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Animalismo e alimentazione umana: un nuovo libro del guru australiano Peter Singer che farà discutere

Il filosofo Peter Singer, di cui sta per uscire la nuova edizione di Anjmal Liberation, che è il manifesto teorico del movimento animalista, sostiene che se almeno uno dei nostri pasti giornalieri evitasse alimenti animali, il pianeta tornerebbe a respirare

Animalismo e alimentazione umana: un nuovo libro del guru australiano Peter Singer che farà discutere

Ogni volta che mangiamo possiamo fare qualcosa per il pianeta. Se almeno uno dei nostri pasti giornalieri non includesse alcun alimento di origine animale, il pianeta potrebbe tornare a respirare.

Un maitre à penser

Questa è la tesi del filosofo australiano e professore di bioetica a Princeton, Peter Singer che, in occasione della giornata della Terra, è intervenuto sul “New York Times” su questo argomento di cocente attualità:

Sin dal lontano 1975 quando ha dato alle stampe il manifesto e il fondamento teorico del movimento animalista, Animal Liberation, Singer è un maître à penser globale come pure un riverito attivista dei diritti degli animali.

Il 23 maggio prossimo uscirà in lingua inglese una edizione ampliata di questo libro con l’aggiunta al titolo di un significativo “Now” che sta per “environment” o “climate”. Il libro è introdotto da un altro global maître à penser, lo storico israeliano Yuval Noah Harari.

Singer è anche un sostenitore della prima ora del vegetarianismo e del veganismo ed è noto per aver sostenuto con vigore che gli esseri umani devono ridurre in modo drastico fino a eliminare completamente l’uso di prodotti animali nella loro alimentazione e nelle loro abitudini di consumo. E questo non solo per ragioni etiche.

Oltre all’etica degli animali, Singer ha anche riflettuto su aspetti cruciali del dibattito pubblico come l’aborto, l’eutanasia, l’uguaglianza, la bioetica e la giustizia. Alcune sue posizioni hanno suscitato molte discussioni e sono state oggetto di aspre critiche. Temi etici di questa delicata natura non possono essere pienamente compresi se decontestualizzati dal pensiero generale e dalla filosofia militante del filosofo australiano.

Il metano è il peggior gas terra

La produzione di carne e latticini rilascia quantità considerevoli di metano, un potente gas serra. Il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico calcola che, nell’arco di un secolo, una sola tonnellata di metano nell’atmosfera accrescerà la temperatura del nostro pianeta 28 volte tanto quanto una pari quantità di anidride carbonica. 

L’impatto di questa tonnellata di metano, però, diventa ancora più drammatico nel breve periodo. Il metano si decompone molto più rapidamente dell’anidride carbonica: nell’arco di 20 anni quella sola tonnellata riscalderà il pianeta quanto lo faranno 84 tonnellate di anidride carbonica.

Il metano è infinitamente peggio dell’anidride carbonica.

Questi 20 anni sono il tempo che ci rimane per prevenire un cambiamento molto più devastante di quello che già vediamo in atto in molte parti del mondo.

È forse già troppo tardi per impedire che il cambiamento climatico trasformi in modo irreversibile gli ecosistemi, causando un’immensa perdita di biodiversità, sommergendo le regioni costiere e distruggendo i mezzi di sostentamento di popolazioni che dipendono dalla stabilità delle precipitazioni.

Bisogna ridurre o eliminare questo metano al più presto.

Un piccolo grande passo

Il 1970, anno della prima Giornata della Terra, è stato l’anno in cui ho smesso di mangiare carne. Non l’ho fatto per salvare la Terra, ma perché ho preso coscienza che non esiste alcuna giustificazione etica per trattare gli animali come macchine per produrre carne, latte e uova. È sbagliato non curarsi o ignorare del tutto le necessità di esseri senzienti perché non fanno parte della nostra specie.

In tutto il mondo, gigantesche aziende agro-alimentari continuano ad allevare gli animali senza minimamente curarsi del loro benessere. Ai maiali e ai polli non è consentito di camminare all’aperto, le galline ovaiole sono stipate in gabbie che impediscono loro di allungare le ali, i polli sono costretti a crescere così velocemente che le ossa delle gambe, non ancora completamente formatesi, faticano a sopportare il peso del corpo.

Il boicottaggio di questo mostruoso abuso di miliardi di animali ogni anno è di per sé un valido motivo per non mangiare carne. Ma c’è un’altra e forse più pressante ragione per smettere di essere carnivori.

È il contributo spropositato della carne e dei prodotti lattiero-caseari al cambiamento climatico. Questo è un motivo impellente e generale per passare a una alimentazione a base vegetale su vasta scala.

Non è necessario essere inflessibili nell’evitare tutti i prodotti di origine animale. Serve anche consumarne di meno, sostituendoli con alimenti a base vegetale anche solo per la metà dei pasti che consumiamo. A pranzo, per esempio, potremmo eliminare carne e latticini. 

Avremmo così meno animali che soffrono e una possibilità importante per evitare le conseguenze più nefaste del cambiamento climatico.

Possiamo fare qualcosa già ora

Ogni volta che mangiamo possiamo fare qualcosa per il pianeta. Ipotizziamo, per esempio, che entro il 2030 gli americani sostituiscano il 50% dei cibi di origine animale con alternative a base vegetale. 

Questo passo, da solo, permetterebbe di raggiungere un quarto dell’obiettivo climatico degli Stati Uniti stabilito nell’accordo di Parigi.

Ammettiamolo, rallentare il cambiamento climatico sarebbe molto più facile – e giusto – se i governi tassassero i prodotti animali in base ai danni che causano al clima e all’ambiente. 

Ma nell’impossibilità dei governi di tassare carne e latticini, il potere è nelle mani di coloro che si alimentano con prodotti di origine animale e nell’industria alimentare.

Altre ragioni oltre l’etica e il cambiamento climatico

Il cambiamento climatico non è l’unica ragione per cui la scelta di smettere di mangiare animali rappresenta una giusta decisione.

Il quaranta percento della deforestazione e della sparizione delle foreste tropicali è causata dalla ricerca di pascoli per l’allevamento del bestiame. È proprio questo il principale motore della deforestazione dell’Amazzonia brasiliana.

Oltre alle forti emissioni di carbonio, la distruzione delle foreste tropicali minaccia l’estinzione di massa, compresa la perdita di specie ancora non conosciute. 

Gran parte della terra sottratta alla foresta viene utilizzata per la coltivazione della soia. Più del 75% di questa coltura verrà destinata ad alimentare animali per la produzione di carne e latticini, un processo che spreca la maggior parte del valore nutritivo della soia.

Come se non bastasse, le fabbriche di allevamento intensivo inquinano l’aria, emettono odori sgradevoli, attirano insetti in grandi quantità e contaminando i fiumi e i laghi vicini. 

Sono anche un rischio per la salute pubblica, contribuendo all’emergere di nuovi virus e creando batteri resistenti che ci lasciano sempre più indifesi nei confronti delle infezioni.

Ridurre il consumo di carne

Forse il cambiamento più positivo da quando ho scritto Liberazione animale è la diffusione del veganismo. Nel 1975 era raro incontrare un vegetariano nelle società occidentali. 

Ora ci sono 1,3 milioni di vegani in Gran Bretagna, ovvero il 2% della popolazione del paese. Negli Stati Uniti la proporzione di vegani varia dallo 0,5% al 6%. [In Italia i vegani sono il 6% della popolazione stando alle stime del 2020 di “Nomad Foods Europe”]. Alimenti vegani, chiaramente etichettati, si trovano in molti supermercati e molti menu di ristoranti.

Anche se ci fossero 10 volte più vegani nel mondo, questo non sarebbe sufficiente per salvare il pianeta o porre fine all’allevamento intensivo. Convincere la maggioranza delle persone agiate del mondo a ridurre almeno della metà il consumo di prodotti di origine animale sarebbe molto più efficace.

È realistico? Quando ero giovane, andavo a feste e riunioni in cui l’aria era così densa di fumo di sigaretta che anche la mattina seguente i miei vestiti ne portavano l’odore.

Non pensavo che sarebbe cambiato, ma lo è stato.

Non c’è motivo per cui le abitudini alimentari oggi prevalenti e che reggono in piedi la produzione industriale di alimenti a base animale non possano cambiare altrettanto rapidamente.

Fonte: Peter Singer, Fix your diet, save the planet, “The New York Times”, 22 aprile 2023

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