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Austerità, l’analisi di Paolo Manasse: “Ma quale Merkel, la colpa è dell’inerzia riformatrice”

“E’ molto diffusa oggi – spiega il professor Paolo Manasse, docente di macroeconomia all’università di Bologna – in Italia la tendenza ad attribuire l’attuale recessione ad Angela Merkel, Mario Monti e alle misure di austerità” – “Ma la verità è che mentre i nostri partners hanno puntato sull’innovazione con grande energia, noi siamo rimasti fermi”.

Austerità, l’analisi di Paolo Manasse: “Ma quale Merkel, la colpa è dell’inerzia riformatrice”

“E’ molto diffusa oggi in Italia la tendenza ad attribuire l’attuale recessione ad Angela Merkel, Mario Monti e alle misure di austerità”. Ma, sebbene la profondità della crisi attuale abbia un carattere ciclico, l’incapacità del Paese di crescere è l’eredità di più di un decennio di mancate riforme nel credito, la produzione ed il mercato del lavoro. La mancanza di riforme ha soffocato l’innovazone e la crescita della produttività, con il risultato di una dinamica dei salari del tutto indipendente dalla produttività del lavoro e dalle conzioni della domanda”.  Risiedono qui ”Le radici della stagnazione italiana”, titolo della relazione che il professor Paolo Manasse, docente di macroeconomia all’università di Bologna (presente sulla rete con il blog Back-on-the-Envelope.Economics) ha tenuto al seminario organizzato dal centro Brueghel e dal ministero dell’Economia. Da quell’intervento è nato un working paper del Cerp di Bruxelles ed un articolo pubblicato lunedì 24 giugno su Economonitor, la raccolta dei blog che fanno capo al Roubini Global Economics. Si tratta di un’analisi lucida sia delle cause che della possibile recovery road della crisi italiana di cui riportiamo un ampio stralcio.

COMPETITIVITA’

“La competitività misura il prezzo dei beni stranieri rispetto a quelli domestici. Differenti misure di competitività possono basarsi sui prezzi al consumo o sul costo unitario del lavoro… un misuratore particolarmente efficace perché non è influenzato dalle politiche di prezzo praticate delle aziende che possono variare nel tempo e sui mercati”.

Risulta che tra il primo trimestre 2001 e l’ultimo del 2011 il costo del lavoro in Italia è cresciuto del 23 per cento rispetto ai suoi partner commerciali, mentre in Germania è sceso, in termini relativi, di 9,7 punti percentuali. Che cosa spiega il rilevante aumento del costo italiano?

E OLTRE…

Un Paese diventa più competitivo se  la media dei salari orari scende rispetto a quello dei concorrenti, se  la produttività media del lavoro sale, se i contributi fiscali  delle imprese per la sicurezza sociale scendono in termini relativi, se salgono gli introiti fiscali relativi ai consumi e se il tasso nominale di cambio rispetto al totale dei commerci scende. In questo contesto, un Paese può migliorare la propria competitività grazie ad una sorta di “svalutazione fiscale”, cioè con l’aumento dell’Iva che non pesa sull’export ma colpisce l’import e riducendo gli oneri sociali a carico delle aziende, di cui beneficiano le aziende domestiche ma non i produttori stranieri. 

IL COSTO DEL LAVORO

L’evoluzione del costo medio del lavoro in Italia ed in Germania nell’ultimo decennio mostra che nell’anno 2000, il costo di un’ora di lavoro in Germania era circa il doppio che in Italia (19 euro contro 10,9), mentre nel corso del decennio successivo i salari orari nominali si sono molto avvicinati, anche se non completamente: in Italia sono cresciuti del 39,5% contro il 21,1 % della Germania.  

LA PRODUTTIVITA’

Ma la produttività del lavoro non ha seguito l’andamento dei salari. E’ infatti dimostrato che la produttività del lavoro è ristagnata in Italia (+2,7% per l’intero decennio) mentre è cresciuta in maniera sensibile in Germania (+ 16,7%), Come risultato, al netto delle tasse, il costo del lavoro è salito del 232,5 per cento in più che in Germania.

CONTRIBUTI SOCIALI A CARICO DELLE IMPRESE

Per quanto riguarda il carico medio dei contributi a carico delle imprese, la differenza tra Italia e Germania è impressionante, anche se stabile nel tempo ( la percentuale italiana è scesa di due punti tra il 2000 e il 2012 contro un punto in Germania).

L’ANDAMENTO DELL’IVA

Le tasse sui consumi presentano una dinamica diversa. Le tabelle del professor Manasse mettono a confronto le entrate Iva di Italia e Germania. A partire dal 2006 la Germania ha accresciuto in maniera sensibile la dipendenza delle entrate fiscali dall’Iva, operando una “svalutazione discale” nell’ordine di un punto percentuale. L’Italia, tra il 2006 ed il 2009, ha fatto l’esatto opposto. Comunque, nell’arco del decennio, le variazioni sono state relativamente modeste.

COSI’ SI  SPIEGA LA PERDITA DI COMPETITIVITA’

Il costo unitario del lavoro è salito in Italia del 35,3% in Italia contro il 3,17 in Germania, con una perdita superiore al 32%. La ragione più consistente della perdita riguarda la dimanica del costo orario del lavoro, cresciuto in Italia del 18,4% in più rispetto alla Germania. Finché il costo del lavoro orario  italiano era sensibilmente più basso in Italia c’era una parziale convergenza  tra i due Paesi. Ma il problema è che la produttività del lavoro è cresciuta assai meno (14 punti percentuali)  in Italia che in Germania. Assai  minore è stato l’impatto, in materia di competitività, della struttura fiscale.

In sintesi, conclude l’analisi di Manasse,  in un “mondo che cambia rapidamente” dove sono cadute le barriere commerciali e i nostri partners hanno puntato sull’innovazione con grande energia e rapidità, l’inerzia riformatrice italiana ha provocato un gap comptittivo che la crisi ha fatto emergere in maniera drammatica e che avrà, probabilmente, conseguenza destinate a durare a lungo. 

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