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Argentina, braccio di ferro sul maxi decreto Milei: ecco che cosa prevede   

Il neo presidente ha presentato una riforma da 664 articoli, ma la parte sulla riforma del lavoro, che facilita i licenziamenti e limita il diritto allo sciopero, è stata sospesa dalla Giustizia. Dubbi anche da parte dei liberali di Macri. Sbloccati altri 4,7 miliardi di dollari dal Fmi

Argentina, braccio di ferro sul maxi decreto Milei: ecco che cosa prevede   

È sempre più braccio di ferro in Argentina: da un lato il neo presidente Javier Milei non ha perso tempo e il 20 dicembre scorso, pochi giorni dopo l’insediamento, ha emanato un maxi decreto “di necessità e urgenza” per ribaltare le regole di diversi settori dell’economia, dall’altro il mondo del lavoro oppone resistenza e la giustizia per ora dà ragione a quest’ultimo, visto che la parte sulla riforma del lavoro è stata sospesa per incostituzionalità dalla Camara Nacional del Trabajo per non aver rilevato la legittimazione a ricorrere allo strumento del decreto, bypassando il confronto parlamentare (dove Milei ha una maggioranza risicata). Il governo ha presentato ricorso, mentre i sindacati hanno annunciato uno sciopero generale di 12 ore per il 24 gennaio. In tutto questo, l’inflazione a dicembre secondo le prime stime ha toccato il record di aumento mensile dal 1990, sfiorando il 30% (mentre sull’intero anno scorso potrebbe arrivare al 200%, cioè a triplicare), Il Pil ha perso il 15% dal 2011, il 40% della popolazione sotto la soglia di povertà (compreso un terzo dei lavoratori non precari) e il Fondo Monetario Internazionale ha sbloccato altri 4,7 miliardi di dollari di aiuti, in cambio però di un avanzo primario da portare al 2% entro l’anno. Intanto Milei, in attesa del verdetto sull’impugnazione del decreto, prosegue nel suo repulisti: dopo aver annunciato tagli alla spesa pubblica su tutti i fronti, è passato ai fatti, ad esempio, non rinnovando il contratto in scadenza a 500 impiegati della Radio Nacional, che intende privatizzare così come la televisione, la compagnia aerea Aerolineas Argentinas, la rete ferroviaria, quella idrica, e persino il settore energetico e petrolifero.

Cosa contiene il mega progetto di legge del governo Milei?

Ma cosa prevede, esattamente, questo Decreto de Necessidad e Urgencia? È un pacchetto da 366 norme, per un totale di 664 articoli, all’insegna della deregulation di diversi settori, dall’economia alle istituzioni. Interviene in particolare sul mondo del lavoro, puntando alla modernizzazione e ad eliminare la burocrazia. Meno regole significa però anche meno diritti: per rendere più flessibile il mercato e aumentare, secondo il suo punto di vista, i posti di lavoro, Milei intende rendere più semplici e meno costosi per le aziende i licenziamenti, e allo stesso tempo limitare il diritto allo sciopero obbligando le categorie essenziali a garantire il 75% del servizio durante l’agitazione. Il testo respinto dalla giustizia argentina prevede infatti di ridimensionare i sindacati, esentando le aziende dalla ritenuta sui contributi sindacali dei dipendenti, e aumenta da 3 a 8 mesi il periodo di prova durante il quale il lavoratore può essere licenziato senza giusta causa e con meno costi per l’azienda. Non solo: anche in caso di licenziamento illegittimo, la “cura Milei” propone di ridurre sanzioni e obblighi a carico delle imprese (al dipendente verrebbe riconosciuta un’indennità di appena un mese di stipendio per ogni anno di lavoro), mentre viene rivisto il diritto alla maternità, con le donne in gravidanza che avrebbero ora diritto solo a 45 giorni di permesso prima del parto e 45 giorni dopo, e con la possibilità che questo termine venga ridotto di 10 giorni. Questa possibilità è teoricamente volontaria, ma è chiaro che il meccanismo potrebbe mettere sotto pressione diverse categorie di lavoratrici.

Tra dissidi, scioperi e ricorsi: funzionerà la terapia Milei?

Le ricette draconiane di Milei non dispiacciono ai mercati (anche se la luna di miele con la Borsa, dopo l’entusiasmo iniziale, sembra finita), ma tra le mura domestiche non convincono più di tanto nemmeno gli stessi alleati politici. In particolare, i liberali dell’ex presidente Mauricio Macri, decisivi per la vittoria elettorale di Milei e “cani da guardia” per evitare colpi di testa alla Casa Rosada. Non ha convinto ad esempio la super svalutazione del peso, che ha portato il cambio col dollaro ad essere praticamente inaccessibile per buona parte della popolazione, e anche la totale liberalizzazione dei contratti di affitto, concedendo la possibilità di onorarli persino in generi alimentari, è sembrata a molti una misura da Medioevo. Pure sulla riforma del lavoro, per ora sospesa, c’è chi storce il naso: l’economista Dante Sica, ex ministro delle Attività Produttive e del Lavoro del governo di Mauricio Macri, ha ad esempio fatto notare che le misure penalizzeranno molte piccole e medie imprese, a cui fa capo il 70% dell’occupazione nel settore privato. Nel suo “decretazo” Milei vuole anche deregolamentare tutto l’import-export, al grido di “vietato proibire le esportazioni” e di aprire totalmente alle importazioni, abolendo dazi e autorizzazioni. Questo però, rilevano anche economisti di destra, potrebbe minacciare molte imprese argentine, incapaci di competere sui prezzi, in particolare nei confronti di quelle cinesi. I “mileisti”, tuttavia, controbattono che l’eccesso di protezionismo ha portato alcuni comparti, come quello tessile, ad adagiarsi e a perdere qualità e competitività. La partita è tutta aperta: tra dissidi interni, scioperi, ricorsi e controricorsi, si capirà se funzionerà davvero oppure no la terapia Milei. 

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