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Tabacci: “Di Maio e Salvini, uscite dal sogno: non siete vincitori assoluti”

INTERVISTA a BRUNO TABACCI, leader di Centro democratico e parlamentare di +Europa – “Il governo Cinque Stelle-Lega non è l’unica soluzione possibile ma, se Di Maio e Salvini continueranno a comportarsi da vincitori assoluti, al centrosinistra non resterà che l’opposizione” – “Nè illusioni nè forzature sulla legge elettorale” – “Salvini non riuscirà a lanciare l’Opa sul centrodestra” – “Il Pd non si arrocchi sull’Aventino”

Tabacci: “Di Maio e Salvini, uscite dal sogno: non siete vincitori assoluti”

“Prima Di Maio e Salvini si renderanno conto che la loro – come fu quella di Bersani nel 2013 – è una vittoria mutilata che impone di discutere con le altre forze politiche, meglio sarà per tutti”: Bruno Tabacci, leader del Centro democratico, rieletto per la sesta volta in Parlamento nella lista +Europa con un successo trionfale nel cuore di Milano, guarda con grande preoccupazione al quadro politico emerso dalle elezioni del 4 marzo ma non perde il suo tradizionale realismo. “Il primo passo – osserva – spetta ai Cinque Stelle e alla Lega: se non fanno la prima mossa con grande umiltà, c’è poco da fare” ma, in ogni caso, “la crisi non sarà breve”. Ecco come Tabacci vede la situazione politica di oggi e i suoi possibili sviluppi in questa intervista rilasciata a FIRSTonline.

Onorevole Tabacci, come ha fatto il miracolo di stravincere col 41% dei consensi le elezioni del 4 marzo nel cuore di Milano con una lista, quella di +Europa, che non raggiunto il quorum del 3% su scala nazionale, e di fronte all’onda montante della Lega e dei Cinque Stelle? 

“Non era un risultato scontato, anzi, ed è stato un successo politico che non solo mi inorgoglisce sul piano personale ma che è molto importante per +Europa e per tutto il centrosinistra. Credo che sul risultato del collegio Milano 1, dove ero candidato, abbiano influito principalmente due elementi: lo zoccolo duro di elettori sinceramente riformisti ed europeisti che nelle precedenti elezioni politiche avevano votato per Mario Monti, che con Scelta Civica raccolse il 20% circa dei consensi, e la capacità di interloquire con la borghesia milanese, su cui ho sempre puntato, ben sapendo che essa non è affatto attraversata da orientamenti reazionari come la Lega di Salvini ci vorrebbe far credere”.

Il centrosinistra stravince con Lei nel cuore di Milano e trionfa con Gentiloni nel centro di Roma, ma in periferia non tocca palla: è il segno che il centrosinistra, e in particolare il Pd, è il punto di riferimento dell’establishment ma non sa parlare ai giovani e alle altre fasce di popolazione? 

“E’ inutile nasconderci che quello del 4 marzo sia stato soprattutto un voto di grande protesta e di ribellione verso il sistema e che nel centro di Milano e di Roma il centrosinistra abbia intercettato principalmente i voti dei gruppi dirigenti e degli interessi organizzati, anche sull’onda della buongoverno e della buona amministrazione che sono stati alla base di successi inequivocabili come, per esempio, l’Expo. Non c’è dubbio però che il centrosinistra non abbia saputo parlare alle periferie e agli esclusi e che questo debba farci riflettere. Sbaglieremmo se pensassimo di essere in Parlamento solo la voce delle classi dirigenti e credo invece che dovremo far tesoro del voto del 4 marzo cercando di esportare il modello politico che ci ha fatto vincere nel cuore di Milano e di Roma, affrontando con coraggio il problema delle diseguaglianze sociali e generazionali e imparando a parlare agli esclusi ma demistificando alla radice le scorciatoie illusorie della Lega e dei Cinque Stelle”. 

La lista +Europa, al di là dei successi personali di Tabacci e Bonino, è riuscita ad eleggere solo quattro parlamentari: vi aspettavate un risultato migliore e ora in che gruppo parlamentare vi collocherete? 

“Sì, ci aspettavamo un risultato migliore soprattutto al Sud dove, fino a pochi giorni prima del voto, c’erano segnali di attenzione verso +Europa di una parte dell’elettorato di centrosinistra che non voleva più votare Pd ma che non se la sentiva di cambiare campo. Purtroppo l’ondata dei Cinque Stelle ha travolto tutto. Ma quello che colpisce è che dal Lazio in giù tutte le Regioni del Mezzogiorno, salvo da poco la Sicilia, erano e sono in mano al centrosinistra, ma questo non è bastato a raffreddare la protesta. Ora aderiremo al gruppo misto con la speranza di dare una mano alla ricostruzione di un centrosinistra completamente diverso, non autoreferenziale, più marcatamente europeista e riformatore, e senza tentazioni aventiniane”. 

La confusione è alta sotto il cielo della politica ma la battaglia per l’elezione dei nuovi presidenti della Camera e del Senato è alle porte: sarà una partita tutta in mano a Cinque Stelle e Lega o le minoranze potranno cercare di avere qualche voce in capitolo? 

“Siamo di fronte a uno scenario inedito che è figlio di questa legge elettorale, tendenzialmente proporzionale ma inadatta a mettere in campo le garanzie parlamentari della Prima Repubblica, dove la Presidenza di una Camera toccava di solito alla Dc e l’altra, almeno nelle ultime legislature, al Pci. Oggi questo schema è saltato e ci muoviamo al buio, perché, al di là della retorica dei due vincitori, non c’ una maggioranza certa e il centrodestra è percorso da fortissime tensioni, da quando Salvini ha fatto capire che vorrebbe lanciare l’Opa su Forza Italia e su Fratelli d’Italia. Prima Di Maio e Salvini si renderanno conto che la loro – come fu quella di Bersani nel 2013 – è una vittoria mutilata che impone di discutere con le altre forze politiche, meglio sarà per tutti. Ma i propositi di spartizione delle Presidenze dei due rami del Parlamento mi sembrano un pessimo inizio, che può solo complicare una partita già di per sé molto difficile”. 

Un accordo sulle Presidenze di Camera e Senato può realmente spingere Cinque Stelle e Lega a fare un governo insieme? 

“I numeri per fare un governo insieme li hanno, ma politicamente continua a sembrarmi un’operazione molto problematica che rischia di far saltare gli equilibri generali del sistema e di spingere l’Italia verso una collocazione internazionale, in Europa e nella Nato, molto ambigua. Non per caso il Presidente Mattarella ha manifestato con chiarezza la sua preoccupazione verso una campagna elettorale che sembra non finire mai e ha chiesto a tutti il massimo senso di responsabilità”.

Un governo Cinque Stelle-Lega sarebbe un grandissimo rischio per l’Italia, però – a ben vedere – i programmi degli uni e degli altri (dal No al Jobs Act e alla legge Fornero all’euroscetticismo e alle politiche sull’immigrazione) sono più simili di quanto non appaia: non crede? 

“In parte è così, ma qualunque governo degno di questo nome nasce su un programma serio e su una composizione ministeriale non improvvisata: su questi terreni nessuno sa ancora dove Cinque stelle e Lega potranno spingersi e questo concorre a rendere molto incerta la situazione politica uscita dalle elezioni del 4 marzo”.

Realisticamente, davanti al centrosinistra ci sono strade alternative rispetto a quella più logica di un’opposizione responsabile a governi guidati o influenzati da Di Maio e Salvini? 

“Bisogna vedere se e in quale preciso momento emergerà la consapevolezza che il nuovo Parlamento è caratterizzato non da due ma da tre  gruppi di minoranza. Se questa consapevolezza non emerge, è chiaro che si andrà verso un governo Cinque Stelle-Lega con il centrosinistra all’opposizione e il centrodestra solcato da fortissime tensioni e che poi si tornerà a votare. Ma, sulla carta, questa non è l’unica soluzione possibile, anche se appare la più facile”.

Vuol dire che il centrosinistra potrebbe rendersi disponibile a sostenere governi di centrodestra o dei Cinque Stelle se privi di punte estreme di massimalismo? 

“No, voglio dire che il centrosinistra non deve ritirarsi sull’Aventino e non deve chiudersi in se stesso e che, allo stato, non vedo altra prospettiva dell’opposizione democratica, ma  in questa fase il gioco è nelle mani dei Cinque Stelle e della Lega. E’ evidente che se vorranno fare un governo a due e continueranno a comportarsi da vincitori assoluti delle elezioni senza esserlo, al centrosinistra non resterà che l’opposizione. In caso contrario, di fronte a una dichiarata disponibilità al dialogo senza “se” e senza “ma” dei Cinque Stelle e della Lega, si valuteranno le diverse combinazioni parlamentari e di governo possibili”.

Il ministro Franceschini ha proposto un governo costituente per scrivere tutti insieme le nuove regole del gioco, e cioè una nuova legge elettorale e una nuova riforma costituzionale, prima di tornare a votare: Lei che cosa ne pensa? 

“Penso che l’impostazione di Franceschini sia corretta ma un po’ troppo ambiziosa. Tentare una nuova riforma costituzionale dopo il referendum del 2016 e dopo il rafforzamento elettorale dei Cinque Stelle e della Lega mi sembra di difficilissima realizzazione. Ma in ogni caso il primo passo spetta a Di Maio e a Salvini. Se non fanno la prima mossa con grande umiltà c’è poco da fare”.

Ammesso e non concesso che si arrivi a una nuova legge elettorale prima di tornare a votare, come dovrebbe essere? Maggioritaria o proporzionale? 

“Nella scorsa legislatura non ho visto con favore Il passaggio troppo disinvolto da un impianto elettorale tendenzialmente maggioritario a uno prevalentemente proporzionale che ha solo aumentato la confusione.  Se si potesse ripartire da zero, suggerirei il modello tedesco in senso stretto ma se, oltre alla rappresentatività, si volesse privilegiare la governabilità del sistema, allora il sistema francese con il doppio turno ha le sue ragioni e i suoi pregi. Ma prima di tutto servirebbe un confronto sereno e senza pregiudiziali, che per ora non mi sembra a portata di mano”.

Si arriverà o no a una nuova legge elettorale prima di tornare al voto? 

“Sono molto perplesso. Mi sentirei di consigliare solo due cose: niente illusioni e niente forzature. Se c’è qualcuno, come mi sembra stia facendo Salvini, che crede che basta aggiungere un premio di maggioranza all’impianto del Rosatellum per chiudere il discorso, si sbaglia di grosso. Non siamo più in campagna elettorale e i cittadini non sono allocchi: ogniqualvolta qualcuno pensa di forzare la mano sulla legge elettorale, di solito ne fa le spese”.

Allo stato delle cose non sembra che questa legislatura abbia un grande futuro: quanto durerà e che cosa riuscirà a fare? 

“Non credo che questa legislatura abbia grande respiro ma il suo futuro, oltre che dalle mosse di tutti i protagonisti, dipenderà molto anche da fattori esterni, come le reazioni della comunità internazionale e soprattutto europea e dei mercati finanziari. La crisi non sarà breve e penso che solo dopo Pasqua il Presidente Mattarella sarà nelle condizioni di poter dare un incarico per la formazione del nuovo governo”.

E nel centrodestra che succederà? Salvini riuscirà davvero a lanciare l’Opa su Forza Italia e su FdI o Berlusconi ha ancora la capacità di ribaltare i rapporti di forza? 

“Non mi pare che, pur minacciando di spingere per nuove elezioni a breve, Salvini sia in condizione di lanciare l’Opa su Berlusconi e sulla Meloni, perché gli elettori del centrodestra non lo seguirebbero tanto facilmente. Siamo solo all’inizio, la partita è aperta”.

E il Pd come sarà dopo le dimissioni di Renzi? 

“Ha bisogno di un percorso fortemente autocritico e i primi passi di Martina mi sembrano apprezzabili, soprattutto quando dice che per curare le ferite non basta il passaggio di un giorno ai gazebo ma serve un congresso serio che contribuisca ad allargare il gioco e a rilanciare lo spirito riformatore ed europeista del centrosinistra, nel quale anche +Europa possa fare la sua parte. Credo che sia fondamentale che il Pd non si arrocchi, ma sappia fare i conti con le grandi questioni epocali e con le ragioni per le quali in questi anni la socialdemocrazia non è più vincente in nessuna parte del mondo, per ricercare nuove soluzioni”.

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