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Archeologia e sostenibilità, a Roma torna il vino sul foro Palatino

Il Parco del Colosseo ritorna alle origini e diventa centro di produzione agricola. Dopo il miele e l’olio, a breve sarà la volta del vino. Impiantate barbatelle di vitigno Bellone celebrato da Plinio il Vecchio. L’obiettivo è di sensibilizzare la cultura storica dei cittadini e allo stesso tempo conservare l’ecosistema e la biodiversità nel pieno rispetto dell’ambiente, Il precedente del vino di Pompei.

Archeologia e sostenibilità, a Roma torna il vino sul foro Palatino

Arriva il vino targato Palatino. Dopo l’olio extravergine d’oliva e il miele, il Parco Archeologico del Colosseo ha lanciato una nuova iniziativa volta a valorizzare la storia agricola contadina dando il via alla “Vigna Barberini”, il tutto in chiave sostenibile. il progetto agricolo mira a sviluppare un senso civico nei confronti della cultura storica con visite, laboratori e degustazioni rivolti al pubblico che visitano il parco, tanto che i prodotti non sono destinati alla vendita.

Si tratta di una iniziativa che si inserisce in un progetto più ampio. In occasione della Giornata Nazionale del Paesaggio, il Parco Archeologico del Colosseo ha presentato il Parco Green, l’iniziativa volta a valorizzare la grande area verde che comprende il Foro Romano e uno dei sette colli, il Palatino, che si estende per oltre 40 ettari al centro della Capitale.

“Ficus, Olea et Vitiis”. Dalla Naturalis historia di Plinio il Vecchio sappiamo che nella piazza del Foro Romano si trovano ancora oggi quelle stesse piante che hanno fatto parte della cultura romana ai suoi massimi splendori. Difatti, l’agricoltura era considerata un’attività nobile tra i romani, espressione dei valori dell’impero.

Grazie al progetto GRABees è stato possibile ricavare il miele Ambrosia del Palatino, un miele millefiori con essenze di mirto e trifoglio. Le arnie sono state posizionate seguendo le indicazioni di fonti antiche (Virgilio, Varrone, Plino e Columella), in uno dei punti più ricchi di vegetazione mediterranea, ovvero ai piedi delle capanne romulee, tra le cave di tufo e un paesaggio molto rigoglioso di piante e fiori.

Nel Parco sono anche presenti circa 189 alberi di olivo, di epoche diverse e privi di alcun trattamento chimico. Grazie al recupero delle piante è stato possibile produrre l’Olio extravergine di oliva Palatino. Attualmente, Coldiretti Lazio si occupa della raccolta delle olive, della potatura degli alberi e, infine, della spremitura.

Dulcis in fundo, il vino. Il vitigno scelto è il Bellone, antico vitigno autoctono laziale chiamato da Plinio il Vecchio “uva pantastica” e che sorgerà nell’area della Vigna Barberini. La vigna è impiantata secondo schemi tradizionali, utilizzando i pali di castagno, totalmente biologica e priva di alcun impianto irriguo. L’obiettivo è di impattare il meno possibile sull’area, per questo motivo i lavori di manutenzione saranno eseguiti manualmente. La nuova vigna è curata in collaborazione con la cooperativa laziale Cincinnato (Cori).Tra tre anni sarà l’autoctono laziale Bellone a dare vita ai primi vini ma nel frattempo la Vigna Barberini accoglie anche diversi alberi da frutto, tra cui il fico ruminale, il pero e gli agrumi in arrivo dagli Horti Farnesiani.

L’iniziativa rientra tra i progetti del 2021 che vedrà il Parco di uno dei monumenti icona del mondo sempre più orientato al green e al sostenibile.

“Tutto il Colle Palatino, dal Medioevo, divenne vigna ospitando orti e alberi da frutto – ha raccontato la direttrice Russo – e per trovare tracce di impianti di vite settecenteschi, invece, dobbiamo spostarci nell’area della Domus Aurea. Esistono planimetrie dell’epoca che mostrano anche la sistemazione dei vigneti nella zona, dove sono state impiantate le barbatelle. L’area della Vigna Barberini diventerà, quindi, un’area di divulgazione che punterà alla valorizzazione della storia della viticoltura”.

Non è la prima volta di un ritorno alle origini quando si parla di enogastronomia. Ad esempio, i vigneti dell’antica Pompei consentono la produzione del pregiato Vino Villa dei Misteri, un modo per raccontare la storia e la cultura di una delle civiltà più antiche del mondo e, allo stesso tempo, valorizzare e difendere il paesaggio.

Secondo ricerche archeologiche e studi botanici, il vino aveva un ruolo centrale nella vita delle popolazioni vesuviane. E proprio laddove venivano coltivate oltre 2000 anni fa, le viti vengono ancora coltivate dentro la Domus di Pompei, tra le più belle che la storia ci ha tramandato.

Non finisce qui. Anche il vino di Leonardo Da Vinci ha ritrovato una nuova gloria. Luca Maroni, in collaborazione con il prof. Attilio Scienza e l’Università Agraria di Milano, ha recuperato le antiche radici dei vigneti dell’artista, sotterrate da secoli. Era il 1498 quando Ludovico il Moro donò come riconoscenza a Leonardo un vigneto oltre il quartiere di Porta Vercellina a Milano, mentre stava ultimano il suo più grande dipinto: l’Ultima Cena.

La vigna misurava circa un ettaro, 15 pertiche e tre quarti per usare l’unità di misura dell’epoca. Il suo ritrovamento avvenne nel 1999 in uno spazio verde della Casa degli Atellani, dopo che Luca Maroni aveva studiato con estrema cura un fascicolo contenente una raccolta di brani tratti dagli scritti di Leonardo. A quel punto si avviarono gli scavi, grazie al quale venne ritrovato intatto il vialetto ai lati del quale era piantata la vigna di Leonardo.

Dopo tante ricerche, vennero trovati i resti di antiche radici e furono affidati per analisi specifiche al CETAS, Centro di Tecnologie Agrarie Avanzate in Serra a Tavazzano Villavesco (LO), sezione sperimentale della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano. Si passò poi al recupero filologico della vigna, attraverso l’analisi del DNA per individuare le varietà di vite originariamente piantate. Dall’analisi risultò chiara l’uva usata da Leonardo: la Malvasia di Candia Aromatica.

E presto arriverà anche il vino del Palatino. Un’altra scoperta per il mondo vitivinicolo italiano che ha acconsentito alla riesumazione di vitigni autoctoni, riscoprendone il loro valore, e innescando un movimento enologico degno di un territorio con un elevato potenziale e una tradizione vitivinicola che risale al tempo dell’Impero.

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