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Ascesa e caduta del Bitcoin: in fumo 500 miliardi

Dalle stelle di un anno fa all’abisso di oggi, la criptovaluta ha dimezzato il suo valore. Ecco la storia della “sporca moneta” tra il tradimento di Elon Musk, la Cina e il carbone

Ascesa e caduta del Bitcoin: in fumo 500 miliardi

La festa è finita? Oppure è solo una delle tante correzioni che hanno segnato la storia del Bitcoin dal 2009 in poi? E poi, al di là delle oscillazioni di prezzo, ha ancora un senso l’attenzione che le banche centrali e grandi investitori hanno dedicato alle criptovalute o è il caso di sposare la tesi di Larisa Yarovaya, già campionessa paralimpica di nuoto, che dalla cattedra dell’università di Southampton definisce “le criptovalute il primo caso di inefficienza provocato dalla nascita di una nuova tecnologia”. Per questo, aggiunge, “L’unica soluzione sensata è che il bitcoin sparisca per il bene comune del pianeta: consuma più elettricità di un Paese di medie dimensioni, ma con quale vantaggio? Non crea occupazione, non ha un peso particolare come mezzo di regolazione dei commerci. Insomma, è una speculazione che ci costa moltissimo”. Un paper della Banca d’Italia calcola che il consumo di energia legato alle criptovalute è di circa 40 mila volte superiore a quello dell’attuale circuito dei pagamenti.

Non la pensa così, ovviamente, chi è impegnato nel gioco e che, nel giro di ore, talvolta minuti, ha subito perdite dal brivido. Il Bitcoin è in caduta libera dai massimi toccati il 14 aprile scorso, in coincidenza con la quotazione a Wall Street di Coinbase, la più importante piattaforma di scambi di monete virtuali. Quel giorno il bitcoin, trattato all’inizio del 2020 arrivò a quota 64.820 dollari. Poi una discesa vertiginosa che ha preso velocità fino a un minimo di 30.202 dollari all’alba di oggi. A fine mattinata, dopo diverse scosse di assestamento, il Bitcoin tratta a 32-33 mila dollari. Ma il prezzo è in costante evoluzione, data la natura stessa del mercato che non poggia su un singolo mercato, bensì opera 24 ore al giorno, sette giorni su sette, attraverso uno sciame di mercati e mercatini che hanno registrato almeno sulla carta, perdite da capogiro: tra martedì e mercoledì le criptovalute hanno lasciato sul terreno più di 470 miliardi di dollari, ovvero ben di più dell’intera Borsa di Milano. La valutazione del Bitcoin si è così ridotta a 721 miliardi (l’intera capitalizzazione del settore, compreso Ethereum e Dogecoin e è di 1.600 miliardi circa). 

Perché il crollo? Il fattore scatenante è stata la decisione della Cina di rafforzare i severi limiti al trading di criptovalute impedendo alle istituzioni finanziarie di fornire servizi di transazione. Pechino, che ha in programma la creazione una propria valuta virtuale, ha così inflitto un colpo quasi mortale al sistema: si calcola che il 65 per cento delle “miniere” che sfornano le criptovalute a suon di algoritmi si trovino proprio nel cuore della Cina. Un sistema che, pare, è alimentato al 60% da carbone per un consumo complessivo di poco inferiore a quello dell’intera Svezia.

Tanto spreco è all’origine del “ravvedimento” di Elon Musk  che, da fervente sostenitore delle criptovalute, ha fatto un passo indietro rimangiandosi la decisione di ammettere il Bitcoin come mezzo di pagamento per una Tesla. Per giunta, lo stesso Musk, già eroe degli adepti delle criptovalute, si è spinto a definire in uno show televisivo il Dogecoin una “truffa”. Un voltafaccia che gli sta costando in termini di popolarità: di colpo l’eroe di Tesla e di Space X è diventato FuckElon, il nome di una nuova valuta virtuale di chi cerca una spiegazione al tradimento: Tesla, che nel 2020 era cresciuta del 743%, oggi a Wall Street vale il 18% in meno di inizio anno. E ha grandi difficoltà nello stabilimento di Shanghai in Cina. Sta a vedere che il tycoon ha deciso di scatenare l’inferno sulle criptovalute per distogliere l’attenzione dai suoi guai.

Sarà così? Sembra impossibile che il mondo delle criptovalute sia entrato in una crisi definitiva meno di un mese dopo gli annunci dei colossi della finanza internazionale (Morgan Stanley, JP Morgan e prima fra tutti Goldman Sachs) che hanno avviato forti investimenti in proprio o per conto della clientela. Semmai la cronaca di questi mesi ha dimostrato che le valute virtuali non offrono protezione contro l’inflazione né possono sostituire il ruolo dell’oro. L’impressione è che la tecnologia delle blockchain sia matura per essere adottata dalle banche centrali, attente ad uno strumento in grado di controllare i flussi di liquidità, le uniche in grado di correggere i danni collaterali del sistema, legati all’inquinamento. Oggi, in assenza di interventi, “il Bitcoin è davvero una moneta sporca” ironizza il Financial Times, alludendo all’uso delle criptovalute per le operazioni di riciclaggio. 

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