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L’India rilancia il carbone e la transizione verde arretra (con molti complici)

Il colosso Coal India riapre le miniere dismesse e ne costruisce di nuove. Intanto i grandi fondi di investimento continuano a puntare in maniera massiccia sugli idrocarburi, specie quelli Usa. E le previsioni sull’avanzata delle rinnovabili si raffreddano.

L’India rilancia il carbone e la transizione verde arretra (con molti complici)

Nuovo carbone per crescere, con un sonoro dietro-front sulle politiche ambientali. Viene dall’India, ma non solo, la nuova gelata sulla transizione energetica e annessi tentativi di salvataggio del pianeta dagli effetti del riscaldamento globale. Mentre l’India rallenta la corsa alle rinnovabili, promessa con grande enfasi, e torna al combustibile più inquinante, altri due segnali d’allarme fanno da inquietante corollario. Il modesto calo del 2,3% nella domanda mondiale di carbone entro il prossimo anno tracciato solo un anno e mezzo fa dell’agenzia internazionale per l’energia (IEA) rischia di essere annullato. Intanto l’ultima analisi di BloombergNEF (Bnef), la divisione di Bloomberg che analizza i trend delle tecnologie e dei mercati energetici tecnologici, mostra che il lento spostamento degli investimenti globali sulle energie verdi sta facendo addirittura marcia indietro. In una fase storica in cui le destre combattono a colpi di negazionismo climatico c’è poco da stare tranquilli.

Il minerale nero cerca nuovo spazio

L’annuncio è appena arrivato da Shri Prasad, presidente dell’azienda statale Coal India, numero uno della produzione di carbone nel mondo. In un’intervista al Financial Times rilanciata in Italia dagli analisti di e-gazette Prasad annuncia che verranno riaperte e messe in piena produzione oltre 30 vecchie miniere che erano state chiuse, a cui se ne aggiungeranno almeno cinque di nuove solo quest’anno. La giustificazione? L’industria, il commercio, le famiglie, gli affari, hanno bisogno di energia. E i volenterosi piani di diffusione delle energie rinnovabili non sono in grado di soddisfare la crescita della domanda.

Coal India copre tre quarti della richiesta nazionale di carbone con 310 miniere che ancora oggi alimentano tre quarti della produzione di elettricità del paese con ben poche possibilità di assecondare le promesse governative, date per perdenti, di far scendere la quota al 55% entro il 2030 con 500 GW di energia verde, e al 27% entro il 2047. Gli attuali investimenti sulle rinnovabili per 13 miliardi di dollari sembrano robusti ma sono lontanissimi dai 68 miliardi di dollari annui stimati come necessari per raggiungere gli obiettivi governativi.

Ad animare la ritrovata vitalità carbonifera del colosso Coal India sono, paradossalmente, le tecnologie. Le miniere erano state chiuse perché antieconomiche a causa dell’arretratezza dei macchinari e dall’alto tasso di estrazione manuale, ma le nuove tecniche hanno evidentemente dato nuova linfa ai margini economici. Così Prasad prevede di superare 1 miliardo di tonnellate di produzione annua entro il 2029 a fronte di poco più di 780 milioni dello scorso anno. Un nuovo tentativo di marcia indietro potrà esserci – si giustifica il presidente del colosso carbonifero – solo quando le rinnovabili e gli accumuli a batteria si svilupperanno davvero in quantità ed efficienza.

La IEA: una strada tutta in salita

Era il dicembre del 2023 quando arrivò la diagnosi. Oggi le già poco confortanti previsioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia rischiano di venire addirittura ridimensionate. Il rapporto IEA, dall’orizzonte triennale, indicava in un confortante 20% nel giro di due anni la diminuzione del ricorso Carr al carbone da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti. La UE ha sostanzialmente centrato l’obiettivo, gli Stati Uniti si sono avvicinati, India e Cina in compenso stanno sfornando al rialzo le stime di aumento entro il 2026 rispettivamente dell’8% e del 5%. E ora si aggiungono gli ultimi inquietanti segnali: sarà ben difficile raggiungere a fine 2026 la stima, già modestissima, di una diminuzione globale del 2,3% nel ricorso al carbone.

Così il mondo della finanza punta sui fossili

Un affare, forse, nel futuro. Ma oggi la diffida tra fonti fossili rinnovabili stenta ancora a trovare credibilità nel mondo della finanza. Tant’è che nel portafoglio dei fondi di investimento, specie in quelli a stelle strisce, le principali società petrolifere e del gas mantengono una presenza non solo preponderante ma proporzionalmente superiore, come trend, rispetto allo stesso sviluppo delle rinnovabili. Due a uno, anzi ancor di più a favore dei fossili: è questa la proporzione della spesa in conto capitale attribuita ai principali fondi di investimento globali nell’ultima analisi di BlombergNEF, che introduce il nuovo parametro Energy Supply Fund-Enabled Capex Ratio (Esfr) per stimare la propensione dei fondi negli investimenti in energie verdi rispetto a quelli dedicati al settore degli idrocarburi.

Per elaborare le sue stime Bnef prende riferimento l’insieme di specifici investitori che hanno acquisito partecipazioni in attività azionarie e di debito collegate a società energetiche per un valore 204 miliardi di dollari, a fronte dei 2,3 trilioni di dollari stimati per la spesa in conto capitale di tutte le attività di approvvigionamento energetico nel 2024. La suddivisione di questo pacchetto di investimenti rispetto ai fossili tradizionali e alle rinnovabili genera una media globale dell’Esfr di 0,48 a 1 con uno squilibrio addirittura superiore di uno a dieci rispetto a quello che sarebbe necessario per assecondare il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050, promessa coralmente da tutti gli organismi istituzionali internazionali.

L’amore dei fondi per i fossili negli Stati Uniti trova sicuramente delle motivazioni sugli ingentissimi investimenti nelle tecniche di frantumazione profonda del sottosuolo per estrarre petrolio gas (tight oil e shale gas) che hanno consentito all’America, seppure a prezzo di evidenti danni ambientali e di pericoli crescenti, di diventare il primo produttore mondiale di idrocarburi. Con prospettive che sembravano mostrare un ulteriore trend di sviluppo ma che recentemente si stanno ridimensionando. Un segnale di speranza troppo debole per crederci davvero.

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