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Andreotti, il potere prima di tutto

Con Andreotti scompare il più contraddittorio personaggio politico del dopoguerra italiano – Uomo della destra Dc si trovò a guidare il governo della non sfiducia che si reggeva sull’astensione del Pci – Al centro di tanti misteri italiani – Accusato di mafia si difese nel processo e ne uscì con metà assoluzione e metà prescrizione.

Andreotti, il potere prima di tutto

Con Giulio Andreotti, morto all’età di 94 anni, scompare la più contraddittoria e ambigua figura politica del dopoguerra italiano. Molti hanno detto che più di ogni altro ha rappresentato la democristianità. E’ un giudizio incompleto e in buona parte inesatto. E comunque poco lusinghiero, non per la storia di Andreotti, ma per quella della Dc. La sua bussola in politica fu soprattutto il potere: quello che, per usare una sua espressione, “logora chi non lo ha”. Agli esordi lo troviamo giovane sottosegretario di Alcide De Gasperi. Formidabile quanto scrisse a questo proposito Indro Montanelli, ricordando come lo statista trentino si facesse accompagnare a messa dal suo giovane collaboratore: “Il primo parlava con Dio, il secondo con i preti”.

Quanto al cursus honorum di Andreotti, si fa prima a ricordare le cariche non ricoperte. Principalmente due: la segreteria della Dc (i partiti spesso sono saggi) e la presidenza della Repubblica (ci provò a fine carriera, ma riuscì soltanto a sbarrare la strada a Forlani, favorendo, suo malgrado, la soluzione Scalfaro). Anche le ultime vicende della sua vita politica sottolineano un’assoluta e cinica spregiudicatezza. Come quando, da senatore a vita, consentì a Berlusconi di candidarlo alla presidenza del Senato, con il fine di sbarrare la strada (senza successo) a Franco Marini.

Abbiamo parlato di personaggio contraddittorio. Andreotti per molti anni ha rappresentato la destra democristiana. Nel 1962 al Congresso della Dc di Napoli capeggiava con Scelba e Scalfaro la corrente Primavera che si opponeva alla nascita del centro-sinistra voluto da Moro e Fanfani. Alcuni anni prima non aveva esitato, ad Arcinazzo, ad abbracciare il maresciallo Graziani, fascista di Salò e famoso per comportamenti tutt’altro che ortodossi (nel rispetto delle convenzioni internazionali) nelle guerre in Africa. Naturalmente la sua collocazione all’interno della Dc non gli impedì di essere quasi sempre ministro nei governi di centro-sinistra.

Molti anni dopo toccherà proprio ad Andreotti guidare il governo della non sfiducia, quello che, per la prima volta, andava avanti grazie alla benevola comprensione del Pci. Moro voleva portare tutta la Dc unita (e ci riuscì) a quel difficile appuntamento, anche a costo di affidarne la guida del governo ad un tradizionale esponente della destra interna. Andreotti si trovò  a palazzo Chigi nei giorni del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle Br. Il Governo con il decisivo sostegno del Pci tenne la linea della fermezza (i socialisti di Craxi non nascosero la propria contrarietà a quella scelta). 

Da allora i rapporti tra Andreotti e Craxi furono improntati a reciproci sospetti e a fortissima diffidenza. Craxi lo chiamava Belzebù. Lui, Andreotti, ricambiava con gelida ironia. Come, quando da ministro degli Esteri proprio del governo presieduto dal leader socialista, per sottolineare quanto affollata fosse la schiera degli “ospiti” del presidente in un viaggio a Pechino commentò: “Vado in Cina con Craxi e i suoi cari”. Poi negli anni della crisi e della decadenza del Centro-sinistra Giulio e Bettino si ritrovarono insieme nel Caf. Ma era l’inizio della fine e Tangentopoli già era all’orizzonte.

Andreotti è stato spesso indicato come una sorta di uomo ombra di tutti i misteri italiani: da Sindona a Calvi, da Pecorelli a Moro. Probabilmente non tutti i sospetti avevano inoppugnabili fondamenti. Però, per usare ancora una volta una battutaccia del nostro, “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. E qui veniamo al processo per mafia che, all’indomani di Tangentopoli, Andreotti dovette affrontare a Palermo. Ne uscì per metà assolto e per metà prescritto. Come dire: nessuna pena, ma sospetti non dissipati.

Del resto Lima, che fu obiettivo di un assassinio di mafia, era il massimo rappresentante degli andreottiani nell’isola. Naturale pensare a chi si rivolgessero i suoi assassini. Ad onore dell’esponente della Dc va detto che non si sottrasse al processo, nel quale si difese senza tentativi dilatori. E non è poco, visto quello che è successo in altri processi, nei quali il politico coinvolto preferisce cercare (anche con interventi legislativi) una facile prescrizione invece che una risolutoria assoluzione.

Infine la politica estera. Molti sostengono che per anni Andreotti sia stato l’uomo degli americani. E’ verso solo in parte. Probabilmente fino alle guerre arabo-israeliane. Non sempre infatti gli americani hanno gradito gli ambigui rapporti della politica estera italiana con il mondo arabo, Gheddafi compreso. Rapporti che probabilmente hanno tutelato il Paese da rappresaglie terroristiche, ma che certo non hanno irrobustito la credibilità occidentale e atlantica dell’Italia a Washington.

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