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Via della Seta, senza lo scudo europeo resta un rischio

La garanzia del Presidente Mattarella sulle nuove relazioni tra l’Italia e la Cina sulla Via della Seta è importante ma per l’Italia avviarsi da sola in questa operazione senza un confronto a livello europeo e senza un dibattito in Parlamento comporta rischi che non si possono sottovalutare

Via della Seta, senza lo scudo europeo resta un rischio

Ottenebrata dalle beghe interne e dalle scaramucce con i vicini, l’opinione pubblica non ha sufficienti informazioni sulla portata, le dimensioni, gli effetti economici e le implicazioni politiche della cosiddetta “Via della Seta”, un’opera paragonabile a una Muraglia cinese del futuro prossimo, dilatata ed estesa attraverso i Continenti. D’acchito mi conforta l’irritazione della Casa Bianca.

Su Donald Trump condivido l’opinione di Madeleine Albright, che nel suo libro “Fascismo” dedica al Presidente degli Usa, tra le tante critiche, una considerazione ficcante: “Per Trump il mondo è un’arena in cui ogni Stato, al pari di un’impresa immobiliare, lotta per imporre il proprio dominio sugli altri e scende in campo per sbaragliare la concorrenza e lucrare fino all’ultimo centesimo da ogni affare”. Secondo l’ex segretaria di Stato di Bill Clinton, la generazione politica di Franklin D. Roosevelt e Harry Truman era certa che gli Usa avrebbero tratto vantaggio dal perseguire la sicurezza, il benessere e la libertà in maniera condivisa, tanto da aiutare alla fine della Seconda guerra mondiale i Paesi sconfitti in Europa e in Asia a risollevarsi dalle rovine e a fornire assistenza tecnica in America Latina, Africa e Medio Oriente.

Con la dottrina delll’America first Trump ha, invece, rinunciato a esercitare la propria leadership nel guidare le altre nazioni in direzione dei valori della sicurezza, della coesione, del multilateralismo, della giustizia e della pace. “La leadership internazionale – sostiene Albright – non è un impegno a termine”. Gli Stati Uniti non solo vi hanno rinunciato, ma sono passati dalla parte opposta: dall’isolazionismo politico, militare ed economico alle guerre commerciali; dalla denuncia dei trattati internazionali su di un nuovo modello di sviluppo ad una manifesta ostilità nei confronti dell’Unione europea, fino a divenire il punto di riferimento del dilagare dei populismi entro i confini del Vecchio Continente.

Gli Usa svolsero un ruolo decisivo nelle due guerre mondiali del secolo scorso. Senza il sacrificio dei soldati americani la storia dell’Europa sarebbe stata diversa, il suo destino sicuramente peggiore. Ma le Amministrazioni americane non si limitarono solo a vincere nei campi di battaglia in terre lontane dal loro Paese; alla fine del conflitto tentarono anche di stabilire un ordine mondiale più stabile e sicuro. Woodrow Wilson inventò la Società delle Nazioni che si risolse in un fallimento proprio perché venne meno la guida Usa (il Congresso bocciò il trattato). Roosevelt sottoscrisse con Churchill la Carta atlantica, il 14 agosto del 1941, dove erano già prefigurate le istituzioni di un nuovo ordinamento internazionale. Truman diede avvio alla Nato quale strumento militare di difesa dell’Occidente; con il Piano Marshall volle evitare gli errori compiuti nei confronti della Germania sconfitta dopo la Grande Guerra.

Forse non ce ne siamo accorti, ma il mondo è appena uscito dalla terza guerra mondiale che si è combattuta, senz’armi, negli anni della crisi, a conclusione della quale le due potenze – gli Usa e il Regno Unito – vittoriose nella battaglia per la libertà nel secondo conflitto, hanno tirato i remi in barca, ognuno per suo conto. L’Europa avrebbe potuto giocare un ruolo importante sul nuovo scacchiere internazionale, soprattutto dopo il 1989, quando i popoli erano approdati tutti alla libertà. Ma è rimasta un gigante in economia ed un nano in politica. Essendo venuta meno la partnership con l’altra parte dell’Atlantico è normale che il Vecchio Continente rischi di essere assorbito nell’orbita di un’altra grande potenza. Si è temuto un processo di “finlandializzazione”, per l’attrazione che la Russia di Putin esercita su talune forze politiche europee. Ma la Cina sta mettendo in campo molto di più dei gasdotti e dei prodotti energetici.

L’Italia – anello debole della catena – sembra decisa ad avventurarsi per prima sul terreno inesplorato della “via della seta”. Il Presidente Sergio Mattarella è certamente un ottimo garante, ma è pericoloso gettarsi da soli in questa operazione, senza un confronto a livello europeo e senza fare uno sforzo per analizzare le conseguenze. Trump tra un paio di anni potrebbe essere rispedito all’interno della sua Tower per fare posto ad un presidente che sia anche – come si diceva una volta – leader del mondo libero. Ma i cinesi ci saranno sempre, pronti a rifare la “lunga marcia” non sulle montagne per sfuggire alla caccia dei nazionalisti, ma per dominare, con l’economia, la parte più sviluppata e progredita del mondo moderno. È veramente singolare che il governo giallo-verde, incapace di decidere persino sugli alamari dei pompieri di Viggiù, si getti a capofitto, tra poche settimane, in questa grande avventura. Non gli sarà concesso di inventarsi tra qualche anno un’analisi costi-benefici addomesticata ad usum delphini, né di inserire, nei memorandum sottoscritti, delle clausole di dissolvenza. E il Parlamento non ha nulla da dire. Aspetta di essere scelto per sorteggio?

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