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Antonia Klugman, chef stellata oltre ogni confine

Triestina di nascita ma friulana per vocazione la Chef stellata è esplosa in pochi anni fino a prendere il posto di Cracco a Masterchef. L’audace scelta di un ristorante a pochi passi dal confine con la Slovenia come atto d’amore per la natura e il territorio da esaltare attraverso la creatività

Antonia Klugman, chef stellata oltre ogni confine

A vederla così, con quegli occhi un po’ trasognati, il volto solare molto giovanile, un po’ impacciata nei gesti, da ragazza di campagna, l’atteggiamento sornione assimilato forse dall’amore per i suoi sei gatti, in tono di voce pacato e lieve, ricorda un po’ Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol. Ma questa è solo la fotografia  in bianco e nero di Antonia Klugman, chef stella Michelin, una delle poche in Italia, con il suo ristorante L’Argine a Vencò a Dolegna del Collio (GO), perché la sua foto a colori in realtà dà tutt’altro aspetto che una fragile e sprovveduta creatura. Non a caso è del segno della vergine. E per chi crede al linguaggio dei segni riportiamo da Wikipedia i tratti principali delle persone nate sotto questo segno che sono: “la razionalità, la metodicità e l’analisi. La loro personalità, spesso, non può prescindere da serietà, rigorosità, organizzazione, ordine, precisione, perfezionismo e attenzione ai dettagli. Possono risultare infatti meticolose, ossessionate e critiche. Si tratta comunque di persone concrete, affidabili con un forte senso del dovere”. Sembra un ritratto iperrealista alla Chuck Close della giovane chef che in pochi anni è letteralmente esplosa sul piano del gradimento di guide ed esperti oltre che di pubblico. Nata a Trieste 40 anni fa, città che ha dato al mondo donne piuttosto decise come Claudia Coslovich, campionessa olimpica di Giavellotto, Tanja Romano pluricampionessa mondiale di pattinaggio artistico, Irene Kamber la fiorettista italiana che conquistò l’oro a Helsinki battendo l’atleta ungherese migliore fiorettista di tutti i tempi, Fedora Barbieri, il grande contralto che ha lasciato tanti rimpianti nel mondo dell’opera lirica, la scrittrice Susanna Tamaro, per non parlare dell’astrofisica Margherita Hack, Antonia Klugman, ribattezzata Klughy da Joe Bastianich, di triestino ha ereditato il carattere, anche se il suo percorso professionale si è svolto essenzialmente in terra friulana.

E’ in Friuli Venezia Giulia, infatti, che per quattro anni, Klughy si forma lavorando per Raffaello Mazzolini passato per La Dolada di Alpago, Giancarlo Perbellini a Isola Rizza e Pietro Leemann al Joia, due stelle Michelin guadagnate “Agli amici” di Godia frazione di Udine. Ed è in Friuli che nel 2006 apre il suo primo ristorante l’Antico Foledor Conte Lovaria a Pavia di Udine assieme al suo compagno Romano De Feo.

L’avventura del Foledor il primo ristorante a Pavia di Udine

Ci ha pensato a lungo. Un brutto incidente d’auto l’ha costretta a un assoluto riposo per un anno, Non può stare in piedi ai fornelli ma può passeggiare per i campi, dedicarsi all’orto, alle erbe spontanee, a studiare botanica sui libri e sul terreno. E dopo un anno il Foledor apre i battenti. E subito la sua cucina acquista una sua identità definita. “Uno dei primi piatti che ho creato è stata la polentina verde allo sclopit (così in Friuli chiamiamo il silene). Una polentina morbida mantecata con un burro verde al silene e servita con dei semi di papavero, qualche goccia di panna acida, delle viole e un filo d’olio. L’idea è nata quando ho sentito per la prima volta in campagna l’odore di un prato appena tagliato. Il silene è l’erba che più racchiude questo profumo”.

E’ la sua ribalta, Gennaro Esposito lo chef bistellato di Vico Equense la invita a Festa a Vico una delle più importanti manifestazioni della grande cucina italiana alla quale Gennaro chiama a partecipare la crema della ristorazione italiana, oltre 80 chef stellati da tutta Italia e qui viene adocchiata da grandi chef, Nino Di Costanzo, Lino Scarallo, Christian e Manuel Costardi, Bruno Barbieri riconosce il suo talento e le propone uno stage, al quale si sommano poi altri importanti stage all’Arquade, e al Dolada, dalla famiglia De Prà.

L’avventura del Foledor dura cinque anni poi Antonia comincia a pensare più in grande. Acquista nel 2010 un terreno ovviamente nel Collio Friulano. Durante i 4 anni necessari per realizzare la costruzione, lavora a Venezia come Chef prima de Il Ridotto e successivamente dello stellato Venissa sull’isola di Marzobbo un piccolo gioiello della laguna veneta portato alla luce enogastronomica da Gianluca Bisol.

A fine 2014 apre finalmente L’Argine a Vencò, a Dolegna del Collio in provincia di Gorizia a pochi chilometri dal confine con la Slovenia, un paesino entrato a far parte del Regno d’Italia solo nel 1920 alla fine della prima guerra mondiale.

Triestina di nascita ma friulana per vocazione. Le è congeniale “quel mondo a parte – come dice ne “I Friulani sono così” Francesco Lamendola – italiano sì, ma solo in un senso generico; per il resto, non tedesco né slavo, ma con qualcosa sia di tedesco, sia di slavo; un mondo dove l’architettura rustica e quella cittadina, le “villotte” e la poesia popolare, la cucina e il rito del bicchier di vino all’osteria, il modo di parlare e quello di tacere, i modi di pensare, di porsi nei confronti degli uomini e di Dio, il legame fra i vivi e i morti, insomma tutto, dalla sfera materiale a quella spirituale dell’esistenza, nelle cose visibili e in quelle invisibili, aveva un suo particolare colore, una sua particolare tonalità, un qualcosa che lo distingueva nettamente da quello degli altri Italiani, a cominciare dai confinanti Veneti, ma anche da quello dei Tedeschi e degli Slavi, dei quali pure esistevano diverse isole linguistiche al suo interno”.

Il nonno che le fece assaggiare la prima alice cruda

Il multiculturalismo Antonia ce l’ha nel sangue. La sua famiglia che “si è sempre ritrovata intorno alla tavola” è una piccola ONU: i nonni avevano tutti origini diverse: una nonna emiliana, un nonno ebreo polacco, un nonno pugliese (“il più appassionato era lui che mi portava al mercato del pesce e che mi ha fatto assaggiare la mia prima alice cruda”) e una nonna nata a Muggia, piccolo borgo marino vicino a Trieste, importantissima fonte di ispirazione per la formazione del suo carattere (“era una donna libera e indipendente che è stata cresciuta soltanto dalla madre, una vedova di guerra”).

Si spiega forse con questa apertura mentale verso la contaminazione dei popoli e delle culture la sua decisione di aprire un ristorante in un posto come Dolegna così distante da tutto e così vicino solo alla linea di confine con la Slovenia.

“Il confine con la Slovenia si trova a poche centinaia di metri da Vencò. La storia di questi luoghi – dice Antonia Klugman – ha molto in comune con la città da cui provengo, Trieste. Per secoli i popoli hanno continuato ad incontrarsi a prescindere dai movimenti dei confini politici. In questo modo le culture si sono stratificate in un processo spontaneo di arricchimento reciproco. Siamo consapevoli di questa storia, che naturalmente ci influenza quando cuciniamo, senza alcuna malinconia. Direi che siamo un ristorante locale che cerca sempre di avere una prospettiva internazionale”.

Ci vuole molta determinazione per arrivare al successo da quel borgo quasi sperduto. Ma quanto a questo La Klugman non ne difetta di certo. La sua vita è tutta una scelta seguendo i propri istinti. Da giovane voleva fare l’archeologa, e questo forse le è rimasto nel sangue quando in cucina va alla ricerca di antichi sapori del luogo, alla scoperta di erbe e piante nei boschi che le consentano di scavare in profondo i significati delle materie prime che il territorio le offre. Ma poi, superata la maturità classica, si prefigura un futuro da avvocato. E anche questo forse si avverte nella capacità di costruire mentalmente i suoi piatti dallo studio delle materie e dei sapori, come dovesse preparare una causa impegnativa in cui nulla può essere lasciato al caso. “Una ricetta non viene provata e riprovata per perfezionarla, di solito la cucino già nella testa e poi la metto in pratica. Può passare un minuto tra il momento in cui la immagino e quello in cui la realizzo, oppure possono passare due anni”.

Ma arriva il momento in cui la sua infanzia “serena” e “felice” si scontra oramai da grande con le prime avversità della vita. I suoi genitori, il padre cardiologo e la madre psicanalista universitaria decidono di separarsi. D’improvviso si infrange quell’armonia familiare che in casa Klugman si era vissuta fino a quel momento (“la mia famiglia si ritrovava tutta attorno ad una tavola…”). E si infrange anche un rapporto d’amore che Antonia aveva coltivato per tre anni vivendo con un ragazzo triestino. E’ troppo tutto insieme. Antonia cade in una sorta di depressione e capisce che deve vivere assecondando i suoi istinti e non i suoi doveri. E l’istinto le dice che la cucina può darle soddisfazioni e consolarla di tante amarezze, e le fa capire che attraverso la cucina può esprimere la sua creatività, quella cucina che racchiude ricordi felici. Detto fatto, la toga viene riposta in soffitta e Antonia Klugman si iscrive a un corso di cucina alla scuola Alto Palato di Milano. Di li approda da Raffaello Mazzolini dove inizia a lavorare prima come lavapiatti poi come commis e capo partita. Con uno Chef che dichiara “Sono le verdure, i germogli, le erbe che cambiano a ogni stagione a creare un piatto” o “devi sentire parlare i prodotti, ascoltare quello che hai da dire e poi essere capace di zittirli” Antonia-Alice si sente in piena sintonia nella scoperta di un mondo di natura, di ambiente, di armonia che la incanta con le sue meraviglie.

La stella Michelin a pochi mesi dall’apertura de L’Argine a Vencò

Con l’Argine a Vencò aiutata e sostenuta dal suo Romano, che si occupa della sala, Antonia Klugman spicca letteralmente il volo. Nel 2015 a pochi mesi dall’apertura del locale le arriva la stella Michelin (”scelta ristretta per assicurare la freschezza dei prodotti che subiscono poche trasformazioni, accostamenti originali, sapiente uso di erbe aromatiche, la cifra della sua cucina creativa ed elegante”). I riflettori si accendono su di lei: nello stesso anno è il ristorante “Novità dell’Anno” per la Guida del Gambero Rosso. L’anno successivo altra affermazione: per la Guida di Identità Golose è  la “Cuoca dell’Anno”, a seguire la Guida dei Ristoranti dell’Espresso le assegna i tre cappelli.

Oramai è una star della cucina invitata ad eventi e a trasmissioni tv in Italia e all’estero, come “Parabere Forum” a Barcellona e a “Food on the Edge” in Irlanda, partecipa alla quarta stagione di “A mind of a Chef”, il programma cult di Anthony Bourdain che esplora i processi creativi degli chef internazionali, in Italia viene chiamata a sostituire addirittura Carlo Cracco come quarto giudice della settima stagione di Masterchef Italia affiancando Joe Bastianich, Bruno Barbieri e Antonino Cannavacciuolo in qualità di prima giudice donna del programma.

Pubblica anche un libro con Giunti Editore in cui narra la sua esperienza con un titolo che è tutto un programma: “Di cuore di Coraggio”.

Coraggiosa certo ma anche – sono parole sue – “ostinata, disordinata, determinata, egoista ed egocentrica. Tutte caratteristiche indispensabili per un cuoco” soprattutto in un contesto che non può che non essere meritocratico. “Questa – sottolinea – è forse una delle cose più belle di questo ambiente. Se sei bravo acquisisci la stima dei colleghi con cui lavori. Non importa che tu sia uomo o donna. Bello o brutto. Simpatico o antipatico”.

Quanto al cuore basta sentire come seleziona le persone che devono lavorare con lei: “Passeggio con loro nell’orto e in campagna. Mostro loro come bisogna raccogliere le erbe e poi le lascio da sole, ad avere a che fare con la raccolta per qualche settimana. Osservo come il loro processo mentale cambia, perché chi non è abituato, soprattutto chi viene dalla città, ha un’insensibilità iniziale dettata dall’inesperienza”.

A passeggio nel bosco, sul greto del fiume o nei prati selvatici i ragazzi imparano così a riconoscere le erbe e i fiori, a coltivarle, a raccoglierle e a reciderle: sono gesti che cambiano il sapore del prodotto e quindi del piatto.

E questo diventa una scuola di vita e una filosofia di cucina, dove la sensibilità tocca le corde del cuore nella preparazione di un piatto e dà la felicità di vivere un’esperienza unica e pienamente appagante.

Ed è la cifra interpretativa della sua cucina che interpreta  gli ingredienti tipici del luogo in cui ha scelto di lavorare valorizzandoli attraverso una creatività molto femminile e delicata. Una scelta non casuale ma dettata dall’amore per una campagna, il Collio Friulano, totalmente immersa nella natura, con i suoi tempi ed evoluzioni e di cui Antonia si sente fedele interprete.

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