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Wall Street, il Toro punta JP Morgan e GS. Occhio a Cina e prezzi

Fino a quanto potrà durare il rally di Wall Street? Pepsico apre le trimestrali ma l’attesa è per i grossi calibri. Gli analisti scommettono su nuovi record ma i prezzi Usa corrono verso la barriera del 5%. E la Cina blocca Tik Tok: i dati sono una questione di Stato

Wall Street, il Toro punta JP Morgan e GS. Occhio a Cina e prezzi

Su, su, ancora su. Il sondaggio tra gli economisti del Wall Street Journal lascia pochi dubbi: l’indice dei prezzi, in uscita tra poche ore, confermerà la tendenza all’aumento dei prezzi, giunti alla barriera del 5% di rialzo rispetto ad un anno fa. Per rivedere una crescita di analoga entità occorre risalire al 2008, nel bel mezzo del trambusto provocato dalla crisi finanziaria. Stavolta, però, all’origine del fenomeno c’è soprattutto l’energia sprigionata dalla ripresa, che incide sulle materie prime così come sui salari. 

Ma che dire dei profitti? Il caso vuole  che il dato sull’inflazione arrivi nel giorno in cui comincia la campagna delle trimestrali della Corporate America. Una buona occasione per valutare se, trimestre dopo trimestre, continua il recupero dell’economia americana rispetto ai guasti della pandemia. Ovvero, stabilire fino a che punto il rally di Wall Street, in ascesa del 16 per cento rispetto ad inizio anno, sia o meno giustificato.

A poche ore dal fischio d’inizio del match, quest’anno inaugurato dai conti di Pepsico prima che scendano in campo i grossi calibri (JP Morgan e Goldman Sachs in testa), gli analisti scommettono sulla tenuta dei listini. Factset prevede che gli utili delle aziende comprese nell’indice Standard & Poor’s 500 registreranno un incremento del 63%, in accelerazione rispetto al 52,5% messo a segno nel trimestre precedente. La crescita dell’inflazione non preoccupa più di tanto: anzi, archiviata la stagione più difficile, le banche sono pronte ad approfittare di un allargamento della forbice dei tassi e a gratificare i soci con dividendi e buy back. Un altro driver della crescita dei listini sarà l’energia: l’aumento dei prezzi del petrolio consente una boccata d’ossigeno per grandi e piccoli protagonisti del listino. Anche perché, nonostante la raffica di record dei mercati americani, i fondamentali restano sotto controllo: il rapporto prezzo/utili è pari a 21,6 volte, leggermente al di sotto del dato di dicembre (22,1). 

Questi numeri, però, confortano solo in parte la piazza finanziaria Usa, oggi mobilitata anche per assorbire l’offerta di 120 miliardi di bond all’asta. A sostenere Wall Street è, infatti, anche l’infimo interesse dei T-bond inchiodati attorno all’1,35% sui decennali. Fino a quando sarà sostenibile uno sbilancio così marcato tra mercato obbligazionario ed inflazione? Ovvero, fino a quando il rendimento del mercato azionario, sopra il 3%, godrà di un vantaggio così massiccio verso le obbligazioni? 

Certo, il principale creditore del Tesoro è la Fed, che domani ribadirà per bocca del presidente Jerome Powell che l’inflazione è solo temporanea. Né minaccia sorprese il secondo creditore degli Usa, cioè il Giappone, fedelmente schierato nel mar Giallo a fianco di Washington. 

Lo stesso non vale, però, per i 1.100 miliardi di dollari in bond detenuti dalla Cina, separata da un conflitto che registra ogni giorno capitoli nuovi: l’ultimo riguarda il documento sul rischio di atrocità nel mondo presentato lunedì sera al Congresso dal Segretario di Stato Anthony Blinken: tra i sei luoghi del pianeta dove maggiore è il ricorso alla violenza ed alla crudeltà, è indicato anche lo Xinjiang. Ma è improbabile che i diritti umani possano far saltare gli equilibri planetari del debito, un problema che accomuna Est ed Ovest. 

Semmai, con una strana sincronia, Washington e Pechino hanno messo nel mirino i Big Tech, protagonisti della rivoluzione digitale. L’Antitrust Usa va all’attacco di Google, Facebook e di Amazon, ormai in grado di condizionare ogni comparto dell’economia (e così rallentare i benefici della concorrenza). Pechino, dopo le punizioni inflitte a Jack Ma e a Didi, ha spaventato ByteDance, la società dell’app TikTok che ha deciso di posticipare a data da destinarsi il suo progetto di quotazione a Hong Kong ed al Nasdaq, dopo una serie di incontri con le agenzie della Cina che sorvegliano la tutela dei diritti dei consumatori, messi a rischio dall’immensa mole dei dati raccolti dalle piattaforme.

Attenzione però: questi dati, secondo Xi Jinping, non sono privati, ma appartengono allo Stato. 

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