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Blockchain, ecco come si muovono banche e imprese italiane

La tecnologia nata nel 2009 per registrare i movimenti delle criptovalute è in grande espansione anche per transazioni e investimenti. Ecco numeri e progetti dei più importanti gruppi in Italia

Blockchain, ecco come si muovono banche e imprese italiane

La blockchain, termine traducibile letteralmente come “catena di blocchi”, si basa su una rete informatica di “nodi”. Attraverso questi incroci si accede ad un enorme numero di dispositivi interconnessi che condividono le informazioni con procedure sicure e veloci. Grazie a questa tecnologia digitale una transazione sicura (ad esempio) può essere registrata e verificata, a tutela di entrambe le parti. Perché una catena di dati? Perché, come una in sorta di registro digitale, i dati e le informazioni possono essere aggiornati solo attraverso il consenso della maggior parte di coloro che partecipano al sistema. Quando un’informazione viene inserita, si creano un marchio temporale ed un collegamento al blocco precedente, così che i dati siano sempre verificabili e soprattutto non possano essere manipolati.

La tecnologia blockchain nasce nel 2009 per rispondere all’esigenza di registrare i movimenti e avere il controllo delle attività in criptovaluta. La catena dei blocchi, in relazione alla moneta virtuale, costituiva di fatto il database e la copia di sicurezza di tutte le operazioni che venivano effettuate in bitcoin. Naturale quindi il connubio fra tecnologia e finanza, fra blockchain e investimenti, fra criptovaluta e società quotate, fino al principale plus di questa tecnologia: la sicurezza.

Le aziende che si “aprono” alla blockchain

Ecco perché aziende e blockchain, in tutto il mondo e in qualsiasi settore (con particolare attenzione all’agro-alimentare, con la filiera produttiva certificata e trasparente), hanno un rapporto sempre più stretto. Gli ultimi dati ufficiali dimostrano che nemmeno il Covid-19 è riuscito ad arrestare la crescita di questa nuova tecnologia. La ricerca dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano presentata a fine gennaio ha evidenziato infatti che rispetto al 2019 sono cresciuti del 59% i progetti concreti, mentre gli annunci sono calati dell’80%, segno di un mercato che sta uscendo dall’hype mediatico per concentrarsi su iniziative più operative e la creazione di ecosistemi.

I dati dell’Osservatorio mostrano inoltre che l’Italia resta nella top ten dei paesi con più iniziative, nonostante la frenata degli investimenti delle aziende, che nel 2020 sono scesi del 23% rispetto al 2019. Eppure è sempre più frequente imbattersi in iniziative di società quotate che puntano su questa tecnologia per sviluppare nuovi servizi o nuove iniziative. Come dire: investire in blockchain è, non solo in prospettiva, una scelta innovativa e sostenibile.

E così in Italia si va dalle iniziative di big dell’energia come A2A nel settore dell’agricoltura, a investimenti orientati alla gestione finanziaria d’impresa e nelle smart grid. Nel primo caso A2A Smart City (che sviluppa e gestisce infrastrutture tecnologiche abilitanti per servizi digitali integrati e connessi), sta sviluppando progetti legati alla smart agriculture, ossia a sostegno di una supply chain – catena di distribuzione – completamente tracciabile. In pratica l’autenticità del dato raccolto viene sfruttata per gestire i protocolli informatici degli smart contract all’interno della blockchain stessa.

A fine febbraio è stata annunciata invece la conclusione della fase di sperimentazione del progetto di Sistema, Onboarding e Know your customer su tecnologia DLT/ Blockchain, promosso da CeTIF – Università Cattolica insieme ad Intesa (Gruppo Ibm) e CherryChain. Per capire che tipo di sviluppo possa avere questo progetto, basta osservare che tra le società che hanno aderito sono presenti Assolombarda, Banca Mediolanum, Banca Popolare di Puglia e Basilicata, Bnl, Cedacri, Cerved, Confindustria digitale, Enel, FCA Bank, Fondazione Cariverona, Iccrea, Intesa Sanpaolo, Mps, Poste Italiane, Regione Lombardia, Telepass, Ubi Banca, Veneto Sviluppo.

Come dicevamo, parlare di blockchain significa riferirsi a una struttura di dati condivisa e immutabile. Un registro virtuale le cui voci sono raggruppate in blocchi concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia. In sostanza, il suo contenuto una volta scritto non è più né modificabile né eliminabile, a meno di non invalidare l’intera struttura. La parola chiave che si collega a questa nuova tecnologia è “sicurezza”, tema caldo nel web e in tutto il mondo digitale.

L’Osservatorio del Politecnico non a caso evidenzia che nel 2020 “la finanza decentralizzata ha visto moltiplicare applicazioni, utenti e capitale investito”. A livello internazionale, solo per fare un esempio recente, a febbraio Goldman Sachs ha dato vita a un servizio di custodia digitale per la conservazione sicura di criptovalute e smart contract. Molte delle aziende sono finanziarie, poiché si registra un incremento delle applicazioni della blockchain in campo finanziario.

Come si muovono le banche italiane

Anche in Italia, pur con qualche ritardo, le iniziative legate alla fintech si stanno moltiplicando. Banca Sella ad esempio ha lanciato da poco Fabrick, proposta come evoluzione collaborativa dell’open banking. Una piattaforma che punta ad aggregare tutti gli attori che si muovono in questa industry, garantendo ai clienti l’accesso ad un ambiente in cui è possibile realizzare concretamente l’integrazione tra sistemi e servizi diversi.

Tra i best in class del fintech italiano va citata sicuramente Banca Generali, che già nel 2018 aveva scelto di affiancarsi a un partner tecnologico come Reply per proporre alla sua clientela un nuovo fondo focalizzato sulle imprese in prima linea nell’utilizzo della blockchain. Una scelta lungimirante, a testimonianza della capacità innovativa di Gian Maria Mossa, che guida Banca Generali dal 2017. La strategia del veicolo prevedeva di individuare un gruppo principale di aziende quotate a grande capitalizzazione, attive nella catena di blocchi digitale, in modo da garantire adeguata liquidità al fondo stesso.

Banca Generali sta seguendo da vicino l’evoluzione delle applicazioni della blockchain, la principale delle quali è sicuramente quella legata alle criptovalute, che hanno raggiunto una dimensione importante con un trend in continua crescita. La conferma è che l’istituto del gruppo di Trieste ha annunciato a gennaio l’ingresso nel capitale di Conio, fintech attiva nei servizi di criptovalute, in particolare bitcoin.

Banca Generali ha partecipato a un’operazione di aumento di capitale da 14 milioni di Conio e ha anche attivato una partnership di carattere commerciale, che prevede la distribuzione da parte dell’istituto dei prodotti della fintech e servizi di criptovalute. Tra i wallet provider, Conio sfrutta una tecnologia e brevetti esclusivi mirati a garantire la sicurezza di custodia e la riduzione di rischio controparte, facilitando allo stesso tempo il trading. 

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