e Buenos Aires non ha riserve. Sarebbe dunque Brasilia a doverle garantire quasi totalmente. Inoltre serve armonizzazione a livello fiscale e soprattutto maggiore libertà di circolazione di capitali e lavoro, come ha fatto l’Europa con Shenghen”.

Economisti: necessario implementare il Mercosur

Il Mercosur, l’area di libero scambio dell’America del Sud, è invece una creatura parzialmente incompiuta. Oltre a non avere una moneta comune, impone ancora dazi su decine di categorie di prodotti e limitazioni per la mobilità dei lavoratori e delle imprese. Ecco perché molti economisti, anziché una valuta comune, suggeriscono l’implementazione del Mercosur a tutti gli effetti, soprattutto attraverso accordi commerciali multilaterali, come ad esempio quello con l’Unione europea, da tempo in cantiere e che Lula ha promesso di chiudere entro il primo semestre di quest’anno. L’intesa, già pronta sulla carta, è parecchio attesa anche dalle nostre imprese: permetterebbe di proteggere meglio il made in Italy dall’Italian Sounding e consentirebbe di accedere più facilmente agli appalti in America Latina, un’area che già oggi rappresenta il settimo mercato di sbocco per l’export italiano, per un valore di quasi 8 miliardi di euro.

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