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Usa, infrastutture obsolete: a rischio l’export

Ponti, aeroporti, canali, gestione dell’acqua, trasporti: tutto troppo vecchio – Per riparare Washington spende più di quanto occorra per rifare da zero – Manca una strategia nazionale – Gli esperti chiedono soluzioni con il coinvolgimento dei privati – A rischio la competitività e le esportazioni

Usa, infrastutture obsolete: a rischio l’export

L’ultimo pezzo è caduto qualche mese fa. Il ponte sul fiume Skagit, a 40 chilometri dalla frontiera canadese, costruito nel 1955, classificato come “funzionalmente obsoleto” dalla Federal Highway Administration, è crollato segando in due il corridoio interstatale 5, quello che collega Seattle alla Columbia Britannica. Un’opera che non sarà ricostruita – costa troppo – ma sarà riparata, per quanto possibile, con 15 milioni di dollari di interventi.

Il sistema delle infrastrutture degli Stati Uniti è malato, racconta il quotidiano francese Les Echos in un lungo reportage. Secondo un rapporto della Società americana degli ingegneri civili l’11% degli oltre 607 mila ponti del Paese sono “strutturalmente deficitari” e sono nel complesso classificati con un C+. Quel che preoccupa, è che l’insieme delle infrastrutture americane (quindi anche aeroporti, canali, treni, ecc…) è messo anche peggio e vanta una preoccupante D+.

Secondo gli ingegneri, l’America dovrebbe investire 3600 miliardi di dollari per mettere a nuovo le infrastrutture, da qui al 2020. Ma nel budget ci sono solo 2000 miliardi.

Il motivo del collasso non va necessariamente cercato a Washington. Lo stesso presidente Barack Obama ha sottolineato, a febbraio, la situazione preoccupanbte dei ponti e da tempo chiede al Congresso un piano di investimento massiccio per sostenere la crescita, perché senza infrastrutture il manifatturiero è zoppo e le esportazioni sono minacciate.

“Abbiamo costruito male – spiega a Les Echos Joshua Schank di Eno, una fondazione che ha come obiettivo il miglioramento infrastrutturale – Abbiamo speso un sacco di soldi per riparare, talmente tanti che rifare l’opera da zero sarebbe costato meno”.

C’è un problema di risorse. “Prendete la tassa sui carburanti che alimenta gli Highway Trust Fund, i fondi che finanziano l’80% delle autostrade – continua Schank – Non aumenta dal 1993”. Ma il balzello sulla benzina è una patata bollente e difficilmente accadrà qualcosa senza una riforma fiscale globale.

Più in generale, la competitività del Paese soffre per la mancanza di investimenti. Janet Kavinoky, della Camera di commercio americana, racconta: “Torno da un viaggio lungo il Mississipi, un asse fluviale cruciale per i prodotti agricoli, il carbone e il petrolio. Il 90% delle opere hanno più di 50 anni, sono in rovina. Ci vorrebbero 80 miliardi di dollari per risolvere il problema. Ma il Congresso stanzia dai 3 ai 5 miliardi l’anno.”

Tutti gli esperti concordano su un fatto: agli Stati Uniti manca una strategia nazionale. Secondo Kavinoky, la soluzione passa necessariamente dal coinvolgimento dei privati: “Abbiamo bisogno di partnership pubblico-privato, che assicurino ritorni sufficienti per gli investitori. Non penso che la popolazione locale o gli Stati siano reticenti, manca semplicemente informazione in materia.”

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