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Banche, non banche, quasi banche, banche ombra

Nell’industria finanziaria avanza sempre di più la disintermediazione dalle banche che devono affrontare la crisi di fiducia che si manifesta nel trasferimento di capitali, nella liquidità mantenuta sui conti correnti a bassissima redditività, nel contante in cassette di sicurezza per evitare i rischi del bail-in – Ecco che cosa possono fare soggetti finanziari diversi dalle banche

Banche, non banche, quasi banche, banche ombra

Il titolo non deve sembrare un gioco di parole, dato che questa classificazione è sempre più utilizzata per interpretare le modificazioni in corso nell’industria creditizia e finanziaria, relativamente alla quale si prefigura una più complessa articolazione delle sue componenti.

Il tema generale è quello della disintermediazione che, in specie in sistemi come quello inglese, vuole le grandi banche commerciali già soggette alle sfide dell’innovazione finanziaria e di nuovi competitors. Ma la questione è destinata a riguardare tutti i sistemi, dato che il guanto della concorrenza è gettato a tutti per effetto dell’innovazione tecnologico-finanziaria, dell’ingresso sul mercato dei servizi bancari dei social network e delle piattaforme di e-commerce, delle strategie commerciali fondate sulla centralità del cliente, nonchè della regolamentazione impegnata a inquadrare l’evoluzione in atto, anche mediante la legittimazione di nuovi operatori.

Da noi la disintermediazione deve anche affrontare la ridotta fiducia del risparmiatore verso le banche che negli ultimi tempi si è manifestata con:

a) il trasferimento di depositi dalle banche del territorio, colpite dalle crisi, a quelle di maggiore dimensione e solidità e al Bancoposta,

b) la preferenza per la liquidità detenuta sui conti correnti, per quanto privi di redditività, cosa che accresce i rischi di volatilità della raccolta,

c) la detenzione del contante in cassette di sicurezza, al riparo non solo della fiscalità e del suo utilizzo tracciabile, ma anche dai rischi del bail in.

Con l’auspicio che si apra una fase di migliorata percezione della stabilità del sistema dopo il cospicuo intervento pubblico a sostegno delle situazioni bancarie più critiche e il successo dell’importante aumento di capitale della seconda banca del paese, bisogna capire se vi sia la possibilità di creare un sistema meno bancocentrico, favorendo una più marcata differenziazione nell’offerta di servizi finanziari, anche mediante lo sviluppo delle attività di intermediari specializzati non bancari.

Sono questi gli operatori ai quali ci si riferisce con espressioni quali non banche, quasi banche o banche ombra, che non hanno la possibilità di operare a tutto tondo nell’intermediazione creditizia, finanziaria e dei servizi connessi, essendo ad essi inibita la raccolta del risparmio tra il pubblico, ma che possono legittimamente contribuire a soddisfare specifici fabbisogni di imprese e famiglie, con modalità innovative e adeguata trasparenza. Debbono essere ricomprese tra le non banks anche le società di gestione del risparmio, le SIM e, relativamente alle attività finanziarie, le società assicurative.

Nei confronti di buona parte di questo segmento si è compiuta di recente una profonda revisione regolamentare, mediante l’istituzione di un nuovo albo di operatori elencati all’art.106 del Testo Unico Bancario e l’introduzione di modalità di vigilanza più severe. Gli operatori interessati appartengono alle categorie dei confidi, degli intermediari finanziari di credito (prestiti al consumo, cessione del quinto, rilascio di garanzie, leasing e factoring) e delle società fiduciarie (intestazione di patrimoni).

Completano il quadro delle più recenti innovazioni normative l’istituzione presso il Ministero dell’Economia dell’albo dei mediatori creditizi e agli agenti in attività finanziaria e per i servizi di pagamento (Albo OAM), le disposizioni riguardanti gli istituti di pagamento e di moneta elettronica e quelle sul microcredito, mentre sono da considerare normativamente mature le modalità di accesso al e di uscita dal mercato di SIM e SGR. A partire dal prossimo anno poi potranno essere autorizzati, ai sensi della Seconda Direttiva Europea sui servizi di pagamento, nuovi operatori, che modificheranno profondamente le modalità di relazione tra le banche e i propri clienti.

Una volta reso più affidabile l’intero comparto, attraverso una regolamentazione risk based e il principio di equivalenza normativa, bisogna chiedersi quali siano le condizioni affinché questi intermediari possano giocare un ruolo di maggior rilievo rispetto all’attuale.

Come emerge infatti da un recente lavoro di alcuni studiosi della Banca d’Italia dedicato alle banche ombra (Shadow banking out of the shadows: non bank intermediation and the italian regulatory framework, C. Gola et al., febbraio 2017), se da un lato l’obiettivo di monitorare i singoli soggetti, basandosi sul criterio “stessi rischi, stesse regole delle banche” conduce ad una vigilanza “forte”, dall’altro l’appartenenza quasi totale di questi operatori specializzati a gruppi bancari ne subordina lo sviluppo alle strategie delle rispettive capogruppo. Sta di fatto che il peso di queste attività sull’intermediazione complessiva è abbastanza contenuto e tanto più ridotto è quello degli intermediari finanziari indipendenti.

Le attività complessive delle non banks sono infatti pari al 60% circa del Pil (con assoluta predominanza di quelle di gestione del risparmio), mentre quelle delle banche superano di due volte il Pil medesimo.

Dobbiamo quindi capire se il segmento nel suo complesso abbia effettive possibilità di crescita, indagando per esempio sulle relazioni che potrebbero instaurarsi tra intermediari specializzati, non appartenenti a gruppi bancari.

Il requisito mancante a confidi, finanziarie di credito, società di leasing e di factoring, SIM e compagnie assicurative minori attiene essenzialmente ai servizi di natura monetaria, per erogare finanziamenti, incassare rate o premi, pagare sinistri, compiere transazioni monetarie accessorie alle attività principali. I servizi di pagamento appaiono come il vero fattore abilitante di qualsiasi innovazione nel campo finanziario e del commercio, tramite i quali queste esigenze possono essere soddisfatte con prodotti di istituzioni anch’esse specializzate, alternativi al conto corrente bancario. L’esempio è il conto di pagamento, strumento europeo che può essere collocato da istituti di pagamento e di moneta elettronica.

Nelle versioni più evolute, esso consente di compiere tutti i tipi di incasso e pagamento, nel pieno rispetto degli standard Sepa, potendo essere mobilizzato tramite carte di debito e di credito di circuiti privativi e internazionali, piattaforme di internet banking e telefonia mobile. Al conto di pagamento si applicano inoltre prezzi più ridotti e trasparenti del conto corrente (non vi sono effetti valuta e commissioni non strettamente connesse con i servizi offerti). A ciò si aggiunga la possibilità di associarvi incentivi in funzione dell’utilizzo e il fatto di essere pressoché esente dall’imposta di bollo.

Le modalità per gestire relazioni di partnership tra intermediari non bancari possono essere d’ordine contrattuale, anche multilaterale, ricorrendo al cosiddetto contratto di rete, il quale, introdotto nell’ordinamento italiano nel 2009, mira ad incentivare tanto la capacità innovativa quanto l’efficienza delle imprese aderenti.

Il contratto di rete si presta infatti a sviluppare forme di collaborazione orizzontale, nel rispetto dell’autonomia imprenditoriale e delle specializzazioni di ciascun intermediario aderente, per gestire servizi tra loro non competitivi, da offrire alla clientela in modalità congiunta, accoppiando per esempio l’erogazione di un finanziamento o il pagamento ricorrente dei premi di una polizza assicurativa ad un conto di pagamento.

Grazie a tale contratto, sono perseguibili anche obiettivi di efficienza operativa, mediante scelte comuni per l’acquisto di servizi informatici e professionali, per la selezione e la formazione del personale, la gestione delle reti distributive e la possibilità di estendere le attività alle nascenti piattaforme di prestito diretto, di crowdfunding e di commercio elettronico.

In definitiva, la valenza di un contratto di rete è di natura strategica, in quanto presuppone un progetto comune volto a gestire un quid novi per le non banks e per il mercato, fino a rappresentare un’effettiva alternativa ai più tradizionali modelli di business. A nostro avviso, sarebbe particolarmente adatto, a questo comparto, per generare un minimo di scala produttiva e creare economie di scopo, ridisegnando un’offerta meno dispersa. Va anche considerata la prospettiva di far crescere le cosiddette Smart communities, nelle quali l’offerta al cittadino di una pluralità di servizi digitali muove proprio dall’innovazione nei servizi finanziari e di pagamento.

Reciprocamente, ne troverebbe giovamento anche l’industria dei pagamenti che, pur avendo campo aperto stante la condizione di arretratezza del paese, stenta, con le modalità commerciali finora seguite, a dare segnali di recupero del gap che la separa dai nostri concorrenti: mentre il Pil italiano pesa sul totale europeo per il 12%, nei pagamenti diversi dal contante la nostra quota non supera il 4%. Il vantaggio per istituti di pagamento e Imel potrebbe essere dato dalla possibilità di far uso delle reti di vendita già attive sul territorio facenti capo a società di credito al consumo, cessione del quinto, confidi e Sim per un più efficace collocamento dei propri prodotti.

A cinque anni dalla nascita dei primi operatori specializzati, il contesto sembrerebbe anche favorevole ad aggregazioni tra quelli di più ridotta dimensione ed all’ingresso sul mercato di soggetti nazionali di maggior peso operanti nella GDO, nella telefonia, nei servizi autostradali e via dicendo. Una struttura più robusta di queste non banks potrebbe contrastare, almeno in parte, le grandi piattaforme internazionali che dal commercio elettronico muovono rapidamente verso attività più tipicamente bancarie.

La conclusione è che vi siano spazi per un’attività finanziaria promossa da soggetti diversi dalle banche che potrebbero percorrere anche le strade aperte dal fintech, facendo leva sullo sfruttamento di vantaggi competitivi rivenienti da strutture organizzative più flessibili di quelle bancarie.

La maggiore attenzione verso i rischi reputazionali dovrebbe portare questi intermediari anche ad un’informazione al mercato di maggiore qualità e alla piena adesione al contesto di conformità alle norme.

Quanto ai rischi complessivi, essi sono senza dubbio di minore valenza sistemica rispetto alle banche, dato che, come detto, questi operatori non raccolgono risparmio tra il pubblico, ragione per la quale un attento fine tuning della regolamentazione in nome del principio di proporzionalità, rappresenta un fattore non da poco per il loro effettivo decollo, al pari di un’innovazione praticabile e a basso costo come quella delle proposte avanti illustrate.

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