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Teatro La Fenice, Ortombina: “Il Covid non fermerà la cultura”

INTERVISTA a FORTUNATO ORTOMBINA, sovrintendente del teatro veneziano – “La risposta del pubblico in questi mesi è incoraggiante: mi fermano per strada per sapere quando riapriremo”. “La pandemia è un’occasione per reinventarsi: senza stranieri stiamo riconquistando gli italiani”

Teatro La Fenice, Ortombina: “Il Covid non fermerà la cultura”

“La pandemia ci ha dato l’opportunità di riconquistare il pubblico italiano, ed è su questo che dovremo puntare per reinventarci quando si tornerà alla normalità”. Fortunato Ortombina, dal 2017 Sovrintendente del Teatro La Fenice di Venezia (di cui è già direttore artistico dal 2007), lancia un messaggio di speranza dal mondo della cultura che di certo negli ultimi 12 mesi, nonostante tutte le difficoltà, non ha affatto battuto la fiacca: “Da metà giugno a fine ottobre siamo stati aperti, anche se a capienza ridotta (380 posti su 1.000), e abbiamo fatto sold out in tutti 50 spettacoli in calendario, nonostante l’assenza del pubblico straniero, che nell’ultimo decennio ha rappresentato il 40-45% del totale”. L’attività della Fenice, tra i primi teatri a riaprire lo scorso anno e tra i più attivi adesso nonostante le nuove restrizioni, è proseguita anche in inverno con tre concerti al mese trasmetti in diretta streaming gratuita sul canale Youtube: “Abbiamo quasi 100.000 iscritti, più della Scala di Milano: siamo il primo teatro lirico italiano su Youtube. Alcune opere, come l’Orlando Furioso di Vivaldi, hanno superato le 400.000 visualizzazioni”.

Maestro, nonostante il successo durante la pandemia, avete come tutti i teatri il problema di sopravvivere. Come vi siete organizzati?

“Venivamo da un periodo d’oro, quello a cavallo tra il 2018 e il 2019, poi a fine 2019 abbiamo avuto il teatro allagato a causa dell’acqua alta e poi è arrivato il Covid. Per noi è stato un problema perché a differenza di altri teatri, il 33% del nostro bilancio arriva dalla biglietteria: 10 milioni di euro dai biglietti veri e propri, circa 1 milione dalle visite guidate, perché di giorno la Fenice è anche un museo. Nell’ultimo anno siamo riusciti a cavarcela grazie al Fondo unico per lo spettacolo, ai contributi degli enti locali e ai ristori: in tutto abbiamo raccolto circa 22,5 milioni che ci permettono di galleggiare. Poi c’è stata la cassa integrazione, che ci consente ogni mese di stare un paio di settimane fermi, salvaguardando ogni singolo posto di lavoro. L’ho detto sin da subito: voglio arrivare a fine pandemia senza aver mandato a casa nessuno”.

Finora ci siete riusciti?

“Sì, per quanto riguarda i 300 dipendenti stabili del teatro, uffici compresi. Purtroppo però qualcuno dei lavoratori intermittenti è rimasto fermo. La situazione è ancora difficile e lo sarà anche quando riapriremo, presumibilmente verso giugno. La capienza ammessa sarà di 1/5, cioè 200 posti, e poi ci sono regole molto stringenti sui test da fare per il personale, ogni 72 ore: anche quello è un costo e credo che le regole non cambieranno almeno fino a febbraio 2022”.

E come avete fatto a rendere l’attività sostenibile?

“Si tratta di fare scelte. La cassa integrazione ci aiuta e poi ad esempio abbiamo deciso, per le dirette streaming che tra l’altro sono gratuite quindi ci consentono solo di fare promozione ma non incassi, di rappresentare solo concerti e non opere, perché i primi hanno costi più contenuti”.

Il riscontro è stato comunque positivo?

“Sì. Nelle dirette, che facciamo alle 17.30 per non sovrapporci con i telegiornali, in inverno siamo arrivati a coinvolgere fino a 5.000 spettatori in live e poi molti altri che recuperavano la registrazione sul sito. Ci sono arrivati messaggi di ringraziamento da tutto il mondo ma soprattutto abbiamo riconquistato il pubblico italiano, che tra l’altro rispetto a quello estero è più propenso ad ascoltare concerti musicali e non solo a vedere opere”.

Teatro La Fenice Venezia
Michele Crosera

Lei crede nei canali digitali anche per il futuro?

“Come mezzo di promozione sì, ma non come alternativa alla scena dal vivo. I sold out del 2020, in piena pandemia, ci dimostrano che le persone hanno voglia di cultura, di teatro, e confido che sarà così anche dopo, anche se bisogna vedere quali conseguenze economiche avrà lasciato il Covid sulle possibilità delle famiglie. Però voglio ricordare che dopo la prima guerra mondiale, circa un secolo fa, nel 1918 la gente tornò di corsa a riempire i teatri. E’ vero che allora non c’erano la tv e il cinema e internet come adesso, ma romanticamente voglio immaginarmi una risposta analoga”.

Puntando sul pubblico italiano, visto che il turismo internazionale sarà l’ultimo a ripartire.

“Assolutamente. Nell’ultimo decennio, dopo la crisi del 2008, abbiamo puntato molto sul pubblico straniero, in particolare francese e americano. All’epoca pensammo: bisogna reagire producendo di più, non accontentandosi degli abbonati storici veneziani. Così, rispetto ai primi anni Duemila quando gli spettatori italiani erano l’80%, si è arrivati ad una proporzione quasi pari. Questo grande successo internazionale è stato però a sua volta un volano per incuriosire e far crescere di nuovo il pubblico locale, sul quale dobbiamo puntare nei prossimi anni, in attesa di capire come riprenderà il turismo mondiale. L’ho detto anche di recente al ministro Franceschini: la risonanza internazionale e il nuovo interesse da parte del pubblico italiano sono la prova che abbiamo speso bene i soldi pubblici che ci vengono dati per diffondere la cultura in Italia. Sembra che ci stiamo riuscendo”.

Per la ripresa e le riaperture, anche dei teatri, sono decisivi i vaccini. Vi siete messi a disposizione?

“Certo, abbiamo dato la disponibilità a vaccinarci in teatro, ma per comprensibili motivi logistici non credo che questo possa accadere prima di luglio. Ora è giusto che venga data la priorità alle categorie più a rischio”.

Un’ultima riflessione su Venezia, che ha da poco compiuto i 1.600 anni di vita. Le immagini della città deserta, senza la solita bolgia di turisti, hanno fatto il giro del mondo. Che aria si respira?

“Quando ero bambino, andare a Venezia era considerato un lusso anche se venivi da Mantova, la mia città natale. Prima della pandemia invece, organizzandosi per tempo con 500 euro andavi e venivi da Los Angeles. Questa facilità ha fatto esplodere il turismo e non credo che sarà il Covid ha fermare il fascino di Venezia nel mondo: già la scorsa estate la città si era di nuovo riempita, e così sarà anche dopo. Però la pandemia ci impone anche delle riflessioni per immaginare un turismo più sostenibile. Quanto alla Fenice, posso dire che è un fondamentale motore di movimento economico per Venezia, forse ad oggi l’unico davvero attivo. Quando mi fermo in un bar a prendere un caffè, ormai solo da asporto, gli esercenti spesso mi riconoscono e mi chiedono: ‘Quando riaprite?’, perché la vita del teatro aiuta di conseguenza quella di bar e ristoranti. Alcuni fanno anche domande molto dettagliate, per farsi un’idea precisa: ‘Che giorno riaprite? A che ora? Con quale spettacolo?’.”

La fermano anche le persone comuni?

“Sì, ed è la dimostrazione che c’è tanta voglia di cultura, di teatro, di tornare alla vita di prima”.

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