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Up & down, chi sale e chi scende in economia, politica, sport: da De Laurentiis a Landini e tanti altri

Chi sale per eccellenza professionale, visione del futuro e rigore morale e chi scende per la mancanza di uno o due di questi requisiti. Giù il cappello per il presidente del Napoli, De Laurentiis, per il finanziere Tamburi e per la Ceo di Vodafone, Della Valle. Giù dalla torre il ministro francese Darmanin, il segretario della Cgil Landini e il premier britannico Sunak

Up & down, chi sale e chi scende in economia, politica, sport: da De Laurentiis a Landini e tanti altri

Il mondo è fatto a scale, c’è chi scende e c’è chi sale. Alcuni guadagnano, altri perdono. Il proverbio è tratto da un detto di Terenzio: “Omnium rerum, heus, vicissitudo est”. Ma salire o scendere in che senso? Per FIRSTonline sale chi eccelle professionalmente, chi ha una lungimirante visione del futuro e chi ha un indiscutibile rigore morale. Scende chi non soddisfa anche solo uno di questi requisiti. Sono queste le griglie interpretative che ispirano la nostra nuova rubrica Up & Down.


Ecco chi sale

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Aurelio De Laurentiis

Aurelio De Laurentiis

Diciamo la verità: il Presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, un grande simpaticone non è lo stato mai e non lo è. E’ un po’ spaccone, che a Milano chiamano bauscia, come il Berlusconi prima maniera, sempre convinto di saperla più lunga. Però, quando uno vince con grande merito e largo anticipo uno scudetto che a Napoli mancava dai tempi di Maradona non resta che fare una cosa: levarsi tanto di cappello. Lo scudetto, è vero, lo ha vinto la squadra e lo ha confezionato un allenatore come Luciano Spalletti che di scudetti ne aveva visti (due) solo nella sua avventura russa di San Pietroburgo e di cui si discuteva – dai tempi delle baruffe con Totti – la reale capacità di gestire i campioni. Però grande parte del merito della vittoria va proprio a De Laurentiis che è stato a lungo contestato dai tifosi e addirittura minacciato di morte dalla criminalità organizzata. De Laurentiis non ha mai mollato, ha cancellato la sua fama di mangia-allenatori, e alla fine ha vinto. Lo scudetto è il film che gli è riuscito meglio in tutta la sua vita di produttore cinematografico.

Margherita Della Valle

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Per una donna rompere il soffitto di cristallo non è mai facile. Figuriamoci in un grande gruppo internazionale come Vodafone, che ha un azionariato inquieto e pieno di concorrenti come Iliad e Liberty Global, e figuriamoci se questa donna è una manager italiana. Qualche volta però i miracoli esistono ed è certamente uno di questi quello che il 27 aprile ha portato con pieno merito sulla poltronissima di Ceo di Vodafone Group la romana di nascita ma bocconiana di studi Margherita Della Valle, già Ceo ad interim dopo il traumatico licenziamento di Nick Read. Della Valle era e temporaneamente resterà anche Cfo dell’intero Gruppo, incarico che l’ha fatta entrare nel gruppo delle 15 più importanti donne Cfo del Ftse 100. Ma perché gli azionisti della public company britannica l’hanno scelta come Ceo? “Per la velocità e la risolutezza con cui ha avviato la necessaria trasformazione di Vodafone” ha spiegato il Presidente Jean-Francois van Boxmeer. Da queste parole qualunque manager sarebbe giustamente lusingato, una donna manager lo è due volte, una manager italiana almeno tre. Grande Margherita.

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Gianni Tamburi

Gianni Tamburi, il vulcanico e creativo fondatore e Ceo di Tip, il Primo Maggio lavorava. E i frutti si sono visti dopo poche ore. Il 2 Maggio Tamburi ha comunicato al mercato di aver messo sul piatto 72 milioni di euro e di aver acquisito il 50,7% di Investindesign che a sua volta ha in portafoglio il pacchetto di maggioranza di Italian Design Brands per la quale è stata poi lanciata un’Opa che ne porterà il valore del capitale economico dagli iniziali 220 milioni a 293 milioni di euro. Operazione rapida e geniale, che Tamburi, cresciuto alla scuola di Euromobiliare di Guido Roberto Vitale, ha eseguito in un lampo e che gli permetterà di portare il design in Borsa. “E’ un atto di fiducia verso l’Italia” ha commentato il patron di Tip. Chapeau.


Ed ecco chi scende

Gérald Darmanin

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Forse era meglio che coronasse il suo sogno di aprire un’enoteca a Siena perché come ministro dell’Interno francese Gérald Darmanin fa solo guai. Il nuovo incidente diplomatico con l’Italia di venerdì sera è stato tutto provocato dalle sue improvvide accuse di “incapacità” e di somiglianza con la Le Pen lanciate all’indirizzo della premier Giorgia Meloni. Darmanin non è nuovo alle gaffe e tutti si ricordano cosa combinò nell’aprile del 2018, quando, da ministro delle Dogane in quota Sarkozy, spinse gli agenti francesi a irrompere nella stazione di Bardonecchia per inseguire un passeggero nigeriano del Tgv. E’ probabile che Darmanin, che sogna l’Eliseo, sia mosso da motivi politici puramente interni, sia per sviare l’attenzione dallo scontro sulle pensioni sia per contrastare la Le Pen sull’immigrazione, ma dire che si muova come un elefante in cristalleria è dire poco. La sua uscita ha fatto saltare l’incontro tra i ministri degli esteri italiano e francese suscitando l’imbarazzo del Governo di Macron che ha indotto la bravissima ministra francese, Catherine Colonna e poi la premier Elisabeth Borne a esprimere tutto il proprio dispiacere al nostro ministro Antonio Tajani. Condanna senza appello per Darmanin: giù dalla torre.

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Maurizio Landini

La figuraccia rimediata dai sindacati e in primo luogo da Maurizio Landini sul taglio del cuneo fiscale alla vigilia del Primo Maggio è da antologia o da film dell’orrore: protesta perché il taglio è troppo timido ma – come ha argutamente osservato Il Foglio – è di 2 punti in più di quello che originariamente chiedevano i sindacati. Ma l’autogol sul cuneo non può offuscare lo sfondone di Landini sulla riforma della Costituzione che per la Cgil non si deve toccare nemmeno nelle parti palesemente superate. ” Noi – ha tuonato Landini gonfiando il petto nel comizio del Primo Maggio a Potenza – ci siamo sempre opposti a chi voleva cambiare la Costituzione, da Berlusconi a Renzi“. Peccato che non fossero la stessa cosa e aver affondato la riforma costituzionale di Renzi nel referendum del 2016 ha significato tenersi il Senato come doppione della Camera, tenersi le Province, tenersi il Cnel e impedire che le decisioni strategiche su tlc ed energia tornassero, come sarebbe ovvio, al Governo anziché restare in capo alle Regioni. Una volta quelli che non volevano cambiare niente li chiamavano conservatori. Landini come dobbiamo definirlo? Di sicuro il suo immobilismo lo spinge nella polvere. Ora la domanda è: nella polvere Landini trascinerà anche la nuova segretaria del Pd, Elly Schlein? Ne capiremo di più quando si aprirà il tavolo delle riforme costituzionali voluto dalla Meloni.

Rishi Sunak

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Non è tutta colpa sua, essendo arrivato a Downing Street solo da pochi mesi, ma la batosta rimediata nelle elezioni amministrative di giovedì nella sola Inghilterra è un brutto colpo per il nuovo premier britannico Rishi Sunak. Per i Tories è stata una catastrofe: oltre mille seggi persi in una sola volta con grande gioia dei liberaldemocratici e dei laburisti che cominciano ad assaporare il gusto di un clamoroso ritorno al Governo quando fra 18 mesi arriveranno le elezioni politiche. Il vicepresidente di un’importante banca d’affari internazionale rileva con arguzia: “Il problema non è capire se i laburisti di Keir Starmer vinceranno ma se perderanno i conservatori, che hanno uno zoccolo duro difficile da scalfire”. Ma il voto amministrativo di giovedì dice con chiarezza che i Tories hanno perso la fiducia degli elettori e le ultime proiezioni parlano dei laburisti al 35% e dei conservatori al 26%. Finalmente gli inglesi cominciano a capire che la Brexit è stata solo una pericolosa illusione e che la crisi economica, l’inflazione a due cifre e il collasso dei servizi pubblici – come acutamente annota Nicol Degli Innocenti sul Sole 24 Ore – mordono eccome. Diciotto mesi però sono lunghi e tutto può ancora succedere ma per ora Sunak rotola giù dalla scala e il Labour spera, avendo capito da un pezzo che non è col massimalismo di Jeremy Corbyn che si torna a Downing Street.

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