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Basket, Nba: la situazione a una settimana dai playoff

Stagione regolare dell’Nba ormai agli sgoccioli, ecco che il 20 aprile scattano i playoff: a Est giochi chiusi da tempo, mentre ad Ovest la bagarre è tutt’altro che chiusa.

Basket, Nba: la situazione a una settimana dai playoff

La stagione regolare NBA è ormai giunta agli sgoccioli, manca poco più di una settimana e poi sarà tempo di playoff, che partiranno il 20 aprile. Ad Est i giochi erano chiusi da tempo, anche se Milwaukee si è assicurata matematicamente l’accesso alla fase finale solo pochi giorni fa, blindando il suo ottavo posto grazie alla vittoria su Toronto e quindi spegnendo qualsiasi speranza di rimonta da parte di Philadelphia, nona e lontana sei vittorie dai Bucks, nonostante il recupero nell’ultimo mese.

Con i campioni in carica di Miami saldamente al primo posto e con il miglior record di tutta la lega (60-16), è interessante la lotta per la seconda posizione tra New York e Indiana, che vede i Kinicks (che alla terz’ultima ospiteranno proprio i Pacers) favoriti e reduci da 12 vittorie consecutive, trascinati da un inarrestabile Carmelo Anthony autore di ben 167 punti nelle ultime quattro gare. A contendersi la quarta piazza (e quindi il vantaggio del campo al primo turno dei playoff) dovrebbero essere i Brooklyn Nets di Deron Williams e i Chicago Bulls, tartassati per tutta la stagione dagli infortuni ma che hanno dimostrato un carattere e una forza mentale pazzeschi.

Parlando di Chicago non si può non aggiornare la situazione Derrick Rose, visto che ormai è quasi un anno esatto da quando la stella della squadra si è rotto il legamento crociato del ginocchio sinistro, durante la prima serie dei playoff della passata stagione (fatto che compromise il cammino dei Bulls). La questione è sempre più un mistero e tra i tifosi la preoccupazione di non vedere il loro idolo scendere in campo in questa stagione si fa sempre più concreta, l’Mvp del 2011 per i medici è clinicamente guarito, ha ripreso ad allenarsi da metà febbraio e nei prepartita lavora con i compagni, ma continua a rimandare il suo ritorno. Il problema, ormai, è solamente di carattere psicologico (e per un atleta come lui che ha subito un infortunio del genere, con un legamento interamente ricostruito, i suoi timori e incertezze sono ovviamente condivisibili), di recente ha nuovamente dichiarato che per il momento vuole continuare a migliorare e che tornerà quando si sentirà completamente pronto. Intanto ha detto che pensa ad incoraggiare i suoi compagni, a dar loro fiducia e spingerli a fare il massimo, ma la speranza dei tifosi è quella di vedere il loro numero 1 sul parquet in questa fase finale del torneo. Anche se, ragionevolmente, calcolando il livello di agonismo, intensità e scontri duri caratteristici delle sfide dei playoff, a questo punto potrebbe essere meglio per lui e per la squadra un rientro più tranquillo all’inizio della prossima stagione, staremo a vedere.

A completare il quadro delle otto qualificate, gli Atlanta Hawks, autori di un cammino regolare, e i Boston Celtics, privi da mesi (e fino al termine della stagione) di Rajon Rondo, ma che possono contare su un Kevin Garnett che sta dimostrando tutto, tranne avere quasi 37 anni. A differenza della Western Conference, le altre squadre non sono mai riuscite ad impensierire le prime otto, con Charlotte fanalino di coda con il peggiore record della lega (18-59), preceduti di una sola vittoria dagli Orlando Magic. Per la formazione della Florida davvero una stagione orribile, costellata da lunghi infortuni e durante la quale si sono fatti notare più per le lunghe strisce di ko consecutivi che altro. Per i Detroit Pistons una stagione anonima ma non si poteva chiedere loro molto di più, come negativa è stata l’annata di Cleveland, franchigia che però ha tra le proprie fila un fenomeno come Kyrie Irving, destinato nei prossimi anni a diventare uno dei più forti della lega, e che sogna, un giorno, il clamoroso ritorno di LeBron. Bella seconda parte di stagione, invece, per Toronto e Washington, partite male e senza grandi obiettivi, negli ultimi mesi hanno infilato alcune vittorie importanti che hanno migliorato la loro classifica. Nei Raptors, purtroppo, Andrea Bargnani ha vissuto un’annata complicata e non ha potuto dare il suo contributo, penalizzato dagli infortuni (l’ultimo al gomito gli ha fatto terminare con un mese d’anticipo il torneo), quest’estate per lui sarebbe auspicabile un cambio di maglia con una squadra più adatta alle sue caratteristiche e che gli dia nuovi stimoli, mentre negli ottimi Wizards dell’ultimo periodo da segnalare un grandissimo John Wall.

Passando ad Ovest, invece, grazie ad un livello medio di squadre più alto, la lotta per un posto ai playoff è stata molto più divertente e avvincente, e a cinque gare dal termine è ancora tutt’altro che chiusa. Del gruppo di sei formazioni (Golden State, Houston, Utah, Lakers, Dallas e Portland) che fino a poco tempo fa si contendevano le ultime tre posizioni utili, le prime due si sono avvantaggiate sulle altre (nonostante una sconfitta per entrambe nell’ultima uscita) e questa notte potrebbero chiudere il discorso avendo in programma due incontri casalinghi sulla carta facili, i Warriors contro Minnesota e i Rockets con Phoenix. Golden State (44-33) è quella che merita più di tutte di continuare la stagione, visto che dall’inizio dell’anno ha sempre saldamente occupato un posto tra le prime otto, mentre Houston (43-34) ha dovuto disputare un grande finale per recupare qualche posizione ed ora, con Oklahoma al momento in seconda posizione, si fa sempre più probabile l’affascinante possibilità di vedere al primo turno dei playoff la sfida tra James Harden contro i suoi ex compagni dei Thunder.

Con Portland (33-44 e reduce da 8 sconfitte) che si è ufficialmente tirata fuori dai giochi già da qualche settimana, dopo esser stata per diverso tempo sopra le altre, ma che ha ceduto di schianto negli ultimi due mesi (si può però consolare con il rookie dell’anno, Damian Lillard, quasi 19 punti di media al sue esordio tra i grandi), la vera sfida è tra gli Utah Jazz e i Los Angeles Lakers, con anche i Dallas Mavericks aritmeticamente ancora in corsa. I Jazz, dopo aver attraversato un momento nerissimo nel quale hanno buttato al vento tutto il vantaggio che avevano accumulato, facendosi raggiungere e poi superare dai Lakers, nell’ultimo mese si sono ripresi e hanno infilato una serie di successi (pesantissimo l’ultimo, arrivato sul campo di Golden State) che li hanno rimessi in carreggiata. Ora il destino è nelle loro mani, infatti la situazione vede Utah (che ha disputato una partita in più) con mezza gara di vantaggio, e soprattutto con gli scontri diretti dalla sua parte, su Los Angeles (41-37 contro 40-37), che però, appunto, ha una partita in meno. Nella notte scenderanno entrambe in campo, con i Lakers che avranno un impegno nettamente più agevole dei rivali, infatti i gialloviola ospiteranno New Orleans, mentre i Jazz riceveranno gli Oklahoma City Thunder, alla ricerca del primo posto di conference.

Poi però il calendario non sarà semplicissimo per nessuna delle due, visto che la franchigia di Salt Lake City affronterà due volte Minnesota (la prima in casa, la seconda fuori), ma nell’ultima gara dovrà andare sul difficilissimo campo di Memphis, sperando che i Grizzlies siano a quel punto già sicuri del loro piazzamento in griglia e non diano troppa battaglia. Mentre Bryant e compagni nelle ultime quattro se la vedranno prima in trasferta con Portland e poi il giorno dopo in casa (dove allo Staples Center hanno un record di 25-12, ma quest’anno non hanno mai vinto due sfide in 24 ore) con Golden State, per finire con San Antonio e Houston, tutti e tre clienti ostici ma comunque già appagati della loro posizione (a meno che i Rockets nel frattempo si siano complicati la vita e gli Spurs si stiano ancora giocando la leadership con Oklahoma).

I Lakers, dopo un’annata che definire travagliata è limitativo, erano stati protagonisti di una grandissima rimonta che li aveva portati fino al tanto sospirato ottavo posto, ma nelle ultime settimane sono incappati in qualche nuovo scivolone di troppo (come in casa contro Washington o sul campo dei Phoenix Suns) e ora si trovano di nuovo a rincorrere e a sperare in un passo falso degli altri. Per questo rush finale, però, possono contare su quasi tutti i loro elementi più importanti (al momento è fuori solo Nash), hanno recuperato Gasol a buoni livelli e Dwight Howard sta finalmente dando il contributo che ci si aspettava, ma come sempre le sorti della squadra di Hollywood passeranno per le mani di Kobe Bryant. Si affideranno ancora una volta a lui a Los Angeles, se non vorranno rimanere fuori dai playoff per la seconda volta nelle ultime 19 stagioni, la differenza tra un’annata disastrosa e una che si può ancora salvare è sottilissima e per i gialloviola è concreto il rischio che ha deciderla siano gli scontri diretti con Utah, nei quali è sotto 2-1.

La scorsa notte, però, l’NBA si è fermata perché in programma c’era la finalissima del torneo NCAA, l’ultimo atto della stagione basket collegiale americano e secondo evento sportivo più atteso e visto negli Stati Uniti dopo il Superball. Alla fine di una partita emozionante ed equilibratissima hanno avuto la meglio i Louisville Cardinals sui Michigan Wolverines per 82 a 76. Per Louisville è il terzo titolo della sua storia  mentre il suo coach Rick Pitino è entrato nella storia come il primo allenatore a vincere con due scuole diverse (la prima volta nel 1996 alla guida di Kentucky), trionfo dedicato ovviamente a Kevin Ware, il giocatore il cui terribile infortunio alla gamba (letteralmente spezzata nella ricaduta dopo un tentativo di stoppata) aveva scioccato l’America (oltre i suoi compagni e gli avversari presenti quella sera in campo). Ed è stato proprio Ware, durante i festeggiamenti, a tagliare la retina di uno dei due canestri, il gesto simbolo della vittoria di questa manifestazione. Da segnalare il pronostico rivelatosi sbagliato del presidente Barack Obama, che come da tradizione aveva scelto le sue favorite e questa volta aveva puntato su Indiana, uscita però agli ottavi, che in finale avrebbe dovuto battere proprio Louisville, su cui Obama percui ci aveva comunque visto lungo.

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