Condividi

Banche, un futuro di soli giganti è davvero il migliore?

Il tema delle grandi aggregazioni bancarie è sempre d’attualità ma l’esperienza dimostra che grande non è sempre bello e che, al contrario, la stabilità e la sicuyrezza del sistema ha bisogno di una pluralità di tipologie bancarie

Banche, un futuro di soli giganti è davvero il migliore?

Puntuale come il susseguirsi delle stagioni, torna di attualità il tema delle aggregazioni bancarie finalizzata alla costituzione di pochi e sempre più grandi gruppi. Alla base di questo che sembra sia il piano congiunto di Bruxelles e Francoforte dovrebbe esserci la giusta preoccupazione della sicurezza del sistema economico ancora scottato dalla crisi del 2008. Ma proprio perchè l’obiettivo di avere istituti creditizi più sicuri e più stabili, soprattutto in fasi di recessione, è più che condivisibile occorre affrontare il tema in maniera quanto mai laica, senza lasciarsi offuscare dal furore ideologico del “grande è bello”o, peggio, da altri e diversi interessi.

Tralasciando una discussione puramente teorica – che pure, prima o poi, andrebbe fatta – è utile ricordare come ogni intervento compiuto negli ultimi venti anni, almeno in Italia, sul sistema bancario, sia stato indirizzato, appunto, a creare istituti di dimensioni sempre più ampie che si sono trasformati in banche cosiddette sistemiche, da cui, appunto, dipende direttamente la stabilità dell’intero sistema. Ma siamo proprio convinti che facendo dipendere la stabilità di un intero sistema economico da pochi soggetti, seppur di grandi dimensioni, non si ottenga l’effetto contrario di aumentare il rischio di tenuta generale?

Sempre restando sul terreno della sicurezza, emerge poi una evidente contraddizione nelle politiche di incentivo alle “super banche”. Mentre, infatti, si richiede una maggiore copertura per quanto riguarda i crediti problematici, non si pone, in egual misura, il problema della quantificazione dei rischi connessi agli strumenti “derivati” che diversi grandi gruppi finanziari europei hanno in bilancio e che sono stati tra le principali cause, se non la principale, della crisi economica e finanziaria più recente. Un elemento di instabilità che colpevolmente non viene affrontato e che, se proiettato in sistema fatto di sole poche e grandi banche, può diventare preoccupante.   

C’è poi il tema dell’economia reale. Una volta ridotto ai minimi termini il sistema delle banche territoriali, sarà l’economia reale che dovrà adeguarsi ad interloquire con le “super banche” facendo progressivamente venire meno ogni legame di prossimità con il territorio e con l’imprenditoria locale? E’ immaginabile che questo sia sostenibile per le Piccole e Medie Imprese, ad esempio italiane, che, di fatto, costituiscono il  80% del sistema produttivo del nostro Paese? 

Sono domande alle quali bisognerebbe cominciare a dare risposte motivate e convincenti prima di procedere oltre nella politica di aggregazione e prima di cancellare del tutto l’articolazione del sistema che, fino ad ora, aveva proprio nella biodiversità uno dei suoi maggiori elementi di forza. Anche perché non siamo affatto all’anno zero ma, al contrario, il processo è in evidente stato di avanzamento. In Italia, nel 1995 le banche erano 977 con una dimensione media pari a 24 sportelli. Dopo poco più di venti anni, nel 2016, il numero delle banche è sceso a 604 e la dimensione media è più che raddoppiata arrivando a 49 sportelli. Inoltre, se consideriamo il totale dell’attivo il livello di concentrazione appare ancora più evidente.

In Europa, infatti, oggi le 2.810 banche Less Significant (LS), ossia quelle sotto i 30 miliardi, pesano per il 19% (discorso analogo in Italia dove le LS a giugno 2017 sono 436 e pesano per il 18%), mentre il restante 81% si concentra in sole 120 banche. Sempre in Italia si è poi scelto la via più drastica come dimostra il blitzkrieg della riforma delle Banche Popolari, trasformate (quelle con attivi superiori a 8 miliardi di euro) da società cooperative in società per azioni, e a cui ha fatto seguito la ristrutturazione del Credito Cooperativo. 

Certo, bisogna anche fare i conti con una rivoluzione tecnologica dalla rapidità mai vista prima che ha reso – con lo sviluppo dell’home e dell’internet banking – sempre più agevole e veloce l’interazione della clientela con la propria banca ovunque e rapidamente. Ma, anche da questo punto di vista, siamo certi che investendo esclusivamente sull’innovazione tecnologica, spersonalizzando e delocalizzando del tutto i rapporti tra banche e clienti, oltre agli evidenti problemi occupazionali, non si vada incontro a rischi sempre più grandi e incontrollabili?   

La tendenza, come risposta alla crisi economica e finanziaria del 2008, punta giustamente a consolidare il sistema bancario. In Europa, la BCE lo fa attraverso regole sempre più stringenti sui requisiti di capitale, sul livello di patrimonializzazione adeguato, sugli accantonamenti a copertura dei NPLS. Lo fa soprattutto con l’accelerazione per la creazione dell’unione bancaria. Il sistema bancario italiano si è, come abbiamo visto, via via adeguato subendo profondi cambiamenti della propria morfologia e della funzione di sostegno dell’economia reale.

Ma negli Stati Uniti, Paese che della crisi ne sa qualcosa e dalla quale è uscito per prima e che non ricopre certo un ruolo marginale nell’economia globale, come stanno andando le cose relativamente alle pur obbligate trasformazioni del sistema bancario? Chi guida la politica bancaria europea, sa che le piccole banche americane godono di una salute migliore di quelle più grandi con margini di guadagni al 10% a fronte di una media di sistema del 7,5%?  

Ultimo, ma non meno importante, interrogativo: cosa ne sarà della libera concorrenza del sistema bancario quando questo sarà ridotto alla presenza di solo due, tre grandi soggetti? 

Insomma gli interrogativi ai quali la politica dovrebbe rispondere con urgenza sono tanti. I problemi dovrebbero essere affrontati con senso di responsabilità e sempre nell’interesse comune tenendo conto della struttura dell’economia reale. Noi siamo convinti che, all’interno del sistema bancario debbano coesistere più tipologie (grandi gruppi e piccole banche, spa, banche popolari e banche di credito cooperativo), sia perché sistemi così strutturati sono più stabili – come è dimostrato hanno resistito meglio alla crisi – sia perché è essenziale non perdere il contatto con le radici del tessuto produttivo e con l’economia reale. Intanto, mentre i tecnocrati di Bruxelles e Francoforte, attraverso una  regolamentazione del tutto autonoma da qualsiasi indirizzo politico, realizzano a tappe forzate l’ambizioso disegno, le istituzioni politiche continuano ad essere silenti.  

Politica, se ci sei, batti un colpo!

*L’autore è il segretario generale dell’Associazione Nazionale delle Banche Popolari.

Commenta