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Trieste fra Europa e nazione: cent’anni visti dalla Banca d’Italia

Ma che città è realmente Trieste? In occasione del centesimo anniversario della sede triestina della Banca d’Italia, il vicedirettore Signorini ha esposto una riflessione molto stimolante sulla città a cavallo tra la sua storia e quella del Paese

Trieste fra Europa e nazione: cent’anni visti dalla Banca d’Italia

“La mia anima è a Trieste”, scriveva James Joyce. E la città dal fascino classico e l’atmosfera romantica è stata protagonista di alcune delle tappe storicamente più importanti dell’Italia.

In occasione del centenario della sede di Trieste della Banca d’Italia il vicedirettore generale della Banca Luigi Federico Signorini durante il convegno “Il difficile passaggio di Trieste al Regno d’Italia. Moneta, credito, produzione” ha avanzato ieri una riflessione sull’idea politica ed economica di nazione, che informò la cultura europea e impresse spinte potenti alla storia d’Europa, per tutto l’Ottocento e per la prima parte del ventesimo secolo. “La Grande guerra fu il coronamento dell’anelito ottocentesco verso il principio di nazionalità. L’idea che ogni nazione avesse diritto a uno stato, idea formatasi in una fusione unica di liberalismo politico e romanticismo culturale, ebbe potenti effetti; era stata, nell’Ottocento, la spinta che animò il Risorgimento italiano e il patriottismo tedesco; oltre all’unificazione dell’Italia e della Germania, aveva creato, spesso letteralmente grazie al sangue dei suoi propugnatori, stati nazionali in Grecia, Serbia, Romania; indebolì, nonostante le trasformazioni costituzionali che via via si adottarono per venire incontro alle aspirazioni delle sue varie nazionalità, il più multinazionale degli imperi europei, quello asburgico, fino a determinarne il crollo al principio del nuovo secolo. L’idea che lingua, territorio e stato dovessero naturalmente coincidere era potente ma relativamente nuova. Il concetto moderno di ordine legale internazionale si fa di solito risalire alla Pace di Westfalia; in esso tuttavia non vi era al principio nulla o quasi che facesse riferimento alla nazionalità. Non che l’idea in sé mancasse, quello che mancava era il legame tra nazione e sovranità.” ha affermato Signorini.

Fu la prima guerra mondiale a restituire il più profondo principio di nazionalità: “Un grande impero multinazionale si dissolse; sorsero nuovi stati; molte popolazioni, come quella triestina, furono riunite al “loro” stato nazionale. Ma a dispetto della buona volontà del presidente Wilson e della sua esortazione alla cooperazione fra nazioni, la guerra che avrebbe dovuto porre fine a tutte le guerre, che avrebbe dovuto affermare il principio di nazionalità nel suo senso migliore, di fatto preparò il terreno per la successiva, ha proseguito Signorini.

“Ammaestrati da questa seconda esperienza, i popoli dell’Europa hanno scelto sessant’anni fa una strada diversa. Con tutti i contrasti e le discussioni che si sono succedute nel tempo, con tutte le difficoltà, con tutti gli errori nostri e altrui, con tutti gli sbalzi dell’umore pubblico di cui siamo stati, siamo e saremo testimoni, questa strada si è dimostrata capace di assicurare pace, libertà e prosperità in modo ben più duraturo” ha sostenuto il direttore generale di Banca d’Italia, ricordando ancora che “la nazione, nei suoi aspetti linguistici, culturali, storici, può essere coltivata e onorata, fra noi europei, anche a prescindere dai confini di stato”.

Ma dopo la digressione storica, Signorini è tornato a parlare della città di Trieste: “La vita economica di Trieste italiana fu faticosa. Per esempio gli arrivi nel porto di Trieste, che erano stati di 4 milioni di tonnellate di
stazza lorda nel 1913, calarono a meno di 1,6 milioni nel 1920, per risalire lievemente a poco
più di 1,7 milioni nel 1921 e nel 1922. In realtà, è soltanto con la caduta della cortina di
ferro, con l’aprirsi dello spazio commerciale europeo alle sue spalle, che Trieste ha cominciato
a ritrovare il vigore di un tempo”.

“Le attuali difficoltà del processo europeo, le frizioni che spesso si sono manifestate negli ultimi
anni, non devono farci dimenticare che si tratta di un movimento storico di lungo periodo.
Le tendenze che gli danno impulso, morali e materiali, sono imponenti, e se possono apparire
qualche volta soverchiate dai dibattiti del momento, rimangono all’opera. È nell’interesse
dell’Italia che esse non perdano vigore“, ha concluso il vicedirettore generale. Ed è quello che in molti si augurano, al di là degli sbandamenti dell’oggi.

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