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BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – Merkel e Tsipras, storie di gatti e topi

BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI, strategist Kairos – Merkel sta cuocendo Tsipras a fuoco lento: la Grecia rimane una spina nel fianco per l’Europa e può ancora indebolire l’euro ma non contagiare il Vecchio continente rendendolo ingovernabile – Mantenere Atene in stato di sopravvivenza non è un problema per l’Europa ma Tsipras rischia di finire ingloriosamente

BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – Merkel e Tsipras, storie di gatti e topi

Europa 1919-1920. Terminata la Grande Guerra, l’Europa continua senza soluzione di continuità la sua guerra civile sull’onda dell’Ottobre russo. Ora il conflitto non è più tra stati ma tra classi. Ci sono meno morti, ma l’atmosfera è per certi versi ancora più incandescente. La borghesia e gli apparati statali hanno infatti attraversato nel secolo precedente molti conflitti tra nazioni riuscendo a sopravvivere e a mantenere il controllo interno anche in caso di sconfitta militare, ma questa volta il rischio è esistenziale. Si tratta di non essere spazzati via per sempre dalla scena.

La Germania e l’Italia sono viste da Mosca come le due aree più promettenti per la rivoluzione. Una ha perso la guerra e l’altra l’ha vinta, ma le accomuna una struttura sociale fragile e instabile. La socialdemocrazia tedesca mantiene però un orientamento riformista, mentre il socialismo italiano, tra mille contraddizioni, sembra conquistato dalla prospettiva rivoluzionaria. Nel 1919 il Psi è il partito più votato ma resta all’opposizione e si allea sul campo con gli anarchici. L’Italia è travolta da scioperi politici, attraverso i quali, nella tradizione soreliana, si pensa di arrivare al potere. Il governo Nitti cerca all’inizio di rispondere politicamente. Tenta di dividere i socialisti dagli anarchici e di reprimere solo gli scioperi politici, limitandosi a controllare quelli puramente sindacali. L’allargarsi del movimento spaventa però gli industriali, che premono sul governo per un’azione più decisa. Nel marzo del 1920 Nitti fa occupare Torino da 50mila militari, ma la lealtà delle truppe è limitata alla Guardia Regia.

Ai primi di giugno i Bersaglieri si rivoltano e l’ammutinamento si allarga ad altri corpi militari in molte regioni del centronord. Incapace di controllare la situazione, Nitti si dimette. Viene allora richiamato in servizio l’ottantenne Giolitti, abile capitano di lungo corso e uomo per tutte le stagioni. Tutto sembra però precipitare ai primi di settembre, quando le grandi fabbriche vengono occupate dagli operai, che iniziano a gestirle autonomamente e si organizzano militarmente. Gli industriali sono di fatto espropriati e i consigli di fabbrica, ispirati ai soviet, controllano la produzione. Che cosa fa Giolitti in una situazione che è ormai oltre l’insurrezione e ha già i connotati di una rivoluzione compiuta? Nulla, assolutamente nulla. Passano le settimane, lo stato sembra essersi dissolto, ma Giolitti aspetta immobile. E anche tranquillo, va aggiunto. Sa che ogni segno di nervosismo non sarebbe altro che una prova di debolezza. Alla fine di settembre le contraddizioni tra sindacato e Psi e all’interno della dirigenza socialista sono tali da paralizzare il movimento. La solidarietà dell’opinione pubblica popolare verso gli occupanti rimane ampia ma mostra chiari segni di indebolimento. Viene firmato un accordo. Il sindacato ottiene un grande successo economico, ma il controllo delle fabbriche ritorna agli industriali. La sconfitta politica è storica. Ho voluto che gli operai facessero la loro esperienza, scriverà più tardi Giolitti ricordando quelle settimane. Faranno la prova, ho pensato, vedranno che è un sogno e ciò li guarirà da pericolose illusioni.

Stati Uniti, aprile 1961. Cuba, la torbida e languida Las Vegas ante litteram degli americani, è da due anni governata da Castro, un nazionalista che sta assumendo sempre di più una coloritura socialista. La perla dei Caraibi è diventata una dolorosissima spina nel fianco degli Stati Uniti, che considerano le Americhe, soprattutto nell’era della divisione tra i blocchi, cosa loro. Da più di un anno la Cia sta preparando un’azione militare per rovesciare Castro. Il neopresidente Kennedy, appena arrivato alla Casa Bianca, viene subito informato e dà il suo consenso. La preparazione dell’operazione avviene però nel peggiore dei modi possibili e tra fughe di notizie che danno a Castro la possibilità di prepararsi. Kennedy ora è perplesso ma l’operazione di sbarco nella Baia dei Porci è ormai avviata e avviene a sua insaputa. La sconfitta militare è immediata, ma quelle che sono più gravi sono le ricadute politiche. Castro si getta tra le braccia dei sovietici e chiede loro di installare le bombe atomiche di fronte a Miami. Nell’ottobre 1962 il mondo rischia l’olocausto nucleare. Nei decenni successivi il castrismo, che lasciato a se stesso sarebbe probabilmente appassito nel giro di pochi anni, si allargherà in versione populista a numerosi altri paesi dell’America Latina.

Hong Kong, settembre 2014. Gli studenti invadono le strade e danno inizio a un’azione di disobbedienza civile contro la decisione, ispirata da Pechino, di imporre un cambiamento della legge elettorale che, di fatto, toglierebbe alla città l’autonomia di cui ha sempre goduto. Il movimento gode di un ampio consenso e mostra una forza inattesa. Pechino è sommamente irritata. Hong Kong gode già di numerosi privilegi rispetto alla madrepatria e l’azione di protesta si svolge sotto gli occhi di tutte le televisioni del mondo. Che cosa fa la dirigenza cinese per riprendere il controllo della città ribelle? Nulla, assolutamente nulla. Si limita ad aspettare e ad annodare dietro le quinte il rapporto con i magnati della città, anch’essi irritati dalla rivolta dei ceti medi. A metà dicembre il movimento abbandona le strade che occupava. Pechino si astiene da una repressione in stile Tienanmen ma si vendica con puntiglio non concedendo nulla, assolutamente nulla, al movimento.

Grecia e Germania, 2015. La vittoria elettorale di Tsipras, in gennaio, suscita un’ondata di simpatia in una parte rilevante dell’opinione pubblica dell’Europa non tedesca. La morsa dell’austerità, già allentata da due anni, appare improvvisamente rottamabile e una nuova Europa appare possibile grazie al fatto che Tsipras non rinnega le promesse elettorali e alza anzi ulteriormente il tiro. La Merkel, che appoggiando Samaras aveva rifatto l’errore commesso in Francia (la sponsorizzazione tedesca di Sarkozy contribuì alla sua sconfitta e alla vittoria di Hollande), intuisce il grave pericolo e decide di mantenere sulla Grecia il profilo più basso possibile. Alla freddezza iniziale verso Tsipras subentra un atteggiamento dialogante e sorridente. Se Tsipras cerca di apparire vittima, martire e quindi eroe, la Merkel, che per anni ha bastonato senza complimenti Orbán in Ungheria a ogni occasione, si mostra molto rispettosa e tranquilla. Tsipras deve cuocere lentamente nel suo brodo e la Merkel gli fornisce il gas necessario alla cottura sotto forma di flebo di acqua e zucchero che tappano i buchi che le fughe di depositanti creano nelle banche greche. La Grecia viene mantenuta solvente con prestiti che servono esclusivamente a ripagare debiti in scadenza e sono quindi solo una partita di giro. Tsipras, dal canto suo, inizia a cuocere male nel suo brodo.

Non ha molti spazi di manovra, ma non usa nemmeno quelli disponibili e non fa praticamente nulla sul fronte interno. Gioca tutto sul colpo grosso, strappare tantissimi soldi all’Europa o fare default. È la costruzione del socialismo con i soldi degli altri. Il teorico dei giochi Varoufakis sembra a tratti proporre una versione omeopatica e civilizzata del socialismo estorsivo nordcoreano, fare i matti e minacciare sfracelli per ottenere un po’ di soldi umanitari sottobanco. In questo modo Tsipras dilapida rapidamente il capitale di simpatia con cui era partito e cessa di rappresentare un modello esportabile. Podemos, che aveva preso a correre forte nei sondaggi proponendo una versione spagnola dell’esperienza greca, ne viene danneggiato e inizia a perdere colpi. I governi europei mediterranei, che inizialmente avevano strizzato l’occhio a Tsipras e fatto un po’ di fronda, si riallineano con la Germania. La Grecia rimane una spina nel fianco, ma è derubricata a problema locale. Ha ancora la possibilità di indebolire strutturalmente l’euro e l’Eurozona, ma non ha più quella di contagiare politicamente altri paesi e rendere ingovernabile il continente, un pericolo ancora più grave del primo agli occhi tedeschi. Mantenere la Grecia in condizioni di mera sopravvivenza non è un problema per l’Europa. Il Pil greco, sempre più piccolo, è l’uno e mezzo per cento di quello europeo. La Banca di Grecia si può sostituire ai depositanti e la Bce si può sostituire alla Banca di Grecia. Il debito greco verso l’Europa può essere costantemente rifinanziato dall’Europa stessa. Nessuno toccherà Tsipras e se Tsipras vorrà fare qualche gesto clamoroso dovrà farselo da solo, pagandone il prezzo. Se vorrà invece limitarsi a vivere di sussidi, avrà i sussidi, ma non creerà crescita e chiuderà la sua esperienza magari fra mille anni, ma ingloriosamente.

Mercati. Gli utili americani stanno uscendo un po’ meglio del previsto e il dollaro forte sembra non averli danneggiati come si era pensato. Simmetricamente, però, è possibile che gli utili degli esportatori europei escano meno brillanti delle attese. Il fatto è che i riallineamenti valutari richiedono qualche trimestre per dispiegare i loro effetti. Le borse, invece, scontano questi effetti quasi istantaneamente. Una pausa nel rialzo europeo è dunque fisiologica e ci sarebbe stata comunque anche senza Grecia.

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