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Addio a Bruno Ugolini, il giornalista che raccontava il sindacato

È stato per anni il cantore del leader della Fiom e poi della Cgil, Bruno Trentin, e sull’Unità ha scritto le gesta della stagione più gloriosa del sindacato

Addio a Bruno Ugolini, il giornalista che raccontava il sindacato

Dopo una lunga e inesorabile malattia sopportata con stoica rassegnazione e lucido impegno, ci ha lasciati Bruno Ugolini, uno dei più importanti giornalisti sindacali della seconda metà del secolo scorso. Scriveva sull’Unità, quando il quotidiano del Pci fondato da Antonio Gramsci diffondeva, la domenica, un milione di copie, grazie agli attivisti che andavano a proporlo casa per casa. La diffusione del giornale era il primo compito che veniva affidato ai giovani militanti come se fosse un periodo di apprendistato per divenire “un compagno”. Ma era anche una sorta di corvè a cui dovevano prendere parte anche i segretari di sezione e gli attivisti più anziani.

Ugolini, bresciano, approdò all’Unità molto giovane. Lavorava alla sede di Milano: allora il giornale aveva diverse redazioni sparse nelle più importanti città perché era importante seguire la politica locale. Capitava a volte che l’impaginazione dei pezzi trasmessi con la telescrivente o spediti in “fuori sacco” avvenisse in modo diverso, tanto da dare l’impressione che si trattasse anche di giornali differenti.

L’incontro della vita di Ugolini è stato quello con Bruno Trentin. Ricordo benissimo che, durante lo storico rinnovo del contratto dei metalmeccanici del 1969, la vertenza – specie durante le trattative al ministero del Lavoro (era ministro Carlo Donat Cattin che si avvaleva di Gino Giugni all’ufficio legislativo) – era seguita dalla redazione romana che mandava uno dei suoi giornalisti. Trentin scrisse al direttore e chiese esplicitamente di avere Bruno Ugolini, il quale da quel momento partiva da Milano per bivaccare con le delegazioni in Via Flavia.

Non era un giornalista che svolgeva un servizio; era uno dei nostri, che condivideva l’ésprit de finesse di quella categoria proiettata verso una grande vittoria che avrebbe cambiato la storia del sindacato e del Paese. Nel film “Contratto” di Ugo Gregoretti che raccolse e raccontò quell’epopea (anche la Rai aveva incaricato una troupe di seguire la vertenza girando km di pellicola che andarono in onda molti mesi dopo a tarda notte), c’è una scena che ha alimentato un classico “qui pro quo”.

Il 12 dicembre sul negoziato era piombata la notizia della bomba alla Banca dell’Agricoltura a Milano. L’evento aveva fortemente colpito la delegazione perché si avvertiva il peso drammatico che la strage avrebbe avuto sulla vertenza. Nella scena si vedeva Pio Galli, la colonna dell’organizzazione della Fiom, che poi divenne il successore di Trentin, che diceva con il suo consueto piglio: “Bruno, non ci caleremo mica le braghe per questo?”. Quando il film cominciò a circolare tutti pensarono che quel “Bruno” fosse Trentin, invece si trattava di Ugolini.

Tra i due Bruno nacque una collaborazione che durò per decenni. Ugolini divenne il “cantore” di Trentin e lo seguì in tutti gli incarichi che egli ricoprì: il giornalista a cui venivano rilasciate le interviste, con il quale il grande leader sindacale scriveva saggi e libri, anche dopo che Trentin era uscito dal sindacato. Ma l’epopea di Ugolini fu la stessa di tanti di noi: l’esperienza dei metalmeccanici in occasione del contratto, nella costruzione del sindacato dei consigli e dell’iniziativa trainante per l’unità sindacale.

Insieme ad Ugolini in quella battaglia c’era un altro grande giornalista sindacale dell’Avanti, il socialista Giorgio Lauzi. Allora era importante nelle redazioni economiche il ruolo di chi seguiva l’attività sindacale; gli articoli iniziavano spesso dalla prima pagina anche nel caso dei grandi quotidiani, perché il sindacato e i sindacalisti allora erano dei protagonisti della vita politica e sociale.

Ugolini appartiene a quella storia; ha contribuito a scriverla e a custodirla. Non ha mai rinunciato a scrivere. Collaborava con un sito on line chiamato “strisciarossa” con l’autonomia e la lucidità che ha sempre contraddistinto ogni suo scritto: da militante non da osservatore. Saputa la notizia della sua morte, di lui ha scritto Giorgio Benvenuto, l’ultimo grande leader ancora in campo: “Ugolini, un grande giornalista e uno straordinario militante dei sindacati”. Ed è così perché chi ha vissuto quella stagione gloriosa non appartiene ad una sola organizzazione, ma è restato consacrato alla causa dell’unità sindacale.

Purtroppo, caro Bruno, il sindacato ha finito per “calarsi le braghe” in un modo diverso da come pensava Pio Galli. Non è più in grado, da troppo tempo, di alimentare un pensiero collettivo adeguato alle sfide della modernità. Continua a rammendare le solite vecchie calze davanti ad un caminetto ormai spento. Per fortuna tu ed io abbiano conosciuto una altra storia. E ci è bastata quell’esperienza per poter dire: “Ho combattuto la buona battaglia; ho terminato la mia corsa; ho conservato le fede”.

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