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Algeria: serve un cambio di marcia

L’Algeria oggi vive in una situazione di instabilità politica dovuta alle condizioni di salute del presidente Bouteflika e alla minaccia del Terrorismo Islamico – Allo stesso tempo, il Paese presenta una scarsa competitività e una macchina burocratica troppo lenta e inefficace – Le riforme rappresentano l’unica via per la crescita.

Algeria: serve un cambio di marcia

Questo focus descrive la situazione economica e politica in Algeria, con un taglio decisamente volto alla consulenza per le imprese, energetiche e non solo.

Il Presidente Abdelaziz Bouteflika, in carica dal 1999, ha ottenuto il suo quarto mandato quinquennale alle elezioni presidenziali dello scorso aprile, ma le sue precarie condizioni di salute fanno temere che non riuscirà a completare il nuovo termine. Crescono, dunque, le preoccupazioni per la sua successione. I paesi del Nord Africa, come l’Algeria e la Libia, caratterizzate da elevata disoccupazione giovanile, sottosviluppo delle aree periferiche e forte corruzione, rappresentano terreno fertile per il terrorismo islamico.

L’Algeria, con un PIL nominale pari a 211 miliardi di dollari nel 2013, è la più importante economia della regione del Maghreb (regione che comprende anche Mauritania, Marocco, Libia e Tunisia).Secondo gli analisti di Intesa Sanpaolo, nel 2014 la crescita del PIL si attesterà al 4%, dal 2,5% dell’anno precedente, grazie al apporto positivo delle attività di estrazione (+0,5%). Il settore degli idrocarburi ha potuto beneficiare dell’apertura di nuovi siti estrattivi di gas, che hanno più che compensato il calo delle produzioni medie di petrolio (-2,5% giornalieri).

La parte non-idrocarburi dell’economia ha fatto registrare, invece, un rallentamento (- 1,6%) rispetto al 2013, nonostante la sua dinamica chiuda positivamente l’esercizio (+5,5%). In calo il settore primario e gli investimenti pubblici, dopo la forte crescita negli anni precedenti. Le costruzioni, infatti, sono state il settore più dinamico, con tassi medi di crescita vicini al 10%, seguite dai servizi, principalmente quelli di trasporto, comunicazione e distribuzione commerciale.

Dopo un anno di campagna elettorale, che ha portato agli aumenti salariali nel settore pubblico, cala anche l’inflazione, dal 3,3% del 2013 al 2,7% del 2014,  favorendo così i consumi privati dei cittadini algerini. Aumentano, invece, gli investimenti privati grazie al capitale straniero investito nell’industria del gas e in quella automobilistica. Nel 2015 è partito il nuovo piano quinquennale di sviluppo che prevede 63 miliardi di investimenti pubblici nel settore immobiliare e 17,8 miliardi nelle infrastrutture, finanziati per lo più dai proventi della vendita di gas e petrolio. Nonostante la compagnia petrolifera statale, Sonatrach, abbia dichiarato di non ridurre il suo piano di investimenti, nel 2015 si attende un calo nel settore idrocarburi (attorno al 5%), dovuto al minor apporto delle società straniere. Ciò peserà inevitabilmente anche sul PIL.

L’economia algerina, purtroppo, dipende fortemente dall’estrazione di gas e petrolio. Ad oggi, il settore idrocarburi pesa, infatti, il 35% sul totale del PIL in termini reali e Il 38,8% in termini nominali (dati 2013). Gas e petrolio contribuiscono, inoltre, al 98% del totale delle esportazioni e a circa il 60% delle entrate fiscali. Tuttavia, l’esauribilità delle fonti energetiche suggerisce l’urgenza per l’Algeria di diversificare il proprio business ed effettuare investimenti in fonti energetiche alternative. Le riserve algerine di petrolio, infatti, sono destinate ad esaurirsi entro 20 anni e quelle di gas entro 57.

Le principali industrie del Paese sono l’alimentare, la meccanica, i materiali da costruzione, la lavorazione dei metalli, la petrolchimica e il tessile. In alcuni casi si tratta di vere e proprie eccellenze, ma la diffusa presenza dello Stato, unita ai problemi di ordine pubblico legati al terrorismo, hanno frenato la crescita del settore privato. In altre parole, l’Algeria, oggi, è poco competitiva e poco “business-oriented”. Una legge del 2009 limita, persino, la presenza del capitale straniero nelle società al 49%. Non c’è da stupirsi, dunque, se gli IDE rappresentano solo l’1% del PIL; un dato quest’ultimo ben inferiore alla media dell’area del Magrheb.

La divisa ufficiale, il dinaro, si è deprezzato del 12,3% sul dollaro, che è la valuta con cui vengono fatturate la quasi totalità delle esportazioni e buona parte delle importazioni. Nell’ultimo anno il deficit pubblico, secondo le stime del FMI, è aumentato in relazione al PIL fino a raggiungere il  7,5%. Per finanziare questo deficit l’Algeria può attingere alle somme accantonate nel fondo di stabilizzazione petrolifera “Fonds de Régulation des Recettes” (FRR), che nel gennaio 2014 avevano una capitalizzazione pari a circa 77 miliardi di dollari.

L’elevato prezzo del petrolio, di gran lunga maggiore rispetto alle attuali quotazioni sul mercato internazionale, evidenzia la necessità, in Algeria, di interventi di consolidamento fiscale, altrimenti la riduzione dei proventi da idrocarburi e la sostenuta domanda di beni importati, attesi per il 2015, comporteranno il saldo negativo del bilancio pubblico.

L’Algeria, nonostante vanti una posizione strategica tra i paesi del Mediterraneo, sia per le sue dotazioni di idrocarburi sia per l’accessibilità al mercato europeo, sembra non riuscire a sfruttare i vantaggi competitivi di cui è dotata. Le cause principali di questa incapacità sono il regime autarchico instaurato dal presidente Bouteflika e l’instabilità politica, aggravata recentemente dalla paura per la guerra combattuta alle porte del paese, tra lo Stato autoproclamato dell’ISIS e le truppe Libiche. Allo stato attuale, l’Algeria non è in grado di competere sul piano internazionale.

Il paese necessita di riforme strutturali in tema di corruzione e liberalizzazione dei settori in mano alle imprese statali. La parola d’ordine è “Do ut Des”. Se il governo sarà in grado di mettere in pratica gli sforzi riformatori, le imprese straniere torneranno ad investire nel Paese e ad avere fiducia nelle istituzioni che lo governano.

 

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