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Apple, ecco come la mela si riduce le tasse

La società di Cupertino, tramite la sussidiaria Braeburn Capital, reinveste a Reno, in Nevada, una parte dei suoi utili, facendo tesoro di un’aliquota fiscale pari a zero – Nella stessa cittadina molte altre industrie fanno lo stesso – L’elusione è legale ma non sostenibile socialmente – La politica, però, non riesce a porre rimedio.

Apple, ecco come la mela si riduce le tasse

Cosa ci fa a Reno, Nevada, un piccolo ufficio della Apple? Da quelle parti – la Sierra Nevada si staglia poche miglia a Ovest – un turista immagina di trovare la tipica città americana di medie dimensioni, tutta incentrata sulle attrattive della “first avenue”, con i suoi cartelloni luminosi, le luci pirotecniche dei casinò e le insegne colorate dei fast food. Tutto calibrato, ovviamente, sui toni del contesto naturale e folcloristico del posto.

A Reno tutto questo, certo, non manca. Ma non manca nemmeno la sede locale del gigante di Cupertino. Una presenza che stona? Forse. A guardar meglio, però, nel tessuto economico del Nevada sono decine le grandi multinazionali che hanno piantato una sede in loco. Sono sussidiarie che non hanno nulla a che fare né con la “testa” né con le “braccia” dei grandi colossi. Se i vantaggi comparati e la specializzazione, in questo caso, non entrano in gioco, allora rimane una sola ragion d’essere dell’ufficio di Apple nella cittadina del Nevada: si pagano meno tasse.

Il gigante creato da Steve Jobs, che l’anno scorso ha cumulato oltre 34 miliardi di profitti, ne ha pagati, di imposte, solo 3,3: il 9,8% del totale. Un “corporate tax rate” che fa impallidire non solo quello medio europeo (per non parlare del caso italiano, vicino al 50%), ma anche il generoso 12,5% irlandese.

L’ufficio di Reno, di cui è titolare la sussidiaria “Braeburn Capital“, funge da calamita per i capitali della casa madre: in Nevada il corporate tax rate è pari a zero. Se, invece, Apple investisse i suoi utili a Cupertino, pagherebbe l’8,84% di tasse. Concorrenza sleale? Forse. In realtà si tratta di semplice – e legalissima – elusione fiscale. Tanto più invisa, negli Usa, ai paladini della giustizia redistributiva quanto più arrogante si conferma, ogni volta che può, la reazione repubblicana alla fame fiscale dello Stato: un dibattito centrale e necessario in Italia che invece, negli Stati Uniti, è diventato un autentico ariete di propaganda politica, al di là di ogni ragionevole e auspicabile valutazione bipartisan su eque politiche di giustizia redistributiva.

Il problema non è di etica industriale, ma di politica: in molti sostengono che dare agli attori economici la possibilità di risparmiare e condannarne il comportamento quando lo fanno è un controsenso che sottolinea la debolezza dei rappresentanti eletti di fronte all’individualismo del mercato. Nulla, però, impedirà a Tim Cook, l’amministratore delegato dal nome di pirata, di aumentare esponenzialmente, nel 2012, i profitti, che prenderanno la strada del Nevada.

 

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