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Borsa, effetto S&P: Milano in altalena

A Piazza Affari mattinata di alti e bassi: alle 12 e 30 vicina alla parità – Spread a 490 – E’ il primo test di mercato dopo il declassamento di mezza Europa – “Il taglio del rating italiano è il problema numero uno” dice il banchiere centrale austriaco Nowotny – La lente delle autorità sull’accordo Unipol-Fonsai- Riflettori accesi su Unicredit e le banche.

Borsa, effetto S&P: Milano in altalena

Italia in trincea dopo la “sberla” di Standard & Poor’s, come il ministro del Welfare elsa Fornero ha definito l’ultimo downgrade del nostro Paese da parte dell’agenzia di rating. Stamane il mercato ha reagito al colpo senza individuare una reazione precisa: dopo un’apertura in rosso, il Ftse Mib ha girato in positivo, arrivando intorno alle 10 e 30 a guadagnare lo 0,4%. La volatilità rimane comunque alta. Stesso andamento per lo spread, che dopo essersi impennato fino a quota 509 è tornato sotto i 490 punti base. 

Sabato c’è stato un vertice straordinario tra il premier Mario Monti, il governatore di Banca d’Italia Ignazio Visco e il ministro Corrado Passera. Facile prevedere che oggi scenderà in campo anche la Banca Centrale Europea, che nelle ultime settimane ha diradato gli acquisti sul mercato secondario. Al contrario, risulta necessaria nel breve una rete di protezione d’acciaio per non vanificare i sacrifici che l’Italia si è imposta pur di difendere l’euro. 

Super lavoro in vista anche per gli ispettori della Consob, intenzionati a far rispettare il divito sulla short selling ed altre misure contro la speculazione alimentata dagli high frequency traders.

Ma non è lecito nutrire troppe speranze: oggi sui listini telematici si vedrà l’impatto del declassamento imposto dall’agenzia all’Italia assieme ad altri otto Paesi, tra cui la Francia. Venerdì la Borsa e i titoli di Stato hanno solo in parte subito l’effetto del downgrade. Ma non c’ da nutrire troppe illusioni sulla partenza della settimana. Il rendimento del Btp decennale, che nella mattinata di venerdì era in forte calo, è tornato a salire nelle ultime battute prima del week end, a mano a mano che trovava conferma l’intervento di S&P, per terminare la giornata al 6,59%, 8 punti base più in alto del giorno prima. 

Il taglio del rating dell’Italia «è il problema numero uno»: le parole di  Ewald Nowotny, banchiere centrale austriaco e membro della Banca centrale europea centrano appieno la situazione che si è creata dopo la raffica di downgrade emessi da S&P venerdì sera. “In tempi normali tutto è possibile – ha proseguito – anche fa fronte ad esigenze di rifinanziamento molto alte, quali quelle che aspettano l’Italia e le sue banche. Ma in situazioni così difficili e cariche di nervosismo può essere un problema”. Ovvero, quando Nicolas Sarkozy ed Angela Merkel arriveranno in visita a Roma venerdì prossimo, non è affatto escluso che Mario Monti si senta ripetere il “consiglio” di rivolgersi al Fondo Monetario per un prestito. Un pressing che verrà ripetuto più volte, facile previsione, di qui al G20 che si terrà in Messico all’inizio di febbraio. A meno che la diga dei Bot e dei Btp, dopo le prove positive della passata settimana, non riesca ad aver la meglio su Standard & Poor’s.

Moritz Kramer, responsabile di Standard & Poor’s per il rating dei debiti sovrani, condivide in parte la diagnosi del banchiere austriaco. La mina più prossima che può far esplodere la santabarbara europea è il default della Grecia: ai creditori, ha detto nel corso della conferenza stampa di sabato, andrà tra il 30 ed il 50 per cento del credito. Ma questo “sconto” potrebbe provocare una reazione destinata a colpire l’Italia che entro marzo deve collocare all’incirca 130 miliardi di emissioni. 

La nota positiva arriva però dalla Germania. Dopo la sfida dell’agenzia di rating Angela Merkel non fa passi indietro. Tutt’altro. Nel corso di un’intervista alla radio Deutschlandfunk il cancelliere si è detta certa che le riforme adottate da Italia e Spagna «convinceranno i mercati nel medio termine». Nel frattempo avanti tutta sull’obiettivo del patto fiscale entro gennaio.

La settimana promette numerosi temi di interesse, anche a prescindere dalle tempeste finanziarie.

L’accordo Unipol-Fonsai, innanzitutto, affronta l’esame delle autorità. Il punto più delicato riguarda l’esenzione dall’Opa per l’aumento Fonsai destinato a slittare dalla data inizialmente prevista (entro marzo). Annunciata l’offerta pubblica su Premafin, Unipol ha subordinato il proseguimento delle trattative all’esonero dell’obbligo d’Opa su Fonsai, come previsto nell’ambito di una ricapitalizzazione richiesta da un’autorità (l’Isvap in questo caso). Ma l’esenzione, non prevista per Premafin, è tutt’altro che scontata.
 
Sotto i riflettori, ancora una volta, l’andamento dei titoli bancari. Termina in settimana la trattazione dei diritti Unicredit (la sottoscrizione potrà avvenire fino al 27 gennaio). Ma, soprattutto, venerdì 20 sfileranno in Banca d’Italia i vertici di Banco Popolare, Mps e Ubi che dovranno presentare i piani per rafforzare il capitale fino ad un core tier 1 del 9%, come previsto dall’Eba. Sarà l’esordio di fuoco di Fabrizio Viola di Mps, che assicura che l’aumento di capitale non ci sarà.

Le turbolenze del settore finanziario hanno profondamente modificato gli equilibri di Piazza Affari già considerata un “listino bancario”. La realtà, ormai, è diversa. In testa c’è saldamente il settore energia-utility che pesa per il 35% sulla capitalizzazione complessiva. In particolare, l’Eni vale il 15% circa del listino italiano. Banche e assicurazioni retrocedono ad un più modesto 29% , cinque punti in meno rispetto a novembre. Il comparto industriale è fermo al 18,6%, seguono le tlc con il 5,74%.

Prospettive nere in Borsa per la Juventus già maglia nera (-44%) nella scorsa settimana. Ma stavolta il deludente pareggio con il Cagliari non c’entra. Mercoledì 18, infatti, sscade il termine per esercitare i diritti derivanti dall’aumento di capitale già sottoscritto pro-quota da Exor (72 milioni a fronte del 60%) che ha così assicurato il requisito della continuità  aziendale. La stessa finanziaria di casa Agnelli si è detta pronta a rilevare il 7,5% in mano alla libica Lafico. Resta il 32,5% in mano ai 35 mila soci di minoranza. Non è detto che la maggioranza di loro sottoscriva i nuovi titoli. Nel caso Exor è pronta a far cassa, come dimostra il fatto che non è stato previsto un consorzio di garanzia. Se la finanziaria dovrà accollarsi oltre il 90% del capitale scatterà l’Opa residuale ed il successivo delisting. Come probabilmente non dispiace ad Andrea Agnelli.  

Entra nel vivo la stagione delle trimestrali Usa. Si comincia oggi con Citigroup e Wells Fargo. Giovedì toccherà a Morgan Stanley e ad un tris di colosso della tecnologia: Microsoft, Google ed Intel.

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