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Bocconi: con 1.000 società quotate in Borsa aumento del Pil del +0,9-1,5%

Una ricerca condotta dall’Università Bocconi in collaborazione con Borsa Italiana ha certificato che portando a mille le società quotate a Piazza Affari si genererebbe un aumento del Pil dell’0,9-1,5%, del gettito fiscale di 2,85 miliardi di euro e di 137.000 nuovi posti di lavoro.

Bocconi: con 1.000 società quotate in Borsa aumento del Pil del +0,9-1,5%

Secondo una ricerca Bocconi e Borsa Italiana, portando a 1.000 le società quotate si genererebbe un aumento del pil dell’0,9-1,5%, di 2,85 miliardi di euro del gettito fiscale e 137.000 nuovi posti di lavoro. Con la quotazione di un maggior numero di imprese, l’Italia avrebbe dunque molto da guadagnare in termini di impatto positivo sull’intera economia.

Ad illustrarlo, una ricerca svolta appunto dall’Università Bocconi, in collaborazione con Borsa Italiana, presentata al convegno ‘Come sarebbe l’Italia con 1000 società quotate’. L’analisi si propone di descrivere l’attuale quadro delle società quotate in Italia e prevedere quali vantaggi potrebbero derivare dalla maggiore presenza di imprese in Borsa. La ricerca si inserisce all’interno di un progetto triennale che Bocconi e Borsa Italiana stanno sviluppando al fine di contribuire alla diffusione della cultura della quotazione in borsa tra le pmi italiane.

Lo studio illustra che in Italia, rispetto ai principali paesi europei, il numero delle società quotate è limitato rispetto al potenziale. Le 291 imprese domestiche presenti sul listino italiano ad inizio 2010 rappresentavano meno della metà delle imprese quotate in Germania, un terzo di quelle in Francia e poco più di un decimo di quelle in Gran Bretagna. Riguardo al peso delle imprese quotate rispetto al totale dell’economia, si evince che in Italia, sempre a inizio 2010, producono il 21% del fatturato nazionale e impiegano il 7% degli occupati. Lo studio stima nell’8% il contributo diretto delle imprese quotate alla formazione del pil per il 2009. Il contributo delle imprese quotate all’economia reale in Francia, Germania e Gran Bretagna risulta invece decisamente più consistente.

Le imprese più piccole in Italia rappresentano numericamente il 77,5% del totale ma sono solo il 16,4% delle quotate, originando una rilevante sottorappresentazione in borsa (-61,1%) rispetto al ruolo giocato nell’economia reale. Mentre le imprese di maggiori dimensioni rappresentano il 4,5% del totale ma la metà delle imprese quotate, con una sovrarappresentazione del 45%. Tale gap nella quotazione delle imprese più piccole è presente anche negli altri paesi ma è meno rilevante (circa -40%) rispetto al caso italiano.

Per quanto riguarda i settori, le imprese meno rappresentate in Borsa rispetto all’economia reale appartengono all’area del commercio, dell’alimentare e dei trasporti. All’opposto appaiono sovrarappresentati i settori della finanza, quelli dell’elettrico e del petrolifero-minerario. Per quanto riguarda i settori tipici del “made in Italy”, i casi di sottorappresentazione riguardano il settore alimentare e il tessile.

“In Italia la borsa rappresenta a tutt’oggi una quota molto ristretta dell’economia reale e intercetta solo una piccola parte del contributo reale delle imprese all’economia,” spiega Manuela Geranio, del Dipartimento di finanza della Bocconi e autrice dello studio. “Il largo ricorso al finanziamento bancario e la carenza di capitale di rischio in Italia crea un circolo che vede le imprese mantenere dimensioni limitate e il loro sviluppo frenato, rendendole così poco appetibili anche per gli investitori istituzionali. Una maggiore presenza di imprese quotate aiuterebbe invece a interrompere questo circolo vizioso.”

Nella parte finale lo studio propone una simulazione quantitativa di come sarebbe l’Italia con 1.000 società quotate. Attraverso un’analisi di regressione si evince che un aumento della capitalizzazione di Borsa comporterebbe un effetto positivo sulla crescita reale del pil nell’anno successivo. Se per esempio alle 294 società presenti sul listino a fine 2010 si aggiungessero le 706 “migliori” società quotabili in Italia la capitalizzazione del mercato aumenterebbe del 34%. Ciò a sua volta produrrebbe un aumento del pil reale per l’anno seguente pari allo 0,9%. Utilizzando una seconda regressione in cui lo sviluppo del mercato azionario viene misurato in termini di numero di società quotate, in alternativa alla capitalizzazione, l’impatto stimato sul pil reale sarebbe ancora più rilevante e pari all’1,5%.

Quanto all’occupazione, il citato aumento della capitalizzazione pari al 34% condurrebbe ad una riduzione del 6,9% del tasso di disoccupazione, grazie alla creazione l’anno successivo di 137.000 nuovi posti di lavoro. Infine, in merito al gettito fiscale, i risultati indicano che l’aumento della capitalizzazione avrebbe l’effetto di aumentare il gettito fiscale nell’anno successivo in misura pari allo 0,82%, stimabile in un aumento degli introiti per lo Stato italiano pari a 2,85 miliardi di euro.

“Lo scarso ricorso alla Borsa penalizza le imprese italiane in termini di crescita, occupazione, R&D e solidità e di riflesso l’intera economia del paese cresce meno rispetto al potenziale,” commenta Geranio. “In quest’ottica, il ricorso a forme di incentivazione della quotazione appare auspicabile. Occorre inoltre che vengano proposti percorsi formativi e culturali, che aiutino le imprese italiane a valutare a che cosa stanno rinunciando. Parimenti è necessario anche che i regolatori e i gestori del mercato facciano la loro parte per ristabilire la fiducia dei risparmiatori. Lo sviluppo di una piazza finanziaria più ampia e diversificata rappresenta una formidabile occasione per contribuire ad una ripresa solida dell’economia italiana.”

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