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Sudan, in fuga dall’inferno africano: i veri motivi di un conflitto che rischia di diventare una gigantesca polveriera

Infuria il conflitto nel paese africano al centro degli interessi dei governi occidentali, della Russia e della Cina. Chi sono i protagonisti in campo e le loro motivazioni. Ecco cosa sta succedendo in Sudan

Sudan, in fuga dall’inferno africano: i veri motivi di un conflitto che rischia di diventare una gigantesca polveriera

ASSWAN (Egitto) – Il conflitto che infuria in Sudan è al centro degli interessi dei governi non solo africani ma di tutta Europa, degli Usa e dell’Asia perché sta sconvolgendo molti paesi vicini che condividono con il Sudan le acque del Nilo e gli oleodotti che trasportano il petrolio dal Sud Sudan. Il nuovo governo avrebbe dovuto portare il paese a nuove elezioni ma ora è travolto in pieno dall’ennesima nuova crisi umanitaria. Il Sudan, che deve poter contare sugli aiuti esteri per le sue enormi emergenze sociali, è sempre stato in preda a conflitti interni, dal Darfur alle zone di confine con il Sud Sudan, ma questa volta i combattimenti hanno coinvolto la stessa capitale Khartoum, la città gemella di Omdurman, oltre che Port Sudan sul mar Rosso, e Merowe, sede di un’importante base area e altre capitali provinciali. Per la prima volta –ed è questo che molti governi occidentali ignorano o sottovalutano- il conflitto, invece che interessare i remoti angoli del paese, rischia diventare una gigantesca polveriera africana. Sarebbe opportuno tenere conto di questa enorme polveriera innanzitutto perché Il Sudan si trova in una regione instabile al confine con il Mar Rosso, il Sahel e il Corno d’Africa. E poi perché cinque dei sette vicini del Sudan – Etiopia, Ciad, Repubblica Centrafricana, Libia e Sud Sudan – hanno dovuto affrontare essi stessi sconvolgimenti politici o conflitti negli ultimi anni. E si trovano tuttora in condizioni di grande instabilità politica, sociale e economica.

Sudan: i protagonisti dello scontro

I combattimenti scoppiati tra esercito e forze paramilitari di supporto rapido (Rapid Support Force – RSF) il 15 aprile, a Khartoum, hanno fatto deragliare un piano sostenuto a livello internazionale per una transizione al governo civile dopo la cacciata nel 2019 di Omar al Bashir, il presidente islamista che aveva preso lui stesso il potere nel colpo di stato del 1989. Il conflitto contrappone il generale Abdel Fattah al Burhan, il capo del consiglio di governo del Sudan che comanda l’esercito, alle forze irregolari delle RSF guidate dal ricco ex capo della milizia, il generale Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemedti, che è il vice di Burhan nel consiglio.

Chi sono le milizie e l’esercito

Le RSF sono un gruppo paramilitare derivante dalle Janjaweed, le milizie arabe nomadi nate nei primi anni 2000 per combattere il separatisti del Darfur e del Sud Sudan. Si sono trasformate in un imponente gruppo paramilitare con la fornitura da parte dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti nella guerra in Yemen iniziata nel 2014, arrivando ad avere 40.000 uomini impiegati in questo conflitto. Hanno anche inviato 2.000 mercenari ad Haftar in Libya. Le RFS sembra che siano arrivate a raggiungere i 100.000 effettivi e negli ultimi anni avevano iniziato colloqui per essere inglobate nelle forze armate sudanesi (Sudanese Armed Force – SAF) forti di 140.000 uomini oltre a 13.000 e 190 aerei nell’aviazioni e 1.300 uomini nella piccola marina del paese. In questi otto giorni di guerra intensa vi sono- stati quasi mille morti con un sostanziale equilibrio tra le parti, dove la maggiore esperienza in guerra delle RSF viene compensata dall’uso di armi pesanti, quali artiglieria, mezzi corazzati e soprattutto arei, da parte dell’esercito regolare Sudanese(SAF).

Sudan: perchè si è arrivati allo scontro?

Il motivo scatenante di questi scontri non è ben chiaro anche se il più rilevante potrebbero essere le ambizioni presidenziali del vicepresidente Hemedti delle RSF, mentre altri motivi potrebbero essere legati al conflitto ormai dilagante tra l’Occidente e i Paesi che si oppongono alle ingerenze americane e inglesi e dei loro alleati, i Sauditi. Mosca, che ha cercato a lungo porti per la sua marina, si era assicurata un accordo con Bashir per una base navale e i leader militari del Sudan hanno detto che questo è ancora sotto esame. Nel 2020, il presidente russo Vladimir Putin ha approvato la creazione di una struttura navale russa in Sudan in grado di attraccare navi di superficie a propulsione nucleare. I diplomatici occidentali a Khartoum hanno affermato nel 2022 che il gruppo russo Wagner era coinvolto nell’estrazione illegale di oro in Sudan e che stava diffondendo disinformazione.

La Wagner se ne è andata 2 anni fa

Due anni prima, gli Stati Uniti avevano imposto sanzioni a due società operanti in Sudan perché considerate collegate al capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin. In una dichiarazione del 19 aprile, Wagner ha negato di operare in Sudan e ha affermato che il suo personale non era lì da più di due anni. Da nostri colloqui con osservatori locali risulta che le milizie della Wagner non hanno avuto alcun ruolo negli ultimi combattimenti e che quelle che erano attive in alcuni paesi dell’Africa, li stavano sempre di più abbandonando man mano che si intensificava la guerra in Ucraina. È anche vero che, nel febbraio 2023, il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha incontrato i funzionari in Sudan durante un tour africano e ha ottenuto la conferma da Abdel Fattah al-Burhan della possibilità di avere una base navale a Port Sudan.

Cina maggior partner commerciale del Sudan

La Cina è attualmente il maggiori partner commerciali e strategico del Sudan, importando petrolio ed esportando manufatti a basso costo e armamenti nel paese. Entrambi gli stati godono di relazioni molto solide e produttive nei campi della diplomazia, del commercio economico e della strategia politica ma la Cina non è mai intervenuta ad appoggiare esplicitamene una delle parti in causa. Stati Uniti e Occidente, felici di sbarazzarsi di Bashir nel 2019, accusato di genocidio e crimini di guerra dalla Corte penale internazionale per il conflitto in Darfur, ma mai estradato dalle nuove autorità, sembrano troppo lenti nell’aiutare una transizione verso le elezioni e sospendere le sanzioni in corso. Hanno visto che il percorso verso per la democrazia in stile occidentale si è interrotto quando, nel 2021, Burhan e Hemedti hanno organizzato un colpo di stato. Inoltre, il 13 aprile, due giorni prima dell’inizio degli scontri, Hemedti, in una telefonata con inviati speciali di Stati Uniti, Regno Unito e Norvegia, aveva affermato –mentendo- di essere impegnato in un accordo quadro iniziale firmato a dicembre per arrivare ad un governo civile. Il tutto secondo una comunicazione resa nota dal suo ufficio. Gli ultimi sviluppi vedono i paesi occidentali sgomberare il loro personale diplomatico e cittadini con il supporto anche di operazioni militari, mentre l’ambasciata russa a Khartoum, nonostante si trovi al centro della linea degli scontri, annuncia di non avere problemi.

Gli ultimi combattimenti dovrebbero far deragliare qualsiasi rapido ritorno al governo civile perchè nessuno dei due oppositori a Khartoum mostra una qualche disponibilità al compromesso. Da notare, infine, che il Sudan è sempre stato uno dei principali fiancheggiatori di movimenti islamisti radicali da al-Qaida di Osama Bin Laden, ai gruppi islamisti in Algeria, dagli Hezbollah in Libano, ad Hamas in Palestina, al Lord’s Resistance Army in Uganda e altri movimenti armati di opposizione ai governi di Egitto, Eritrea ed Etiopia.

°°° L’autore, Flavio Pagani, è riuscito ad uscire nelle ultime ore dal Sudan e si trova nel Sud dell’Egitto che confina con lo stesso Sudan.

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