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ABìCinema: D come definizione dell’immagine ma anche De Sica

ABìCinema: D come definizione dell’immagine ma anche De Sica

Un terreno acceso di competizione tecnologica sul futuro dell’industria audiovisiva riguarda la qualità delle immagini. A rendere gradevole, interessante e godibile un film, un documentario o anche un semplice servizio televisivo, è determinante la definizione dell’immagine, la sua pulizia, la sua nitidezza, la rappresentazione quanto più fedele della gamma cromatica percettibile dall’occhio umano.

Il cinema nasce con la pellicola e si afferma nel formato a 35 mm e in tale misura mantiene il suo primato di definizione (verrà poi fatto un tentativo con l’IMAX a 70mm che non ha avuto grande successo commerciale). La nitidezza viene solitamente riferita in termini di linee per millimetro (la fascia di oscillazione generalmente accettata varia dai 30 ai 70). Sinonimo, ma riferito alla ripresa e proiezione in digitale è invece la risoluzione e si riferisce al numero di pixel per unità di superficie: si può dire che un’immagine è, ad esempio, in 300 DPI (Dot Per Point, punti per pollice – cm 2.54) quando si esprime su 300 colonne per 300 righe, equivalenti a 90000 pixel (Picture Element) per pollice quadrato. È proprio la risoluzione che ci introduce al terreno di competizione tra il cinema tradizionale, analogico, (in questo caso lo intendiamo quello dove si utilizza la pellicola) e il cinema “moderno” dove invece tutto il processo di ripresa, montaggio e proiezione avviene attraverso apparati digitali. Non sono pochi i registi e i produttori che da anni hanno privilegiato la ripresa in digitale per gli indubbi vantaggi in termini di economicità, di velocità e di praticità (è sufficiente osservare che nelle sale cinematografiche, per la maggior parte, oggi non arrivano più le bobine in pellicola ma si connettono ad un server dal quale “scaricano” il film da proiettare). Alcuni, invece, come Quentin Tarantino, preferiscono ancora girare in pellicola perché ritengono che questa riesce a dare, appunto, una definizione e una profondità di campo non ancora possibile con il digitale. Ad esempio, l’ultimo suo lavoro The Hateful Eight è stato girato con una risoluzione analogica in 10K, equivalenti a 10 mila pixel per linea orizzontale, quando la pellicola più usata raggiunge i 5K. Su questo argomento, è di notevole interesse questo documentario, realizzato da Sky Arte.

La definizione ci porta, inoltre, nel pieno campo di sviluppo della televisione dove proprio l’innovazione digitale, consente un miglioramento della qualità delle immagini decisamente  avanzato. Oggi i televisori in commercio – smart tv, cioè predisposti alla connessione in rete – hanno diverse tipologia di offerta: HD Ready, con una risoluzione a 1280×720 (pari a 921600 pixel), Full HD con una risoluzione 1920×1080 (pari a 2073600 pixel) e Ultra HD, detta anche 4K, con circa 4000 pixel orizzontali di risoluzione. Sul 4K si incorre facilmente nell’accumunare due formati differenti per il cinema e la televisione. È in corso di sperimentazione, anche da parte della Rai, del nuovo formato Ultra8K.

Tra i mestieri del cinema, uno occupa un posto di particolare interesse: il distributore. Si tratta di un segmento della filiera che, da solo, è in grado di condizionare l’intera produzione cinematografica. È lui, infatti, che si dovrebbe occupare di acquistare i diritti di commercializzazione di un film e, a seconda della sua qualità e caratteristiche, provvedere a distribuirlo nelle sale o nei paesi dove rende meglio il suo sfruttamento. Di fatto, il distributore, è in grado di orientare il mercato e, indirettamente, le preferenze del pubblico intervenendo, ad esempio, nella quantità di giorni di presenza nelle sale oppure nella partecipazione ai grandi concorsi internazionali.

Anche questa volta, alla lettera D, proponiamo due grandi registi: Brian De Palma e Vittorio De Sica. Il suo film di esordio sulla scena internazionale è del 1974 con Il fantasma del palcoscenico dove ottiene subito un vasto successo  (grazie anche ad un ottima colonna sonora). Inizialmente si specializza nel genere thriller horror e firma titoli importanti come Carrie – Lo sguardo di Satana  del 1976, Fury del 1978 e Vestito per uccidere del 1980. Successivamente tocca anche altri generi, dai gangster movies alla fantascienza come Scarface del 1983, Carlito’s Way del 1993 oppure Mission to Mars del 2000. Considerato un maestro delle “scene madri” che segnano fortemente il senso dei suoi film, alcune riprese da altri film celebri, come ad esempio negli Intoccabili del 1987, con la carrozzina che rotola dalle scale ripresa da La Corazzata Potemkin.

Vittorio De Sica è considerato, a ragione, tra i padri del neorealismo italiano. Sono suoi capolavori come  Sciuscià del 1946, Ladri di biciclette  del 1948, Miracolo a Milano del 1951, Umberto D. del 1952 e L’oro di Napoli del 1954. Nasce e si afferma prima come attore e arriva poi al cinema in età matura, nel pieno dopoguerra, anche a seguito dell’incontro con Cesare Zavattini. Mantiene spesso questa sua radice ed è memorabile la sua partecipazione in  Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini del 1953 come pure ne Il generale Della Rovere, di Roberto Rossellini del 1959. Vanta quattro premi Oscar e innumerevoli altri riconoscimenti nazionali e internazionali con La ciociara del 1960, Ieri, oggi, domani del 1963, Matrimonio all’italiana del1964 e Il giardino dei Finzi-Contini del 1970.

 

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