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Amazon, Facebook, Google e il network effect

Nella costruzione di un business di successo il networking è un’attività fondamentale che spiega la ragione di molte acquisizioni a caro prezzo dei giganti di Internet – Tre passi per diventare un buon networker in un articolo dell’Economist

Amazon, Facebook, Google e il network effect

Come diventare un buon networker. Partiamo col business

Ben Thompson, uno dei più acuti osservatori della nuova economia motorizzata dalla tecnologia, sul suo blog “Stratechery” si è chiesto perché Amazon abbia acquisito per 13,7 miliardi di dollari Whole Foods, quando tutte le sue 12 acquisizioni dal 1999 a oggi, superiori a 100 milioni di dollari, sono state di attività concorrenti (come Zappos, Woot e Quidsi) o di start-up (come Alexa, Annapurna Labs, Elemental Technologies) che andavano a integrare ed estendere la propria offerta e la propria piattaforma tecnologica. L’acquisizione di Whole Foods entra in una logica diversa, che è quella del network effect. Cioè aggiungere, alla propria, una rete di contatti prelevandola in altri comparti del commercio non raggiunti da Amazon, come il comparto alimentare e ortofrutta. Per questo comparto sarebbe molto impegnativo costruire un servizio dal niente con le sole proprie forze.

È la stessa strada che sta seguendo Facebook con una serie di acquisizioni costose. Nella stessa logica si può inserire anche l’acquisizione di YouTube da parte di Google. Nel momento in cui Google si è accordo della impossibilità del proprio Google Video di competere con YouTube, ha deciso di comprarlo. Scrive Thompson al riguardo:

Così come è occorso del tempo a Facebook per comprendere che non poteva replicare internamente ogni nuovo social network che si affacciava sulla rete e a Google a realizzare che stava prendendo a calci il proprio posteriore, così c’è voluto del tempo ad Amazon — un’intera decade! — a rendersi conto che aveva di fronte un problema di networking nei confronti del quale era impossibilitato a replicare quello che aveva fatto con i libri.

Il networking nelle relazioni d’affari

Nell’economia, diciamo, classica c’è la convinzione che il controllo dell’offerta costituisca il fattore leva fondamentale del successo; nel territorio della nuova economia, invece, il potere deriva dal controllo della domanda, perché il controllo della domanda è la chiave di volta per controllare il network. Sempre secondo Mark Thompson è questa la ragione per la quale Amazon ha acquistato a caro prezzo un network, quello di Whole Food, per integrarlo con il proprio e più vasto network. Propria questa estensione del network è il passepartout per una redditività sicura.

Come il networking è un’attività fondamentale nella costruzione di un business di successo nella nuova economia, così è altrettanto decisivo nella costruzione di relazioni durevoli e proficue tra le persone impegnate nel business a tutti i livelli. La capacità di essere un networker efficace è quindi una delle proprietà più apprezzate tra gli uomini d’affari, ma anche in qualsiasi altra attività umana.

All’importanza crescente del networking nelle relazioni di affari e al fenomeno del network effect “The Economist” ha dedicato un articolo, The network effect. Being a good networker pays off — but it requires skill as well as shamelessness, comparso nella rubrica Schumpeter. Siamo lieti di offrire ai nostri lettori la traduzione italiana di questo intervento, scritto in totale stile Economist: inimitabile.

Il networking relazionale

Il tema del World Economic Forum (WEF) cambia ogni anno. Quest’anno è stato “Il nuovo contesto globale”. Lo scorso anno era “Rimodellare il mondo”. Il tema reale di questo incontro è però meno pretenzioso e più mondano: il potere del networking. Molte persone preferirebbero dedicare il loro tempo alle cose reali più che alla socializzazione. Ma il fatto che più di 2500 persone, tra le più occupate del pianeta, voli ogni anno in una piccola località svizzera come Davos per incontrarsi e parlare è prova che la socializzazione funziona. Un veterano del WEF l’ha messa così: “i contatti in ultima analisi significano contatti”.

Il networking non è solo per le élite. Un’indagine sul personale di alcuni luoghi di lavoro in Germania, condotto per tre anni da Hans-Georg e Wolff e Klaus Moser dell’Università di Erlangen-Nuremberg, ha scoperto una relazione positiva tra gli sforzi dei lavoratori di costruire dei contatti — dentro e fuori l’ambiente di lavoro — e l’aumento dei salari e delle occasioni di avanzamento nella carriera. “Il networking è considerato un investimento che nel lungo periodo ripaga”, conclude la ricerca. Reid Hoffman è divenuto miliardario investendo in una serie di società che hanno portato il networking alle masse: Friendster, SocialNet e LinkedIn.

Il primo passo per diventare un buon networker

Che cosa rende l’opportunità del networking tanto attraente sia che si svolga in un incantevole paese sulle alpi svizzere sia che abbia luogo in uno squallido hotel vicino a un’autostrada. Poche persone hanno innata la dote del networking. Bill Clinton è un super in questa attività. Avvolge le persone in un abbraccio fisico persuadendole, lì per lì, che sono per lui le persone più importanti del mondo. Pochi uomini d’affari sono bravi come lui. Per esempio il boss di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, ha una particolare predisposizione per far sentire le persone a proprio agio. La maggior parte delle persone però somigliano più a Hillary Clinton che a Bill, hanno bisogno di lavorare sodo per diventare dei buoni networker.

Il primo passo per aspiranti networker è di abbandonare ogni tipo di imbarazzo. Bisogna essere sfacciati nella ricerca del potere e appena si è raggiunto un rapporto di dominanza non essere avari nel tessere le lodi alle persone coinvolte nella relazione. Le ricerche accademiche hanno scoperto che la suscettibilità all’adulazione è senza limiti e va oltre la satira. In una ricerca svolta nel 1997 B.J. Fogg e Clifford Nass, dell’Università di Stanford, invitavano le persone a giocare con degli indovinelli con il computer, che restituiva certi tipi di feedback. I partecipanti che ottenevano un encomio davano un punteggio più alto al computer e a se stessi di quelli che invece non lo ricevevano. Lo stesso accadeva a coloro con cui il computer si complimentava in anticipo, prima addirittura che avvenisse l’interazione. Bene, anche se platealmente insincera, l’adulazione generata dal computer funzionava.

La sfrontatezza deve però essere bilanciata dalla sottigliezza. Far finta di essere in disaccordo con l’interlocutore, prima di convergere con il suo punto di vista, trasmette un senso di possanza. Porta in evidenza interessi comuni o esperienze comuni. Le persone sono molto attratte da quelle che le somigliano ed è molto probabile che scelgano come partner coloro il cui nome o cognome somiglia al proprio. Si fa di tutto per chiedere aiuto. Prestare aiuto consente a una persona eccellente di esercitare il proprio potere come pure di alimentare la propria autostima. Nel periodo in cui Barack Obama è stato in Senato si è rivolto spesso ai colleghi senatori per chiedere aiuto e consiglio.

Il secondo passo e il terzo per diventare un buon networker

Il secondo passo è che bisogna avere qualcosa da dire. Il successo è conseguenza di una mente ben organizzata, non solo di una rubrica ben fornita. Alle volte si è tentati di snobbare il tema ufficiale di una conferenza. Sbagliato! Più seriamente lo si prende più si accresce la possibilità di ottenere lo scopo prefissato da noi e dalla conferenza stessa. Bisogna prendere parte alle sessioni più importanti e porre delle domande importanti. Bisogna ricompensare i sedicenti “maestri del pensiero” aggiungendoli alla lista degli account da seguire su Twitter. Ma non bisogna spingersi troppo avanti. È un errore pontificare sui temi che sono di loro competenza. È un errore ancor più grave disputare sulle parole d’ordine dell’elite globale. È un dato di fatto che le organizzazioni omogenee fanno meglio di quelle disomogenee. L’obiettivo è quello di adattarsi dicendo le cose giuste senza sfidare il pensiero dominante.

Il terzo passo è che occorre lavorare sodo per costruire un networking.

Bisogna selezionare in anticipo le persone più importanti che prenderanno parte all’evento. Se si desidera incontrarle, occorre raggiungerle con una email che proponga un incontro. Mukesh Ambani, il boss di Reliance Industries — una conglomerata indiana — , si preoccupa di informarsi sulle persone che intende incontrare per conoscere i loro interessi. Mark Tucker, il boss di AIA, la più grande compagnia di assicurazioni asiatica, approfondisce i contatti con email dettagliate inviate a tutte le ore del giorno e della notte. Julia Hobsbawm di Editorial Intelligence, una società di consulenza che aiuta i manager a relazionarsi, sostiene che il networking è come l’attività fisica e la dieta. Occorre incorporarlo nella routine quotidiana.

Un futuro da adulatori?

Sebbene il buon networker debba essere un buon calcolatore, spietato e sfrontato, riesce meglio chi ha la capacità di apparire spontaneo o perfino casuale. Il trucco migliore è quello di architettare degli incontri “casuali” in grado di avvicinare la preda. Se per esempio questi è impallinato con la forma fisica, è bene farsi trovare nella palestra dell’hotel quando arriva per la sua seduta mattutina. Un altro espediente è quello di assicurarsi che le persone con cui si socializza abbiano la possibilità di trasmettere la relazione alle persone con sui si ha l’intenzione di socializzare. Una delle migliori guide a questa attività è il libro “Never Eat Alone” di Keith Ferrazzi.

La soluzione perfetta è quella di rendere il networking parte fondamentale del proprio lavoro, possibilmente diventando una sorta di ambasciatore della propria società o, al limite, fondando una propria attività di global network.

Nel 1971 Klaus Schwab era un professore di economia di 32 anni che avrebbe trascorso la sua vita pubblicando oscuri articoli accademici. Invece Schwab organizzò un incontro dei capi d’azienda europei che poi crebbe nel WEF. Oggi il WEF ha un budget annuale di 200 milioni di dollari e i capi delle maggiori aziende mondiali pagano decine di miglia di dollari per parteciparvi e stringerli la mano.

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