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Un vertice non basta a far volare Letta

Non sembra che il Governo abbia posto con forza ai suoi interlocutori il vero problema che sta di fronte al nostro Paese: la necessità di un piano di riforme credibile perché solennemente garantito da tutte le forze politiche che lo sorreggono, in modo da suscitare fiducia sia da parte dei mercati sia nei confronti di Bruxelles e degli altri paesi europei.

Un vertice non basta a far volare Letta

Si sono parlati, ma c’è da dubitare che si siano veramente capiti. Il vertice di maggioranza, quanto mai opportuno per superare la politica del rattoppo e del rinvio finora sapientemente praticata dal premier Letta, non sembra aver sciolto la vera contrapposizione che esiste all’interno del Governo e che divide in maniera trasversale gli stessi partiti della coalizione tra chi pensa che la spesa pubblica possa avere un ruolo propulsivo per lo sviluppo e chi ritiene invece che proprio il settore pubblico sia la palla al piede che frena da anni la nostra crescita. Di conseguenza si continua a girare intorno alle impossibili richieste di taglio dell’Imu e dell’Iva senza puntare invece con decisione sui tagli della spesa e sulle riforme (delle Istituzioni, della Giustizia, del mercato del lavoro) che sono la vera premessa per poter ridurre le tasse sul lavoro e dare maggiore competitività al nostro sistema produttivo.

Al di là delle trionfalistiche dichiarazioni sull’elasticità di bilancio concessaci da Bruxelles, che peraltro è merito del governo Monti e delle tasse pagate dagli italiani più che di Letta, non sembra che il governo abbia posto con forza ai suoi interlocutori il vero problema che sta di fronte al nostro Paese, e cioè la necessità di dotarsi di un piano di riforme di medio termine credibile perché solennemente garantito da tutte le forze politiche che lo sorreggono, in modo da suscitare una convinta fiducia sul nostro futuro sia da parte dei mercati (lo spread è ancora vicino ai 300 punti) sia nei confronti di Bruxelles e degli altri paesi europei.

Per farlo abbiamo una sola strada da percorrere, evitando di continuare ad illuderci su improbabili sostegni che ci possono derivare dal resto dell’Europa. Dobbiamo cambiare il nostro modo di gestire il settore pubblico, che oggi non sembra in grado di offrire alcuna garanzia né sulla gestione dei denari già stanziati per la disoccupazione giovanile, né sulla capacità di selezionare quelle opere pubbliche veramente produttive che Bruxelles potrebbe consentirci di cofinanziare. Il ministro Saccomanni lo ha detto ieri in Parlamento con chiarezza.

Dobbiamo fare una vera spending review e dobbiamo riprendere con vigore la politica di dismissioni di immobili pubblici e di aziende controllate dallo Stato o dagli Enti locali. E questo colpirebbe al cuore il potere dei partiti che vivono sulla distribuzione di denari e di posti. Ma non sembra che durante il vertice questo problema sia stato posto con tutta la forza e la chiarezza che meriterebbe.

Da quello che si è capito sull’Imu si farà un nuovo vertice a metà mese. Ma gli esponenti del Pdl hanno preso atto che su questo tema c’è solo lo spazio per un ridisegno che alleggerisca un poco l’onere per le fasce più basse della popolazione a fronte di un aggravio per chi possiede case così dette lussuose?

Positiva invece l’intenzione di presentare un Ddl costituzionale per l’abolizione delle Province dopo la sentenza della Carte Costituzionale che ha bocciato il riordino varato dal Governo Monti. Ma già il presidente dell’associazione delle province dice che la norma non può riguardare solo questi enti. Bisognerà quindi ampliarla per procedere all’accorpamento dei comuni e per riorganizzare altri livelli di governo locale come le Comunità montane ecc.

Ottimo il proposito di accelerare il pagamento delle fatture arretrate della Pa, magari seguendo le linee già elaborate dal presidente della Cassa Depositi e Prestiti Bassanini, ma bisogna stare attenti che anche in questo caso non ci siano troppi furbetti che si fanno avanti vantando crediti inesistenti dalle tante amministrazioni periferiche spesso mal gestite e talvolta colluse con i truffatori.

Nel complesso non siamo ancora alla sottoscrizione tra i partiti della maggioranza di quella “carta d’intenti”, di quegli impegni vincolanti, che soli potrebbero consentire al Governo di disegnare una road map affidabile che potrebbe far tornare la fiducia degli investitori verso l’Italia e quindi abbassare i tassi d’interesse e superare il razionamento del credito, senza i quali nessuna ripresa sarà possibile e nessun posto di lavoro sarà realmente stabile.

Di fronte al pessimismo dilagante, alle provocazioni di Grillo sul fallimento inevitabile del Paese, allo scetticismo di Squinzi, occorre superare la tattica dei piccoli passi (che peraltro non sempre vanno nella giusta direzione) e proporre con un atto politico impegnativo propedeutico a provvedimenti di ampia portata, un disegno complessivo di rinnovamento e di rilancio del Paese che possa ridare speranza ai cittadini e fiducia al resto del mondo.

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