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Agenda 2030: l’Italia è già in ritardo

Segnale d’allarme lanciato dall’Asvis di Giovannini sui passi indietro del nostro Paese nella parità di genere e nella lotta alle diseguaglianze – Ma anche nella lotta alla povertà, nella tutela della salute, nella qualità del lavoro e nelle infrastrutture siamo lontani dagli obiettivi fissati dalla Commissione europea

Agenda 2030: l’Italia è già in ritardo

L’Italia fa un passo indietro su nove dei 17 obiettivi globali dell’Agenda 2030, fra cui la lotta alla povertà (Goal1), la tutela della salute (Goal3), l’istruzione di qualità (Goal4), il lavoro dignitoso, l’innovazione e le infrastrutture (Goal 11), la partnership (Goal17) e, con un segnale d’allarme importante, la parità di genere (Goal 5) e la lotta alle disuguaglianze (Goal 10).

L’Agenda 2030 è al centro del programma della Commissione europea che punta a realizzare un Green New Deal con i fondi del Next Generation EU (erroneamente ribattezzati “Recovery Fund”). Questi soldi saranno un punto di ripartenza anche per l’Italia, che dovrà spenderli con una prospettiva di genere, abbandonando la politica dei sussidi per realizzare invece un piano di investimenti sul lavoro delle donne e la digitalizzazione del Paese, soprattutto per quanto riguarda i servizi alle famiglie (dagli asili nido alla cura di disabili e anziani).

Dall’Ue arrivano chiare indicazioni: il 37% dei fondi deve essere usato contro la crisi climatica, il 20% per la digitalizzazione e il restante 43% per la tenuta del tessuto sociale.

GOAL 10: LOTTA ALLE DISUGUAGLIANZE, TRA POLITICHE SOCIALI E FISCALI

L’Istat ha offerto una fotografia impietosa della situazione in Italia, dove la probabilità di ascesa sociale per la generazione più giovane risulta molto bassa e il miglioramento del reddito pro-capite riguarda ormai una fetta sempre più contenuta della popolazione (dal 95% della generazione degli anni 40 al 30% dei Millennial nati tra il 1980 ed il 2000). Nel capitolo sulle disuguaglianze si evince che già dai principali indicatori del mercato del lavoro riferiti al 2019 si evidenziavano diversi elementi di criticità: il persistente svantaggio relativo dei giovani; la diminuzione del lavoro indipendente, che per molto tempo ha rappresentato nel nostro Paese una modalità di ascesa sociale; la maggiore instabilità del lavoro, che si associa a retribuzioni inferiori alla media ed è diventata causa importante di diseguaglianza soprattutto per le donne.

Inoltre, le evidenti carenze nelle competenze digitali riducono la velocità di adattamento del nostro mercato del lavoro, aumentando il rischio di segmentazione e diseguaglianza tra i lavoratori. Con il Rapporto Asvis, il presidente Enrico Giovannini ha più volte sottolineato l’importanza di “cominciare oggi a costruire il welfare di domani”, garantendo al contempo una parità di accesso ai servizi fondamentali, a cominciare da istruzione e salute. A quest’ultimo punto è collegato il dibattito nella maggioranza sul Mes, soprattutto di fronte al rischio di una seconda ondata di contagi simile a quella di marzo ma nell’impossibilità di realizzare un nuovo lockdown.

Anche la Bce insiste affinché i governi impieghino maggiormente la leva fiscale. Per il nostro Paese, questo si traduce nell’urgenza di una riforma complessiva del sistema, preceduta da un riordino di esenzioni e deduzioni per armonizzare le tasse sui redditi a quelle sui patrimoni. Insomma, politiche sociali su lavoro, educazione, fisco e ambiente diventano un connubio imprescindibile per adempiere all’impegno di ridurre le disuguaglianze.

GOAL 5, PARITÀ DI GENERE: UNA VITTORIA CON DONNE AL QUADRATO

L’evento nazionale Asvis del Goal 5 è stato incentrato sulla violenza economica, un tema a me caro perché è uno degli scopi fondativi della Global Thinking Foundation. Questo obiettivo ci distingue da altre associazioni che si occupano di educazione finanziaria in Italia e chiarisce l’unicità del modello che ha caratterizzato GLT sin dalla sua nascita: la nostra meta è realizzare progetti per “prevenire e combattere le situazioni derivanti da isolamento economico per le donne vittime di violenza economica, ponendo in atto azioni formative e divulgative a supporto dei principi di uguaglianza di genere e di riduzione dei danni sociali che derivano da questo fenomeno, che espone anche le nuove generazioni a una mancata partecipazione attiva allo sviluppo economico del Paese”.

La vicinanza con altre realtà europee nelle quali i Governi hanno coraggiosamente implementato leggi esistenti (come in Gran Bretagna) o rafforzato politiche famigliari diffuse (come in Francia, Spagna e Portogallo) ci riempie di speranza e rafforza il nostro impegno perché anche in Italia si possa comprendere il fenomeno della violenza economica nella sua gravità economica e sociale. Quando parliamo di violenza e di abuso relazionale, in genere ci concentriamo sul maltrattamento fisico ed emotivo. Ma l’abuso finanziario e il controllo della capacità di acquisire, utilizzare e mantenere denaro da parte di un partner intimo si verifica nel 99% dei casi di violenza domestica.

Anche se questa forma silenziosa di abuso non è facilmente riconoscibile, non la si può relegare nelle ultime tre domande di un questionario conoscitivo. Inizia con piccoli gesti, che già di per sé sono violazioni di diritti e quindi reati, che lentamente diventano sempre più controllanti. Ciò può comportare che un partner insista nel gestire le finanze senza il contributo dell’altro, oppure chieda all’altro di smettere di lavorare. Ma limitare la capacità di guadagnare non è l’unico modo in cui i partner violenti esercitano il controllo. Possono anche limitare l’accesso a tutto ciò per cui la compagna non ha pagato, come l’auto o altri beni di prima necessità, anche destinati ai figli.

Una persona che esaurisce la carta di credito o il conto corrente della partner le rovina il profilo creditizio: in questo modo, può impedirle di trovare un alloggio accendendo un mutuo, ma anche di acquistare un veicolo o di ottenere prestiti per lo studio dei figli all’estero. Senza accesso alle risorse economiche, le sopravvissute spesso affrontano una nuova serie di sfide per la loro sicurezza e protezione.

Nel Manuale di Prevenzione della Violenza Economica ed il Rapporto 2020 sulla Violenza Economica, pubblicato insieme ad Altis dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, abbiamo raccolto i risultati della prima analisi di impatto sociale fatta sul territorio nazionale, che ha rilevato un incremento tangibile del benessere finanziario delle partecipanti ai corsi di “Donne al Quadrato”. Il progetto compie 3 anni finora ha coinvolto oltre duemila donne in 36 Comuni d’Italia, agendo non solo sulle conoscenze – per le quali secondo l’Ocse siamo fanalino di coda nell’Ue – ma anche su comportamenti e attitudini.

Abbiamo dimostrato che con la prevenzione si può combattere la violenza economica e che l’educazione finanziaria è il punto di ripartenza delle donne per raggiungere una piena indipendenza economica.

La violenza domestica resta un problema sistemico e culturale e l’assenza di pari opportunità tra uomini e donne, insieme a stereotipi profondamente radicati, non fa che aggravare la situazione, con un costo annuo misurato da We World in 17 miliardi di euro a livello globale (somma che unisce costi sociali ed economici).

CONCLUSIONI

L’accelerazione imposta dalla digitalizzazione e dai processi di automazione modificherà gli assetti delle risorse impiegate nel mondo del lavoro e quindi le competenze necessarie e richieste. Cambiamenti rapidi e profondi che necessitano di una risposta: da un lato servono investimenti importanti nella formazione e nell’inclusione femminile nel mondo del lavoro; dall’altro bisogna porre il fattore umano al centro di politiche economiche e sociali per servizi di supporto alle famiglie, che favoriscano la conciliazione tra lavoro e famiglia senza condizionamenti legati a differenze salariali e sistemiche per le donne.

Non ci sono anni per realizzare queste misure: abbiamo pochi mesi per mettere a punto politiche pubbliche che valorizzino lo sviluppo sostenibile. Ci vuole visione da parte del Governo: d’altronde, l’Agenda 2030 è una strada tracciata con passi ben definiti, che chiedono interventi immediati.

Ciascuna di noi può fare la sua parte e attivarsi per la valorizzazione di se stessa, ma abbiamo anche il dovere di favorire la libertà di agire e di partecipare alla società, eliminando barriere culturali e sistemiche che si oppongono al riconoscimento di diritti costituzionali che valgono per tutta la cittadinanza.

Promuovere la Parità di genere e l’indipendenza economica per un mondo più giusto e inclusivo che abbia a cuore l’educazione e la formazione delle nuove generazioni è un investimento per il futuro del nostro Paese. Alcuni progressi sono già stati fatti – ad esempio sulla qualità dell’aria o sulla riduzione dei rifiuti urbani e dei reati – ma non è abbastanza. Il Governo deve agire nella direzione di un riconoscimento dei diritti delle donne italiane garantiti dalla Costituzione: all’articolo 3, in relazione alla dignità sociale e all’uguaglianza, e all’articolo 4 per quel che riguarda il diritto al lavoro e la promozione delle condizioni che rendano effettivo questo diritto. Dobbiamo fare in modo che la nostra non resti una voce sola isolata ma diventi un coro diffuso, perché, come amiamo dire nella nostra Fondazione, “l’educazione e la conoscenza sono l’energia pulita del futuro”.

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