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ACCADDE OGGI – Valletta, il capo della Fiat che avvicinò gli italiani all’auto

Il 10 agosto del 1967 moriva Vittorio Valletta che guidò la Fiat negli anni difficili del fascismo e del Dopoguerra, che “allevò” l’Avvocato Agnelli e che avviò la produzione di massa della 500 e della 600 che conquistarono gli italiani

ACCADDE OGGI – Valletta, il  capo della Fiat che avvicinò gli italiani all’auto

Il 10 agosto 1967 muore Vittorio Valletta, l’uomo che per oltre 45 anni nel secolo scorso ha guidato la Fiat, prima come direttore generale, poi amministratore delegato e infine come presidente.

Vittorio Valletta nasce nel 1883 a Sampierdarena (oggi un quartiere di Genova), da una famiglia piccolo borghese, il padre era un impiegato delle ferrovie, si trasferisce con la famiglia a Torino e si diploma come studente-lavoratore alla scuola serale di ragioneria, laureandosi poi alla Scuola Superiore di Commercio (l’attuale facoltà di Economia e Commercio).

Inizia la sua attività professionale come commercialista e contemporaneamente come docente presso la stessa Scuola Superiore di Commercio, in cui si era laureato.

Nel 1921, a 38 anni, avviene la sua svolta.

L’APPRODO IN FIAT

La Fiat del primo dopoguerra è appena uscita da un biennio di gravi tensioni sociali con scioperi e occupazioni delle fabbriche accompagnati da un disordine nei conti aziendali.

L’amministratore delegato e tra i fondatori della Fiat, Giovanni Agnelli, decide di cambiare i vertici dirigenziali inserendo uomini nuovi. Come Direttore Amministrativo chiama Vittorio Valletta, nel frattempo diventato uno dei professionisti più quotati a Torino.

Vittorio Valletta, pur continuando nella sua attività professionale e di docenza (sarà più tardi conosciuto da tutti come il “Professore”), si dedicherà da subito non solo al risanamento dei conti aziendali, ma contribuirà in modo determinante alla riorganizzazione dei metodi e processi aziendali, grazie proprio alla sua attività scientifica di studioso dei sistemi di organizzazione del lavoro taylorista applicati negli Stati Uniti.

Soltanto con la nomina a Direttore Generale del 1928, ormai impegnato a tempo pieno in azienda, cederà il suo studio professionale e lascerà l’insegnamento.

I RAPPORTI CON IL FASCISMO

Nel decennio successivo il binomio Agnelli-Valletta avvierà la produzione di automobili accessibili non solo alle classi agiate, ma anche, se non ancora alle classi popolari, perlomeno alla classe media urbana dei professionisti, dei funzionari pubblici e privati, dei commercianti: dal nuovo stabilimento del Lingotto usciranno la Balilla, la Ardita e poi la Fiat500 (la Topolino).

Sia Agnelli che Valletta cercarono di tenere con il regime fascista un rapporto di equidistanza anche se anche allora la Fiat non poteva non essere filogovernativa, come la definì una volta l’Avvocato Agnelli.

Se il Senatore del Regno Giovanni Agnelli, grazie anche alle entrature con casa Savoia, poteva far valere la propria autonomia dal regime nominando, ad esempio, Curzio Malaparte, inviso a Mussolini, direttore de La Stampa, o assumendo come precettore privato del nipote Giovanni (non ancora Gianni) il liberale antifascista Franco Antonicelli, non altrettanto lo poteva fare il “Professore” Valletta, dal 1938 nominato amministratore delegato, in quanto, come capo dell’esecutivo, doveva pur mantenere le relazioni con il potere romano.

Resta il fatto che non fu mai fatta una nomina “politica” nel consiglio di amministrazione della Fiat né si possono trovare simpatizzanti dichiarati del regime tra i vertici apicali dell’azienda.

Lo sviluppo della Fiat ed il conseguente incremento dei livelli occupazionali preoccuparono peraltro i gerarchi fascisti torinesi che temevano il crescere dell’opposizione al regime tra la classe operaia.

Previsione realizzatasi puntualmente il 15 maggio 1939 all’inaugurazione ufficiale dello stabilimento di Mirafiori quando Mussolini, infastidito dalla freddezza con cui gli operai presenti sul piazzale seguivano il suo discorso, abbandonò a metà cerimonia il palco su cui erano presenti anche Agnelli e Valletta, ambedue in una delle rare occasioni in camicia nera.

IL SECONDO DOPOGUERRA

Come era già successo alla fine del primo dopoguerra, anche dopo la liberazione del 1945 il vento delle passioni politiche e sociali travolse la Fiat.

Il 28 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale delibera l’epurazione per collaborazionismo di Agnelli e Valletta, nominando al loro posto un comitato di gestione della Fiat formato da quattro “commissari”

Un gruppo di partigiani, fraintendendo un comunicato di Giorgio Amendola sull’elenco dei condannati a morte per collaborazionismo, si recava a casa di Valletta per prelevarlo, ma nel frattempo erano già intervenuti gli inglesi che lo prendevano sotto la loro protezione, peraltro declinata, dopo il primo momento critico, dallo stesso Valletta.

Gli inglesi sveleranno successivamente al Comitato di Liberazione Alta Italia le operazioni concordate con Valletta per sabotare la produzione industriale bellica della Fiat destinata ai tedeschi.

Alla fine del 1945 muore il senatore Giovanni Agnelli, già assolto dall’accusa di collaborazionismo.

Saranno poi le autorità americane ad insistere per un ritorno di Valletta alla guida della Fiat, anche perchè i quattro “commissari”, più politici che gestori, stavano dimostrando gravi difficoltà nel far ripartire l’azienda.

Nell’aprile del 1946, annullato il provvedimento di epurazione, Vittorio Valletta torna dunque alla guida della Fiat.

Un aneddoto vuole che in quella occasione Valletta chiese al giovane rappresentante della famiglia Agnelli, l’allora venticinquenne Gianni: “I casi sono due: il Presidente o lo fa Lei o lo faccio io”; ed Agnelli rispose “Professore, lo faccia Lei”.

Qualche giorno dopo il suo ritorno in Fiat, Valletta, in audizione presso la Commissione Economica della Costituente, spiegò che per la ripresa post-bellica erano necessarie grandi unità produttive che favorissero la crescita economica ed ampliassero la base occupazionale.

Una visione di sviluppo del Paese analoga a quella di Enrico Mattei, ma non condivisa dagli altri industriali, pubblici e privati, che vedevano l’Italia solo come un Paese di artigiani e di piccole e medie imprese ed inidoneo per le grandi concentrazioni produttive.

LA FIAT “TERRA, MARE E CIELO”

La Fiat di Valletta fu “Terra, Mare e Cielo”, non solo per la produzione veicolistica (automobili, camion, trattori) e ferroviaria ma anche per quella dei Grandi Motori Marini e degli aerei come il Fiat G.91, che per anni è stato il velivolo delle Frecce Tricolori.

Ma soprattutto Valletta fu l’artefice della motorizzazione di massa degli italiani.

A differenza dell’Alfa Romeo e della Lancia, le cui vetture erano destinate ad una fascia medio-alta di clientela, il Professore puntò sulla produzione di automobili economiche, le cosiddette utilitarie, che potessero essere acquistate anche da impiegati ed operai con un costo non superiore agli 8-10 mesi di stipendio o salario.

Il Paese fu invaso dalle Fiat 500 e dalle Fiat 600 offrendo agli italiani quel senso di libertà di movimento che non avevano mai avuto: la domenica tutti al mare o in gita fuori città ed ad Agosto i grandi esodi per le ferie collettive.

L’epicentro di questa vera rivoluzione di massa fu la Mirafiori, dove ogni mattina il Professore varcava i cancelli alla guida della sua Fiat500.

Sul modello degli stabilimenti americani, in particolare quello di River Rouge della Ford, lo stabilimento della Mirafiori, con i suoi 60.000 dipendenti e oltre 3.000 vetture prodotte al giorno, diventerà l’archetipo della fabbrica fordista-taylorista, con gli impianti di dimensioni tali da massimizzare le economie di scala ed una organizzazione del lavoro in cui è netta la separazione tra le attività semplici e ripetitive, affidate agli operai, e le altre attività complesse, di competenza della linea gerarchica.

Il sistema produttivo è solo declinato dal sistema tecnico, riducendo l’apporto del lavoro operaio a mero fattore indistinto di produzione: le attività di montaggio della vettura sono organizzate a postazioni fisse sulla catena di montaggio con cicli delle operazioni di lavoro tra il minuto ed il minuto e mezzo, gli stessi che l’operaio dovrà ripetere per tutto l’arco del turno di lavoro, mentre tenderanno a scomparire i vecchi mestieri professionali come gli aggiustatori, i battilastra o i revisionisti levabolli.

I RAPPORTI CON I LAVORATORI

Il duro lavoro in fabbrica in quegli anni, (nei quartieri operai di Torino, come Borgo San Paolo, Falchera o Vanchiglia si diceva, ma con orgoglio, “mi travaj a la Feroce” – io lavoro alla Fiat), fu temperato da una politica salariale e da una particolare attenzione ai bisogni dei lavoratori, secondo un modello di liberalità aziendale, definito dai critici “paternalismo vallettiano”, in contrapposizione al modello partecipativo ed “illuminato” di Adriano Olivetti ad Ivrea..

Se da una parte il Professore negli anni Cinquanta adotta, sotto pressione dell’ambasciatrice americana a Roma Claire Boothe Luce, una politica di isolamento dei lavoratori comunisti nelle fabbriche Fiat con la creazione dei cosiddetti reparti “stella rossa”, dall’altra, a volte non curandosi delle politiche confindustriali, mantiene i livelli salariali degli operai Fiat a livelli superiori delle altre aziende metalmeccaniche e non.

Nelle tornate dei rinnovi del contratto nazionale dei metalmeccanici chiuderà sempre, per evitare tensioni tra gli operai, accordi sindacali di anticipazione salariale con il sindacato all’epoca socialdemocratico della Uilm-Uil o con il potente e collaborativo SIDA (Sindacato Italiano dell’Auto), nato sul modello dei sindacati americani alla fine degli anni Cinquanta da una scissione della Fim-Cisl torinese.

Valletta sviluppò inoltre un sistema di buone pratiche per i dipendenti che garantiranno, perlomeno sino alla fine degli anni sessanta, il consenso e l’identificazione con l’azienda, a partire ad esempio dalla mutua totalmente gratuita (la gloriosa M.A.L.F -Mutua Aziendale Lavoratori Fiat), o le pensioni supplementari e i piani edilizi delle Case Fiat, ma anche gli asili nido, le borse di studio o le colonie estive per i figli dei dipendenti.

E non è poi da dimenticare la politica dei forti sconti commerciali riservati ai dipendenti stessi per l’acquisto ogni 6 mesi di una vettura nuova, che alimentavano un mercato delle vetture semestrali dei dipendenti che valeva oltre il 10% del mercato totale del nuovo: insomma l’operaio produttore si trasformava anche in venditore della propria vettura con un suo buon guadagno.

Se i rapporti di Valletta con gli americani sono stati strettissimi, l’ultimo atto significativo del Professore è rivolto, in pieno periodo di guerra fredda, verso l’Unione Sovietica.

Alla fine degli anni Cinquanta infatti affida ad intermediari, probabilmente nell’ambito del PCI, il compito di avviare i contatti con i ministeri moscoviti, in ottica di possibili intese economiche tra la Fiat e l’Unione Sovietica.

Valletta, dopo aver incontrato il Presidente Kennedy alla Casa Bianca nel 1962, avrà il via libera dal Dipartimento di Stato americano a siglare una intesa con il governo sovietico per costruire, prima azienda europea, uno stabilimento automobilistico “chiavi in mano” in Russia in una città chiamata Togliatti.

GLI ULTIMI ANNI

Nel 1966, quasi ottantenne, cede la Presidenza, le voci maligne raccontano “spontaneamente”, a Gianni Agnelli, l’Avvocato, che già il nonno Giovanni Agnelli aveva individuato come suo “delfino”.

Lasciata la Presidenza della Fiat, viene nominato il 28 novembre 1966 senatore a vita dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, un altro torinese, e scompare il 10 agosto 1967 per una improvvisa emorragia cerebrale nella sua residenza estiva in Toscana.

Con le parole di Giuseppe Saragat “si spegne con Vittorio Valletta il più alto rappresentante di una borghesia promotrice di conquiste sociali e benessere per la classe lavoratrice, di sviluppo e progresso per la nazione”.

Alcuni giorni dopo la sepoltura, l’ambasciatore russo in Italia, accompagnato da Gianni Agnelli, deporrà sulla sua tomba una corona di alloro inviata dall’allora Primo Ministro sovietico Aleksej Kosygin.

Sarebbero passati ancora due anni e tutto sarebbe stato diverso con l’autunno caldo del 69 e i successivi anni 70 della conflittualità sindacale e del terrorismo.

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