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Steve Jobs: “Startup, il segreto non è l’idea ma la perseveranza”

Ecco uno spezzone della famosa “Intervista perduta di Steve Jobs” del 1991, in cui l’intervistatore Bob Cringley porta il discorso anche sulle startup, chiedendo al guru come possano pensare 4 ipotetici giovani squattrinati a sfidare colossi come Amazon e Facebook: “Molti pensano che l’idea costituisca il 90% del prodotto, ma ci vuole un enorme lavoro dopo”.

Steve Jobs: “Startup, il segreto non è l’idea ma la perseveranza”

Pura perseveranza e lavoro di gruppo 

In questo breve spezzone della famosa “Intervista perduta di Steve Jobs” del 1991, l’intervistatore Bob Cringley, alla fine della lunga conversazione di 70 minuti, porta il discorso sulle startup, ponendo a Jobs una domanda di un’attualità drammatica. Questa, nella sostanza: “Può mai una startup di 4 giovani squattrinati in jeans e maglietta, farcela nella battaglia delle idee e nella competizione globale contro i grandi gruppi che controllano, come una garota, il business della tecnologia?”. Nel 1991 si chiamavano HPSun, Oracle, IBM; Microsoft oggi si chiamano Google, FacebookNetflix, Amazon, Microsoft e via di questo passo. È forse questa l’spetto più importante che deve soppesare chiunque abbia intenzione di avviare un’impresa innovativa in questo settore, se la sua intenzione non è sviluppare un business la cui esclusiva finalità sia quella di essere acquisito da uno di questi mastodontici gruppi semi-monopolistici. In questo caso, tutto è, relativamente, molto semplice, anche se la exit non è affatto assicurata. 

La risposta, anche filosofica, di Jobs a questo interrogativo, lascia qualche speranza a chi intenda sfidarli sul serio. Eravamo nel 1991 quando Jobs parlava con Cringley, però, le sue parole non sembrano per niente risentire dell’usura del tempo che è particolarmente corrosivo quando si applica alla tecnologia e si suoi modelli di business. 

Bob Cringley: Parliamo delle start-up. Se guardiamo la tua azienda o quello che hai sempre detto, le alleanze sono letteralmente scritte sui muri. Siete alleati di Hewlett-Packard, Sun, Oracle e Digital e di tutti gli integratori di sistemi. Le società di comunicazione si stanno fondendo con quelle informatiche, stanno diventando una cosa sola. Pensi che una nuova grande start-up riuscirà a svilupparsi concentrandosi sulle applicazioni e i software più importanti? Ce ne sarà mai un’altra? 

Steve Jobs: “Penso di sì. Per disperazione si potrebbe dire di no, ma penso di sì e il motivo è che la mente umana guarda il mondo in modo schematico, è sempre stato così e probabilmente lo sarà sempre. 

Ho sempre pensato che la morte sia la più grande invenzione della vita. Sono certo che all’inizio la vita si è sviluppata senza la morte, scoprendo che senza la morte la vita non funzionava molto bene, perché non faceva spazio ai giovani. Non si sapeva come fosse il mondo cinquant’anni prima o vent’anni prima. Lo si vedeva nel presente, senza preconcetti, sognando che fosse quello il punto di partenza. Noi non ci accontentiamo dei risultati ottenuti negli ultimi trent’anni. Siamo insoddisfatti perché la situazione attuale non corrisponde agli obiettivi ideali che ci eravamo prefissati. Se non ci fosse la morte il progresso sarebbe molto più lento. 

Una delle cose che succedono nelle organizzazioni così come alle persone è che si adattano a una visione del mondo e ne sono soddisfatti. Il mondo cambia, continua a evolversi ed emergono nuove potenzialità, ma chi è abituato a questa visione non lo vede. È per questo che le start-up hanno un grandissimo vantaggio. Il punto di vista delle grandi aziende è quello più sedentario. 

Inoltre, di solito le grandi società non hanno percorsi di comunicazione efficiente fra le persone più vicine ad alcuni di questi cambiamenti al livello più basso della società e quelle al livello più alto, dove ci sono le persone che prendono decisioni importanti. In basso possono esserci persone che vedono arrivare i cambiamenti, ma possono passare anche dieci anni prima che il concetto arrivi a chi deve prendere decisioni. Anche quando la società fa la cosa giusta ai livelli più bassi, di solito i piani alti mandano tutto a puttane in qualche modo. IBM e il settore dei personal computer ne sono un buon esempio. 

Penso che se gli esseri umani riuscissero a superare la caratteristica umana di adattarsi a una singola visione del mondo i giovani e le nuove aziende potranno sempre innovare, è così che dovrebbe essere”. 

Questa doveva essere la mia domanda conclusiva prima di lasciarti fare libere associazioni. Vorrei parlare dei giovani che ti prendono a modello. Pensi che ci siano ancora opportunità di innovazione? Quali sono i fattori che determinano il successo dei giovani al giorno d’oggi? Cosa dovrebbero evitare di fare? Quali consigli daresti ai giovani imprenditori? 

“Me lo chiedono molto spesso e ormai ho una risposta standard. Molti vengono da me e mi dicono “voglio essere un imprenditore”. Io gli rispondo “Wow, fantastico, qual è la tua idea?” e loro rispondono “Non ne ho ancora una”. Allora io gli rispondo “Beh, dovresti trovarti un lavoro tipo guidare gli autobus finché non trovi qualcosa che ti appassiona sul serio, perché è molto faticoso”. 

Sono convinto che metà di ciò che distingue gli imprenditori di successo da quelli che non hanno successo sia la pura perseveranza. È veramente difficile, significa dedicarci tutta la propria vita. Nel tempo ci sono momenti così brutti che penso che la maggior parte delle persone getterebbe la spugna. Non gliene faccio una colpa, è veramente dura e ti consuma. Se hai una famiglia e hai appena avviato un’azienda, non posso immaginare come faresti a farcela. Di certo c’è chi l’ha fatto, ma è molto difficile. Per molto tempo si continua a lavorare per diciotto ore al giorno, sette giorni su sette. A meno che tu non abbia una vera passione, non riuscirai a sopravvivere, ti arrenderai. Perciò bisogna avere in mente un’idea o un problema o una cosa sbagliata che si vuole correggere e che ci appassiona, altrimenti non avremo la perseveranza di impegnarci. Penso che metà della battaglia consista in questo”. 

Cosa conta di più per te nello sviluppo di un prodotto? È l’idea o l’esecuzione? 

“Molti pensano che l’idea costituisca il 90% del prodotto e che basta dire alle persone “Questa è l’idea” per far sì che essa si realizzi! Il problema è che ci vuole una quantità immensa di lavoro per tirare fuori un grande prodotto da una grande idea. 

Ci sono delle cose che l’elettronica non riescono a fare, ci sono cose che la plastica, il vetro e i robot non riescono a fare. E quando decidi di progettare un prodotto bisogna avere in mente 5000 cose diverse. Poi devi metterle insieme, combinarle in modo sempre diverso per ottenere quello che vuoi. E ogni giorno scopri sempre qualcosa di nuovo, un nuovo problema o una opportunità che ti porta verso un risultato diverso. L’aspetto magico è il processo”. 

Spiega meglio questa cosa del magico.

“Per descrivere un gruppo che realizza qualcosa in cui crede uso sempre un episodio di quando ero bambino. C’era un signore che abitava alla fine della mia strada. Aveva circa 80 anni ed un aspetto mostruoso, ma pian pianino ho imparato a conoscerlo meglio. Un giorno mi disse: “vieni nel mio garage ti voglio mostrare qualcosa”. E tirò fuori un vecchio aggeggio polveroso. Era un malandato macinino a motore per caffè, un motore su cui aveva legato una lattina con uno spago. “Vieni fuori con me” mi disse. Andammo a raccogliere dei sassi e li mettemmo nella lattina con un po’ di olio ed una manciata di polvere abrasiva. Chiudemmo la lattina, accese il motore e mi disse di tornare il giorno dopo. La lattina faceva un gran rumore con le pietre che rotolavano e si sfregavano nel recipiente di latta. Tornai il giorno dopo e aprimmo la lattina. Dentro c’erano delle bellissime pietre levigate. I sassi malfatti a forza di strofinarsi l’uno contro l’altro si erano trasformati in bellissime pietre levigate. Mi è sempre rimasta impressa come metafora per descrivere una squadra di persone che lavora su qualcosa che li appassiona. Tutto sta nella squadra, sta in un gruppo di persone con talento, che discutono, si scontrano, litigano. Lavorando insieme si perfezionano e il risultato sono delle splendide pietre levigate. 

Quindi un buon prodotto non è qualcosa che può fare un singolo individuo. Io vengo visto come un leader, ma il Mac nasce da un lavoro di squadra. Ho costruito gran parte del mio successo assumendo persone davvero dotate, solo persone di serie A. Tutte persone di straordinario talento. Credo che ciò che ha reso grande il Mac sia il fatto che i nostri collaboratori siano stati musicisti, artisti, poeti, scrittori prima ancora di essere i più grandi sviluppatori del mondo. Ma se non fosse stato per la passione per i computer, avrebbero comunque fatto grandi cose in altri campi”.

Il tuo discorso mi ha fatto pensare a un altro aspetto della questione. Tu hai parlato della passione, ma cosa ne pensi del potere? Che cosa hai da dire sulle responsabilità che derivano dal potere dopo aver raggiunto un certo livello di successo? 

“Potere? Che significa?”.

Ci vuole passione per costruire una società come Apple o IBM o qualsiasi altra grande società. Una volta che hai portato la passione a quel livello, hai costruito una società e sei nella posizione di Bill Gates di Microsoft o di chiunque altro, te, ad esempio, quali sono le responsabilità di chi ha avuto successo e detiene un potere economico e sociale? Voglio dire, hai cambiato il mondo, quali sono le responsabilità che ne conseguono? 

“Questa domanda può essere portata a vari livelli. Di certo chi dirige una società ha una serie di responsabilità, ma non penso che un imprenditore abbia responsabilità come individuo. Penso che il lavoro parli per sé. Non credo che le persone abbiano responsabilità particolari solo perché hanno fatto qualcosa che agli altri piace o non piace. Penso che il lavoro parli per sé. 

Penso che le persone possono scegliere di fare cose, se lo vogliono, ma presto moriremo tutti, ecco come la vedo. Qualcuno una volta ha mi ha detto “Vivi ogni giorno come fosse l’ultimo e di sicuro un giorno avrai ragione”. Io faccio così. Non sai mai dove andrai a finire, ma te ne andrai molto presto. Se ti lascerai qualcosa indietro saranno i tuoi figli, qualche amico e il tuo lavoro. Quindi è questo quello di cui tendo a preoccuparmi. Non penso alle responsabilità. A volte mi piace fingere di non averne. Cerco di ricordarmi l’ultima volta in cui non avevo niente da fare quel giorno e nemmeno il giorno successivo, quando non avevo alcuna responsabilità. Sono passati decenni. Fingo di essere ancora così, quando voglio sentirmi in quel modo. Non penso in quei termini. Penso che ognuno abbia la responsabilità di fare bene il proprio lavoro e produrre cose che la gente possa usare e fare in modo che possano costruire sulle tue spalle e fare cose sempre migliori”. 

Quindi la responsabilità è verso te stesso e i tuoi standard. 

“Nel nostro campo una persona non può fare più niente da sola. Crei una squadra di persone intorno a te. Hai una responsabilità di integrità lavorativa nei confronti di quella squadra e tutti cercano di dare il meglio di sé”.

Altri commenti o riflessioni conclusive su ciò che abbiamo detto o su qualcos’altro? 

“No, non direi. L’arco temporale è un concetto interessante quando si pensa al passato. Penso che quando la gente ripenserà a questo periodo fra cento anni lo vedrà come un periodo molto importante della storia e soprattutto in questo campo, che ci crediate o no. Se pensiamo all’innovazione che è nata da questo posto, la Silicon Valley e l’intera Bay Area di San Francisco, abbiamo l’invenzione del circuito integrato, del microprocessore, della memoria a semiconduttore, del moderno disco rigido, del moderno floppy disc drive, che è stato inventato di IBM, e la sua commercializzazione, l’invenzione del personal computer, dell’ingegneria genetica, della tecnologia orientata agli oggetti, le interfacce grafiche utente inventate dal PARC, poi sviluppate anche da Apple, e infine la connessione di rete. Tutto questo è successo nella Bay Area, è incredibile”.

Perché pensi che sia successo proprio qui, in questo posto? 

“Beh, questi sono luoghi particolari. Per due o tre motivi. Devi andare un po’ indietro nella storia. San Francisco è stata la culla della beat generation, è una cosa piuttosto interessante, c’erano gli hippy. È stato l’unico posto in America dove il Rock ‘n Roll ha davvero preso piede, dico bene? La maggior parte dei gruppi americani, Bob Dylan negli Anni ’60, venivano tutti da qui. Penso a Joan Baez, i Jefferson Airplane, i Grateful Dead. Venivano tutti da qui, Janis Joplin, Jimmy Hendrix, tutti. Com’è successo? Ci sono anche Stanford e Berkeley, due università fantastiche che attirano persone intelligenti da tutto il mondo e le depositano in questo bel posto pulito e soleggiato dove ci sono tante altre persone intelligenti e si mangia molto bene. E a volte gira anche molta droga e ci sono molte altre cose divertenti. Per questo sono rimasti, c’è un immenso capitale umano che continua a riversarsi qui. Ci sono persone davvero intelligenti. Qui la gente sembra molto più sveglia e di mentalità aperta che nel resto del Paese. Penso che sia un posto davvero unico e che la sua storia lo abbia dimostrato, per questo continua ad attirare le persone. Penso che, alla fine, tutto questo dipenda in gran parte dalle università, Stanford e Berkeley”.

1 thoughts on “Steve Jobs: “Startup, il segreto non è l’idea ma la perseveranza”

  1. Invero la paternità del segreto disvelato da Steve Jobs appartiene ad altri, perché si tratta del glorioso motto di nave Amerigo Vespucci, il più bel veliero del mondo, ben in evidenza sull’albero di maestra: Amerigo Vespucci

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