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Borse Sudamerica: fuga di investitori esteri dal Brasile e Argentina drogata dalla svalutazione

Destini incrociati per i listini delle due principali economie dell’area: il Bovespa di San Paolo inizia il 2024 in rosso, mentre Buenos Aires vola da quando Milei è stato eletto, ma non è buon segno

Borse Sudamerica: fuga di investitori esteri dal Brasile e Argentina drogata dalla svalutazione

Inizio di 2024 turbolento per le Borse delle due principali economie del Sudamerica, Brasile e Argentina. Per motivi molto diversi, ma entrambe meritano un approfondimento: da un lato l’indice Bovespa di San Paolo, dopo un 2023 positivo, è sceso nel mese di gennaio da 132.000 a 128.000 punti, registrando una vera e propria fuga degli investitori esteri; dall’altro il Merval di Buenos Aires viaggia sulla cresta dell’onda dall’elezione di Javier Milei, ma è “dopato” dalla crisi finanziaria e in particolare dalla svalutazione del peso.

Brasile, fuga degli investitori stranieri: svanisce l’effetto Lula?

In Brasile, sembrerebbe dunque svanito l’effetto Lula sui mercati. Il presidente gradito all’establishment internazionale, rieletto a novembre 2022, aveva portato in quell’anno al record storico di capitale estero investito nella Borsa di San Paolo, superando i 100 miliardi di reais, pari a circa 20 miliardi di euro. Da quel momento in poi, per la verità non tanto per colpa di Lula quanto di alcune dinamiche finanziarie globali, è iniziata la grande fuga degli investitori stranieri: -55,5% nel 2023 e 5 miliardi di reais, cioè circa 1 miliardo di euro, bruciati solo in queste prime settimane del 2024, a testimonianza di un trend che sta persino accelerando.

Il motivo sta principalmente nel fatto che l’economia statunitense sta tenendo, con i dati sull’inflazione migliori del previsto, e gode di buone aspettative nei prossimi mesi, con il taglio dei tassi d’interesse da parte della Fed che secondo il consensus verrà rimandato al secondo trimestre, probabilmente addirittura a giugno (le probabilità che venga deciso nella riunione marzo, secondo gli esperti, sono scese dall’88% al 45%). Questo fa sì che gli investitori Usa e internazionali abbiano in questo momento più interesse a scommettere sulle economie mature, e a riprova di questo l’indice MSCI dei Paesi emergenti, che comprende ovviamente il Brasile, ha perso oltre il 5% negli ultimi 12 mesi. Tuttavia il Brasile, prima economia del Sudamerica che con Lula sta ritrovando una credibilità internazionale (anche se nel 2024 la crescita dovrebbe rallentare all’1,5%, dopo il 3% del 2023), rimane secondo gli analisti un mercato molto interessante, ma non così tanto da concentrarvi gli investimenti in questa fase, in cui le attenzioni sono tutte sugli Stati Uniti. Insomma, il Brasile è ancora buy, ma in questo momento il flusso di investimenti è soprattutto domestico.

Argentina tra inflazione record e boom in Borsa: la sfida di Milei

Diverso e ancora più complesso il caso dell’Argentina, che come è noto vive la sua più grande crisi inflazionistica di sempre e da qualche settimana ha un nuovo presidente che sta promettendo di ribaltare tutto per portare il Paese fuori dal baratro. Oggi, per via anche della maxi-svalutazione del peso voluta proprio dal nuovo inquilino della Casa Rosada, l’Argentina è il Paese con il più alto tasso di inflazione al mondo, peggio persino del disastrato Venezuela: nel 2023 il dato è più triplicato rispetto all’anno precedente (+211%), con una impennata nel solo mese di dicembre, dopo l’elezione di Milei, del 25,5% rispetto al mese precedente. Oggi per comprare un dollaro servono oltre 800 pesos al cambio ufficiale e non più solo in quello parallelo: più del doppio rispetto a quando al governo c’era il peronista Alberto Fernandez, il cui ministro dell’Economia Sergio Massa è stato sonoramente bocciato alle urne lo scorso novembre.

La svalutazione del peso è però anche il motivo per cui la Borsa continua a volare: negli ultimi 12 mesi l’indice Merval ha guadagnato circa il 370% (contro il +12% del Bovespa brasiliano, tanto per fare un confronto) e in particolare è salito di circa il 65% da quando è stato eletto l’estremista di destra Javier Milei, noto per i suoi modi bruschi, le sue ricette draconiane (per non dire in alcuni casi fantasiose) e per aver paragonato, nel discorso di insediamento, la sua elezione alla caduta del Muro di Berlino per l’impatto che avrà sulla storia del suo Paese. Da quando il peso vale così poco, e non serve più per comprare dollari, gli argentini se ne stanno disfacendo per investire in immobili o altri beni e in titoli finanziari, che sono più convenienti se non altro per proteggersi dalla svalutazione. Proprio per questo motivo, l’Argentina resta un mercato sul quale non scommettere, secondo gli analisti che anzi prevedono un’inflazione a tripla cifra ancora per molto tempo.

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