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Tfr, da tesoretto del lavoratore a risorsa della finanza pubblica: cosa cambia e perché serve una riforma

Il trattamento di fine rapporto (Tfr) non è più solo una liquidazione accantonata per il lavoratore: oggi finanzia anche previdenza complementare e spesa pubblica. Serve una riforma trasparente per garantire equilibrio tra tutela individuale e interessi dello Stato

Tfr, da tesoretto del lavoratore a risorsa della finanza pubblica: cosa cambia e perché serve una riforma

Dubito che gli italiani siano consapevoli delle trasformazioni intervenute nella disciplina del trattamento di fine rapporto (Tfr), la più importante delle quali è il mutamento della sua stessa natura: da una prestazione custodita ed erogata sotto forma di capitale (rivalutato ex lege) intestato individualmente al lavoratore, nel 2007 (quando venne effettuato l’ultimo intervento legislativo importante nel settore della previdenza complementare), anche il trattamento di fine rapporto è finito in un regime sostanzialmente a ripartizione.

Prima di procedere oltre, come nei romanzi dell’Ottocento, occorre fare un passo indietro. Fin dai primi passi della previdenza privata a capitalizzazione (dlgs n.124/1993; legge n. 335/1995; legge n.243/2004 e dlgs n. 252 del 2005), il legislatore, in un crescendo normativo, ha cercato di orientare l’utilizzo del tfr maturando (con la sua aliquota pari al 6,91% della retribuzione) come la principale e più consistente forma di finanziamento delle forme di previdenza complementare, a cui aggiungere, nell’ambito della contrattazione collettiva, i contributi del datore e del lavoratore.

Il ruolo del Tfr nel finanziamento della previdenza complementare

Ciò per consentire ai lavoratori aderenti di disporre di un pacchetto di risorse significativo in grado di dare un senso prima al montante contributivo, poi al valore della prestazione. Un risultato che – secondo le stime – dovrebbe aggirarsi intorno a un 10% della retribuzione, aggiuntivo al 33% di aliquota complessiva destinata alla previdenza obbligatoria.

Visto che ne uscirebbe una vera e propria spoliazione del reddito presente in nome di una maggiore tutela futura attraverso il mix tra quota pubblica e privata, l’uso del Tfr consente di mettere a disposizione, riconvertendone la finalità e rendendone attuale la disponibilità, una risorsa già inclusa nel costo del lavoro e quindi tale da non aggravarne l’onere, né di chiedere al lavoratore di attingere al netto della sua busta paga.

Le opzioni del lavoratore e il silenzio-assenso nel conferimento del Tfr

La legge delega n.243/2004 e il dlgs attuativo n.252 del 2005 hanno affrontato il tema del conferimento del Tfr maturando alle diverse forme (fondi chiusi, aperti, piani individuali). Secondo la norma vigente, entro i sei mesi successivi all’assunzione, il lavoratore può esercitare le seguenti opzioni:

a) decidere di conservare il regime del Tfr accreditato nel bilancio dei datori di lavoro, dichiarandolo però espressamente;

b) scegliere, già all’atto dell’assunzione e in condizione di par condicio, una delle possibili tipologie di previdenza privata a capitalizzazione a cui destinare la propria liquidazione.

Se il lavoratore resta passivo, scatta un meccanismo del silenzio-assenso con il conferimento del Tfr secondo una gerarchia di destinazioni che termina – ove non vi siano altre possibilità – in un fondo residuale costituito presso l’Inps (peraltro in via di liquidazione).

La gestione del Tfr inoptato e le implicazioni per la finanza pubblica

Va notato che il Tfr “inoptato”, ovvero lasciato dal lavoratore in azienda, se essa ha da 50 dipendenti in su, la quota viene destinata a un Fondo Tesoro gestito dall’Inps, che si prende in carico la liquidazione della prestazione con il metodo della ripartizione; ovvero, dalle risorse incassate nell’anno per il trattamento di fine rapporto si prelevano le quote destinate, nell’anno medesimo, alla liquidazione delle prestazioni maturate (per i pubblici dipendenti è prevista una disciplina particolare che tiene conto delle specificità del Tfr, delle sue modalità di erogazione e dei riflessi sulla spesa pubblica).

Fino ad ora il saldo tra entrate e uscite è positivo, ma è opportuno seguire i trend nel tempo perché anche in questo caso sono presenti le trappole della ripartizione, che è sempre un rapporto tra attivi contribuenti e persone che riscuotono la prestazione.

Il Tfr in Europa e la necessità di una riforma trasparente

La tabella indica quanta parte del Tfr maturato dal 2007 al 2024 (l’anno del Rapporto Covip recentemente reso noto).

Come si evince dalla tabella, su un ammontare cumulato di 445 miliardi, la quota prevalente (234 miliardi) è rimasta accantonata nei bilanci aziendali, soprattutto delle Pmi, mentre alla previdenza complementare è stato destinato un montante cumulato di 105 miliardi, più o meno corrispondente a quello trasferito al Fondo di Tesoreria presso l’Inps (poco più del 23% del totale), che, come abbiamo detto, costituiscono risorse a disposizione della finanza pubblica per la spesa corrente.

Distribuzione e destinazione del Tfr nel 2024

Nel 2024 è stato generato nel sistema produttivo un Tfr stimato in circa 32,7 miliardi di euro; di questi, 17,6 miliardi sono rimasti accantonati presso le aziende, 8,6 miliardi versati alle forme di previdenza complementare (la migliore performance del periodo considerato) e 6,5 miliardi (un flusso praticamente stabile) destinati al Fondo di Tesoreria.

Occorre tener conto di questi dati, delle propensioni che vi sono sottese, dell’allocazione delle risorse prodotte nei diversi impieghi possibili prima di avventurarsi in voli pindarici sull’uso di questa risorsa, come, per esempio, la sua riconversione in retribuzione corrente per determinarne un incremento a parità di oneri; oppure il suo trasferimento obbligatorio alla previdenza privata (qualcuno ipotizzò persino un trasferimento alla previdenza obbligatoria).

In ogni caso il problema di un riesame si pone, specie in funzione di potenziamento del secondo pilastro, sul quale si è rivolta, da ultimo, l’attenzione del ministro Giancarlo Giorgetti nel suo intervento all’Assemblea dell’Ania.

Il Tfr: un’anomalia nella contabilità retributiva europea

Il Tfr, nel contesto europeo, è una voce retributiva anomala. Per lungo tempo, in quella sede, era addirittura complicato individuare una qualificazione condivisa. Nella contabilità delle poste retributive veniva incluso sotto la voce “indennità di disoccupazione”.

Tanto che – come ha fatto notare Alberto Brambilla nella sua battaglia contro il pauperismo dilagante – nel caso delle paghe contrattuali Eurostat non include il Tfr, che vale il 6,91% della retribuzione, oltre a un ulteriore 0,5% versato all’Inps per la tutela del lavoratore nei casi di fallimento dell’impresa.

Già con questo 7,41%, l’Italia risalirebbe la classifica nella graduatoria delle retribuzioni.

Quello che è certo – prosegue il presidente di Itinerari previdenziali – è che Eurostat o Ocse mica se li inventano questi dati; il “fornitore unico” è l’Istat, che da tempo offre “stime” discutibili. Il problema è che notizie incomplete e inesatte inficiano la pace sociale. Sarebbe ora – sollecita Brambilla – che il governo mettesse ordine e imponesse seri controlli di veridicità su questi dati, che offrono carburante a tutti quelli che parlano solo di diritti mai di doveri, chiedendo in continuazione soldi senza curarsi dell’enorme debito: ne va della serenità del Paese.

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