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The Post, il nuovo capolavoro di Spielberg: è la stampa, bellezza

Il tanto atteso nuovo film di Steven Spielberg, già candidato all’Oscar, prende le mosse dalla guerra nel Vietnam e mette bene in luce il mondo della stampa con il suo fascino ma anche con le sue relazioni pericolose con il potere politico ed economico – Un film di grande attualità

The Post, il nuovo capolavoro di Spielberg: è la stampa, bellezza

Ci sono grandi avvenimenti della storia sui quali non è ancora stato scritto, e chiarito, abbastanza. Inoltre, come è noto, succede che quegli stessi avvenimenti possono ripetersi come tragedia o come farsa. Nella scena internazionale e nell’era moderna, uno tra questi è la guerra in Vietnam. Un conflitto scatenato con motivazioni e ragioni complesse e non sempre condivise, a partire dal discusso episodio nel Golfo del Tonchino che ne è stato il pretesto formale (rivelatosi poi una fake news, come verrebbe oggi definita). Era una guerra necessaria? Gli Stati Uniti avevano proprio bisogno di scatenare l’inferno nel Sud Est asiatico dove hanno perso la vita centinaia di migliaia di persone? Per molti americani la risposta è positiva, per molti altri no. Tra i sostenitori del conflitto troviamo a pari responsabilità sia i democratici quanto i repubblicani, da John Fitzgerald Kennedy a Richard Nixon.

Proprio di quest’ultimo e della guerra in Vietnam si parla nel film di questa settimana, The Post di Steven Spielberg. Si tratta di una pellicola tanto attesa quanto assolutamente contemporanea per le innumerevoli analogie con quanto sta avvenendo con la presidenza di Donald Trump e con quanto avvenuto con le recenti guerre in Medio Oriente. Per fortuna dell’umanità intera, la differenza sostanziale è che non c’è una guerra in corso, anche se è difficile dimenticare le minacce di apocalisse avanzate per fronteggiare la minaccia atomica della Corea del Nord.

Per introdurre questo film, sarebbe utile poter rivedere due pietre miliari della storia del cinema giornalistico di grande utilità a comprendere la vicenda e il suo contesto. Il primo è Quarto potere, di Orson Welles del 1941, il secondo è Tutti gli uomini del Presidente di Alan J. Pakula del 1972. Il primo affronta la storia di un magnate dell’editoria intenzionato a modellare l’opinione pubblica a suo piacimento, il secondo riguarda proprio le circostanze che portarono alle dimissioni di Richard Nixon nel 1974, a seguito dello scandalo del Watergate.

The Post ricostruisce i fatti che assestarono il primo duro colpo alla sua presidenza  nel 1971 e si riferisce alla pubblicazione avvenuta sul Washington Post di dossier segreti in possesso del Pentagono in grado di demolire tutta la retorica giustificazionista e svelare tutte le bugie raccontate dalle diverse Amministrazioni sul conflitto vietnamita. Steven Spielberg, nei film che ha diretto e prodotto, ha sempre evidenziato il suo spirito democratico e attento ai valori dei diritti civili. In questo caso, il regista sembra aver avvertito l’urgenza di affrontare il tema della presidenza USA per tutte le implicazioni che pone sul fronte della sua politica interna e internazionale.

Il film si svolge su due binari: il primo riguarda quanto effettivamente avvenuto dal momento in cui il giornale inizia ad affrontare il problema di pubblicare o meno i documenti segreti sulla guerra del Vietnam  (che terminerà, sostanzialmente, con l’evacuazione dell’ambasciata Usa di Saigon nel 1975) e il secondo riguarda il ruolo, il peso, la responsabilità della stampa nei confronti delle Istituzioni. Il primo aspetto si riferisce ad una gloriosa quanto fondamentale tradizione del mestiere di giornalista: l’inchiesta, la ricerca di fatti distinti dalle opinioni, l’indagine fondata sulle verifica e il controllo delle fonti. In poche parole, si tratta dei principi fondamentali di un lavoro indispensabile per la crescita sociale, politica e culturale di un Paese. Per quanto riguarda invece il secondo filone invece il film ci racconta anche un sistema di relazioni tra stampa, poteri economici e politici non sempre trasparenti.

L’enfasi del racconto cinematografico è sul coraggio dei due protagonisti, Meryl Streep in stato di grazia e Tom Hanks in una delle sue migliori interpretazioni (candidati all’Oscar), nel decidere di pubblicare i documenti top secret che inchiodano tutti i vertici politici e militari USA nella conduzione della guerra “… utile al 70% solo a salvaguardare la reputazione“. Il valore assoluto della libertà di espressione, garantito nelle Carte Costituzionali della maggior parte dei paesi democratici, dovrebbe da solo essere sufficiente a fronteggiare il potere di chi governa rispetto a chi è governato e, in questa chiave, la vicenda dei Pentagon Papers trova la sua soluzione. Ma la storia prosegue in altra forma e il film si conclude laddove, appunto, la parabola di Nixon inizia il suo declino.

The Post merita attenzione non solo per le qualità che gli vengono dalla regia collaudata e sempre di sicuro effetto di Steven Spielberg, ma anche perché induce a riflettere in profondità sul nostro tempo, sulla delicatezza e fragilità dei sistemi politici e sociali dove la verità non è sempre al centro delle attenzioni di chi governa. Chiunque sia stato, anche solo marginalmente, vicino oppure addentro alla professione di giornalista può ben comprendere quanto possa essere professionalmente appagante scrivere un articolo anzitutto utile ai lettori per comprendere i fatti, sapere come stanno effettivamente le cose e, infine, decidere quale debba essere la propria opinione. Questo film, per certi aspetti, racconta questa lezione. Peccato, però, che spesso è facilmente dimenticata.

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