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Alitalia: gli orrori del capitalismo all’italiana

Gianni Dragoni nel suo ultimo libro “Capitani coraggiosi” ripercorre la storia della vicenda Alitalia come paradigma delle contraddizioni del Paese – Da Colaninno alla Marcegaglia, da Riva a Tronchetti, da Benetton a Gavio, Ligresti e Caltagirone: ecco i 20 cavalieri chiamati da Passera e ringraziati da Berlusconi per l’impossibile decollo della compagnia

Alitalia: gli orrori del capitalismo all’italiana

La triste vicenda dell’Alitalia è l’ultimo esempio (almeno speriamo) della dissipazione di tanta parte del nostro apparato produttivo effettuata dal connubio tra una pessima politica, un sindacalismo corporativo e arretrato, e un capitalismo basato più che sulle regole di mercato, sulle relazioni opache con i pubblici poteri. Gianni Dragoni, valente giornalista de Il Sole 24 Ore, specialista nell’analisi dei bilanci e nello scovare gli intrecci perversi tra la finanza privata e le casse dello Stato, descrive questa pagina della recente storia economica italiana in un poderoso volume di 300 pagine (Capitani coraggiosi – Chiarelettere 16,60 Euro) che fin dal sottotitolo chiarisce bene quello che è in realtà avvenuto: “I venti cavalieri che hanno privatizzato l’Alitalia e affondato il Paese.”

Quello che è avvenuto nella nostra Compagnia di bandiera, ora giustamente ribattezata “Compagnia di bandierina”, a partire dal 2008, da quando cioè Air France fece una offerta per rilevare l’Alitalia a condizioni che lo stesso Prodi, allora presidente del Consiglio, giudicava convenienti vista l’incapacità dello Stato di gestire in maniera economica la società. L’opposizione dei sindacati, degli ultras di sinistra capitanati da Bertinotti, della Lega che voleva difendere a tutti i costi il ruolo dell’aereoporto di Malpensa, fecero scappare il capo della Compagnia francese, Spinetta, e indussero alle dimissioni il presidente di Alitalia Prato che andandosene disse sconsolato: “questa società ha una maledizione, solo un esorcista può tentare di salvarla.”

Il ruolo di esorcista fu assunto da Silvio Berlusconi che per ragioni elettorali trovò conveniente promettere che tutto sarebbe continuato come prima. Vinte le elezioni il governo Berlusconi, con l’aiuto di Banca Intesa, cominciò a darsi da fare per costituire una cordata di imprenditori ai quali affidare la resurrezione di Alitalia. Trovò venti imprenditori, nessuno dei quali aveva la minima esperienza di compagnie aeree, oltre ad un partner industriale con una quota di minoranza (25%) individuato in Air France. L’operazione si configura come un fallimento pilotato con i nuovi soci che prendono alcuni beni della vecchia Alitalia e lasciano nella bad company tutti i debiti ed oltre 7000 persone giudicate in esubero. Il contribuente italiano, in altre parole viene chiamato a pagare i debiti fatti dalle vecchie gestioni e ad accollarsi una ricca cassa integrazione per i 7000 esuberi lasciati a casa per periodi molto lunghi per portarli alla pensione.

Ciò nonostante la nuova Alitalia non riesce a decollare. Nemmeno con il monopolio concessole sulla rotta Roma-Milano e il conseguente aumento dei prezzi dei biglietti, si riesce a riportare in equilibrio i conti della Compagnia. Dopo tre anni di pendite l’amministratore delegato Rocco Sabelli, getta la spugna.

Ma chi sono questi azionisti che Berlusconi ringraziò chiamandoli patrioti? Ci sono tutti i più bei nomi dell’imprenditoria italiana tranne Fiat e Mediobanca: da Colaninno (capocordata) alla Marcegaglia, da Riva a Tronchetti, da Benetton a Gavio per finire con Ligresti e Bellavista Caltagirone. Chi tiene insieme questa armata Brancaleone, al cui interno peraltro ci sono diversi gradi di entusiasmo, è Corrado Passera, Ad di Banca Intesa che si è autoproclamata banca di sistema, cioè una banca che guarda al di là degli interessi dei propri azionisti , per caricarsi invece degli interessi più generali dell’intero Paese. Tuttavia non sembra che le così dette operazioni di sistema abbiano portato un vero beneficio nè per gli azionisti nè per il Paese perchè queste operazioni tendono a confondere le responsabilità, non si basano su delle effettive capacità industriali, ma cercano di mettere in rete interessi diversi e spesso contrapposti, rispondendo prevalentemente alle esigenze immediate della politica.

La descrizione di questi capitani coraggiosi che Gianni Dragoni effettua con puntigliosa malizia, delinea una vera e propria “galleria degli orrori” del capitalismo italiano basato non tanto sul merito, ma sulle relazioni e sugli intrecci sia finanziari che politici, e spiega perchè il sistema italiano continua a perdere pezzi e l’intero Paese è sostanzialmente fermo da oltre 15 anni. Illuminante il giudizio riservatamente inoltrato alla Casa Bianca dall’ex ambasciatore a Roma Ronald Spogli:La saga Alitalia è un triste memento di come funzionano le cose in Italia e della debole aderenza di Berlusconi ad alcuni principi base del capitalismo del libero mercato. Il modo in cui questo affare è stato gestito ha offerto al mondo un chiaro promemoria dei limiti dell’Italia in materia di investimenti.”

Ecco perchè ben pochi dall’estero vengono ad investire nel nostro Paese. E poi ci si lamenta della brutalità di Marchionne che è uscito da Mediobanca proprio perchè non voleva aderire ad alcun salotto più o meno buono! Mario Monti sa bene che oltre a mettere a posto lo Stato, deve anche cambiare molte regole nel sistema privato italiano inserendo maggiore mobilità anche nella proprietà delle aziende dove azionisti e managers che non hanno risultati soddisfacenti devono cedere la mano con sistemi trasparenti di mercato. Insomma per Monti sono tanti i fortini da smantellare. L’accenno che il capo del Governo ne ha fatto parlando alla Borsa di Milano dimostra che ne è perfettamente consapevole.

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