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Banche tra crisi e salvataggi: tutto quel che c’è da sapere sulle nuove regole del gioco

Gli attacchi immotivati alle autorità di sorveglianza sui mercati minano la fiducia nel sistema finanziario – Le nuove regole sulle banche sono state importate dagli Usa dove hanno funzionato benissimo: quando una banca fallisce non è giusto che paghino i contribuenti ma tocca a soci e creditori – Parla a vanvera chi grida contro il sistema di risoluzione

Banche tra crisi e salvataggi: tutto quel che c’è da sapere sulle nuove regole del gioco

Consentitemi di ricordare, anzitutto, che il sistema di ‘risoluzione’ delle banche – introdotto nell’ordinamento europeo con la direttiva BRRD (trasposta dall’Italia all’inizio di novembre per poter fare l’intervento poi fatto sulle famose quattro banche), il Regolamento SRM e il trattato intergovernativo che consente il trasferimento dei fondi al Fondo unico di risoluzione – riproduce essenzialmente il sistema americano della FDIC in vigore in quel paese dai primi anni novanta, sviluppato in base alle analisi e alle proposte di vari importanti economisti, tra i quali il principale è G. G. Kaufmam (trovate facilmente i suoi contributi sul tema su Google). Chi si riferisce a principi di economia, dovrebbe conoscere quei contributi.?

Quel sistema parte da due presupposti:??

  1. Un sistema bancario non sarà stabile senza aiuti di stato – che non sono mai una buona idea – se non prevale il principio secondo cui le perdite da cattiva gestione devono essere sopportate dagli azionisti e dai creditori (sempre escludendo i depositi garantiti da assicurazione); in caso contrario è certo che qualche banchiere approfitterà del sistema prendendo dei rischi eccessivi, sapendo che poi verrà lo stato a salvarlo. Dopo il fallimento di Lehman Brothers, la teoria si è arricchita della variante “too big to fail” (se una banca è troppo grande per fallire, i suoi azionisti e   il suo management ne approfitteranno in danno dei contribuenti), ma la sostanza non cambia: un sistema bancario stabile senza aiuti di stato è un sistema nel quale le banche possono fallire senza generare effetti avversi di instabilità sistemica. Ciò richiede importanti modifiche nei criteri di gestione delle banche, alle quali le autorità di regolazione mondiali stanno lavorando alacremente.
  2. La decisione di estendere il sistema americano già in vigore per le banche commerciali di medie piccole dimensioni a tutte le banche, anche quelle grandissime, e alle holding bancarie venne assunta dal Financial Stability Board (allora presieduto da Mario Draghi) e poi dal G-20 nel 2009: nasceva ovviamente in reazione ai misfatti dei banchieri emersi con la crisi finanziaria, ma anche da una semplice considerazione di fatto: le perdite bancarie sono più piccole in un sistema bancario dove si applica la risoluzione. In effetti, il fondo americano TARP utilizzato per ricapitalizzare le banche non ha perso un dollaro, e anzi ne ha guadagnato moltissimi (circa 40 miliardi), mentre gli stati europei intervenuti con fondi pubblici hanno perso ad oggi qualcosa come 500 miliardi di euro. Chi grida scompostamente contro il sistema FDIC di risoluzione, oggi valido anche in Europa, non sa quel che dice, parla a vanvera.

Dal generale al particolare, veniamo alla vicenda delle quattro banchette risolte dalla Banca d’Italia, che tanto scandalo stanno provocando. E’ chiaro da quanto ho detto che:?

1. Non si potevano usare le ordinarie procedure fallimentari senza produrre un panico tra i depositanti;?

2. Il bail in è parte integrante del nuovo sistema, non un barocco orpello: senza il bail in, il mutamento necessario degli incentivi per azionisti e management non si verificherebbe, e continuerebbero i comportamenti di free riding dei banchieri;?

3. Tecnicamente, salvare le obbligazioni postergate sarebbe stato in contrasto con le norme europee sugli aiuti di stati alle banche, introdotte dopo che per ben cinque anni i salvataggi erano stati consentiti (Comunicazione della Commissione 31 luglio 2013); nella fase transitoria fino all’entrata in vigore del nuovo sistema di risoluzione (il 1 gennaio 2016) il bail in deve estendersi almeno a azionisti e obbligazionisti subordinati.

4. Ma, qualcuno sostiene che salvare quelle banche con il Fondo interbancario sarebbe stato lecito e possibile. Premetto che l’Italia non ha ancora trasposto la nuova direttiva europea sull’assicurazione dei depositi, e mantiene con il suo Fondo un sistema in contrasto con il diritto europeo – che presto diventerà l’oggetto di una procedura d’infrazione se non trasponiamo la direttiva. Il principio fondamentale che noi non rispettiamo è che il Fondo interbancario di assicurazione deve basarsi su fondi raccolti ex-ante (cioè, corrisposti da tutte le banche prima che si verifichi la crisi) e con una quota di partecipazione determinata in base alla rischiosità del modello di business (banca più rischiosa paga di più). Nel nostro sistema, invece, il Fondo chiama i fondi ex-post, dopo che una banca entra in crisi, e dunque le banche buone pagano il costo di quelle mal gestite: con quali effetti sugli incentivi di sistema, tutti possono ben vederlo. Quel sistema è stato un sistema opaco con cui per cinque decenni si sono salvati sì i depositanti, ma si sono anche coperti i misfatti di amministratori infedeli, spesso politicamente ben ‘connessi’. Il nuovo sistema europeo, invece, prevede esplicitamente che il Fondo di assicurazione dei depositi serva a proteggere i depositanti, ma non gli amministratori infedeli, e tanto meno le banche stesse (c’è una clausola nella direttiva che prevede una eccezione nel caso tale salvataggio sia ‘più efficiente’ – ma allora scattano comunque le norme sugli aiuti di stato, con tutto quel che consegue). Ciò chiarisce che il ricorso al Fondo interbancario sarebbe comunque intervenuto in contrasto con norme europee già in vigore, ma ancora non trasposte dall’Italia.

5. L’obiezione secondo cui il ricorso al Fondo non avrebbe violato le norme europee sugli aiuti di stato, in quanto trattasi di fondi privati, non è corretta: infatti, la definizione di aiuti di stati è molto più ampia, estendendosi a qualunque intervento disposto o indotto dallo stato. Scatta qui l’obiezione secondo cui, essendo la ‘chiamata’ dei fondi disposta con intervento di ente pubblico ed essendo il versamento obbligatorio, ciò configura un aiuto si stato. Su questo esistono precedenti decisioni della Commissione e anche giurisprudenza della Corte che lasciano poco spazio a dubbi.?

Ora, qualche commento più generale.?

6. La Banca d’Italia ha chiarito che non vi sono stati in nessun caso collocamenti di obbligazioni subordinate dopo il commissariamento; per quel che è avvenuto prima rispondono gli amministratori delle banche “salvate”. La Banca d’Italia sta pubblicando i documenti d’ispezione, dai quali risultano chiaramente le responsabilità degli amministratori nel rifiutare o ritardare gli interventi correttivi. La Banca d’Italia ha usato, da quel che vediamo e sappiamo, gli strumenti che aveva. La stessa Consob aveva richiamato l’attenzione degli investitori sui rischi delle obbligazioni subordinate. Sarei prudente con attacchi immotivati contro le nostre autorità di sorveglianza dei mercati, che minano anche la fiducia nel nostro sistema finanziario.???

7. Quel che emerge in realtà è un sistema non del tutto trasparente di collocamento delle obbligazioni bancarie, che merita qualche ulteriore approfondimento che si dovrà fare nelle sedi opportune.???

8. In ogni caso si fa una gran confusione quando si invocano improbabili ricorsi “contro le autorità europee”: le decisioni di risoluzione sono state assunte dall’autorità italiana preposta, in applicazione delle norme europee trasposte nel nostro ordinamento, dunque se ricorso si deve fare, esso va fato contro la Banca d’Italia. Il fatto che prima di avviare la procedura si siano consultate le autorità europee, non cambia la sostanza: le decisioni sono state assunte dalla autorità nazionali.

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