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A Lina Wertmüller il premio “Honorary Academy Award”

Dopo la nomination all’Oscar del 1977 la Wertmuller si aggiudica ora il premio che Hollywood riconosce a chi in carriera dà un contributo straordinario al cinema

A Lina Wertmüller il premio “Honorary Academy Award”

“Bisogna dare a Lina Wertmüller un Oscar alla carriera!”, perentorio al Board of Governors dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, nel 2017 l’allora potentissimo Harvey Weinstein, ignaro che il mondo femminile lo avrebbe, di lì a poco, distrutto per sempre.

Pascal Vicedomini, il solerte e bene addentrato nelle maglie hollywoodiane, raccoglie subito l’appello e organizza una propaganda per Lina Wertmüller degna di una campagna presidenziale americana (la premiata ditta Vicedomini&Renis ha creato diversi Festival cinematografici di grande successo dove la regista figura tra i fondatori: CapriHollywood; Ischia GlobalFest; Los AngelesItalia e, nel 2017, il Capri in the World Institute dove la Wertmüller è anche Honorary Chair).

L’Honorary Academy Award, da non confondere con l’Oscar, è il premio che Hollywood riconosce a chi dà un “outstanding contribution to the film industry and beyond”. Il contributo eccezionale di Greta Garbo e di Mary Pickford, per citarne solo alcune, è indiscusso, quello di Lina Wertmüller si presta ad un dibattito sul merito sul quale preferisco glissare. Più che ad una carriera straordinaria, sembra che tale onore le sia tributato per altri motivi, americanamente ammantato da un politically correct che vuole fare credere al “mondo” che le donne\registe abbianovinto la battaglia dei sessi.

Che Amy Baer, presidentessa di Women in Film, dichiari in sintesi “Lina Wertmüller è un’icona per tutte le donne che fanno cinema” ha un che di grottesco ma almeno questo è in linea con il genere della regista. D’accordo che le donne anche nella Cinematografia devono avere il giusto riconoscimento e la effettiva importanza; d’accordo che la Wertmüller abbia dimostrato, grazie ad un carattere forte e individualista, di imporsi in un ambito prevalentemente maschile, ma attenzione a non prendere cantonate nell’assurgere al ruolo di paladine della causa femminile, donne che paladine non sono, se non di se stesse, purtroppo.

“Queste donne che vogliono il voto, e pretendono gli stessi diritti degli uomini, non le capisco.” scriveva Virginia Woolf; “Che significa donna-regista? Io sono regista e basta, non mi interessa il femminismo” dichiarava Lina Wertmüller. Per ironia della sorte, la prima è la paladina letteraria delle femministe; la seconda rischia di diventare un modello del riscatto della cinematografia al femminile.

Trovo curioso questa nemesi al contrario: nel 1977 (anno di nascita dell’onda femminista) Lina riceve le nominations all’Oscar e si aggiudica il primato di “prima regista ad avere avuto una nomation”. Nel 2019, tra rigurgiti di Metoo, e sobbalzi di women pride, si porta a casa un Honorary Academy Award ed entra per sempre nell’Olimpo di Hollywood che piaccia o meno ai vari Nanni Moretti e alle “artiste impegnate” di casa nostra che, da ora in poi, possono andare a Los Angeles e provare soddisfazione nel calpestare la stella di Lina Wertmüller sulla Walk of Fame.

Passato l’effetto bandwagon per Santa Lina da Los Angeles (negli anni’70 era santa ma a New York) dopo avere rilasciato interviste, forse qualche ospitata in tv, ripresentato un documentario biografico monocorde e leziosamente autocelebrativo,promuovere qualche lavoro cine-teatrale, cosa di concreto porterà il suo HonoraryAward alla così abusata causa femminile utilizzata sempre più per promuovere libri, organizzare festival, lanciare film, e creare falsi miti? Se qualcuno pensa che questo premio possa dare un colpo d’ala al cinema italiano si illude, dietro i riflettori sempre meno accecanti,  il sistema è incancrenito, e il merito un effetto speciale sbiadito.

Sono pronta a scommettere che di tutto questo a Lina non importa nulla. Non ha chiesto lei di essere definita “icona”; non ha chiesto lei di ricevere onori così prestigiosi e agognati; non ha mai pensato di strizzare l’occhio ad un sistema “culturale” che l’ha sempre snobbata, ma ha continuato a modo suo e per la sua strada. 

Qualche anno fa, un intervistatore compito e deferente, provò a carpirle il segreto del suo successo: “Maestro, dunque ci può dire come chiama questa congiunzione di sinergie che confluiscono in un unico stimolo situazionale finalizzato all’attuazione della sua lodevole opera filmica?”

“Culo!” rispose Lina con disarmante obiettività.

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